giovedì 10 dicembre 2009

Auspicando l’avvento del tribadismo

flapper che fumano


Il sistema patriarcale consiste nell’espropriazione del potere femminile di “mettere al mondo” i figli: il futuro. Ne ha negato l’assoluta autonomia di scelta dettata dalla natura, intendendo la natura non più come mondo al quale appartengono tutti i viventi, ma risorsa da sfruttare al fine di appesantire i forzieri e il dominio sugli altri, a loro volta intesi quali risorsa da conquistare o nemico da combattere. La vera spinta naturalmente è stata quella di stabilire con certezza il diritto di successione per i figli la cui paternità andava accertata tenendo le donne (”fornetti”, contenitori per la riproduzione di un seme maschile) strettamente vincolate e sorvegliate sotto l’egida del padre “certo”. Ma se si facesse un gioco tutti quanti di far esaminare il proprio DNA se ne vedrebbero delle belle: anche i latini lo dicevano “mater certa, pater numquam” e la realtà semplicemente è che il potere femminile per millenni è stato nascosto, usurpato ma mai cancellato. Ogni uomo lo sa, conosce la forza che lo ha generato e ispirato, sa che solo lo sguardo di sua madre gli ha aperto la strada per la stima di sé come maschio. Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, dice anche un proverbio. Ma di questo potere di generare non si vuole riconoscere l’inevitabile effetto collaterale: la possibilità che ogni nuovo nato metta in crisi il potere costituito, non riconosca l’autorità e il patrimonio del padre, scelga invece una complicità con la madre di ridare libertà alla propria figlia, permetta che inizi la rivoluzione che troppe femministe hanno svenduto insieme con le “cattive ragazze”. L’enorme errore fu quello di fermarsi all’idea di uguaglianza e di equivalenza tra i sessi dimenticando quanto mutilato fosse ormai anche il genere maschile privo della potenza femminile così negata. In conclusione chi avrebbe da guadagnare da un nuovo “ordine” o meglio disordine della famiglia patriarcale sarebbe proprio il maschio, allorché cominciasse di cuore a sostenere il tribadismo, il libertinaggio delle femmine, trovandone piena soddisfazione e condivisione. Non saranno le vergini, le brave ragazze di vostra proprietà a darvi la felicità ma le magiche cattive ragazze consapevoli di sé a restituirvi la pienezza e la tenerezza di essere uomini che amano davvero le donne e sé stessi.

domenica 5 luglio 2009

IMMIGRATI SALVATECI DA QUESTI ITALIANI!




Lettera di Boccadorata all' Espresso


Solo chiacchiere – for whites only


E' vero è uno sconcio, una continua provocazione.

Questo governo sembra che voglia vedere fino a che punto riesce a spingersi nel frugare nelle budella del popolo bue, fino a che punto di impotenza può portare quelle che considera "le anime belle".

Chi si indigna per il loro razzismo gli sembra un illuso e un incapace.

Il Ministro, a proposito della bella azione di respingere i barconi in Libia mettendosene un bel po' sulla coscienza, soddisfatto ha giocato con il suo cognome e ci ha spiegato che il problema dell'immigrazione si risolve con i “maroni”, così le persone dall’anima bella (si intende noi soliti pacifisti e catto-comunisti) si preoccupano di chissà quali cose orribili vedremo.

In realtà non faranno un bel nulla, non risolveranno niente, con la solita inefficienza.

Prodi poco prima di vincere le elezioni diceva del precedente governo Berlusconi: promettono e non consegnano. In tutto è così.

Fanno proclami televisivi, fanno il miracolo come San Gennaro: spariscono i barconi di immigrati, i barboni, le puttane, i sindacati, i fannulloni, i rifiuti, i voli di stato, le intercettazioni, un continuo gioco di prestigio.

Le camicette verdi e nere incantate li osannano.

Chi non ci crede è catastrofista, un pericolo pubblico da interdire e silenziare.

All'Aquila hanno interpretato la fiction dei super salvatori piovuti dal cielo pieni di doni e certezze ed ora sono costretti a censurare le notizie sulle proteste.

Se qualcuno interrogasse un po' meglio le persone vere intorno a sé capirebbe quante badanti e operai attendono con la stessa ansia dei loro datori di lavoro che ci sia una legge decente che permetta almeno a chi lavora di farlo nella legalità.

La colpa sarà anche della sinistra ma la legge Bossi Fini è la causa di questo casino: nessuno può distinguere tra immigrati che lavorano in pace e gente che si è scelta ben altra occupazione.

Molto democraticamente la Bossi Fini impedisce di entrare a tutti, così si entra solo in nero.

Volendo hanno già nomi, cognomi, indirizzi e codici fiscali di tutti i lavoratori del famoso click day del 15 dicembre 2007 e dei loro datori di lavoro.

E’ quasi un elenco pronto per emettere mandati di cattura di massa.

Che poi certamente non emetteranno, ma potranno far vivere alle nostre signore di 90 anni un brivido di trasgressione al solo suono del campanello, o scegliere di buttare qualche altro in cella, a discrezione del poliziotto di turno, che magari, di passata chiede anche prestazioni sessuali in cambio del rinnovo del permesso di soggiorno (capitato a una mia amica).

E poi c'è una questione filosofica ancora più importante: cosa vorrebbe dire clandestino? che diritto esiste nel fatto di essere figli di qualcuno nato qui o lì?  Che merito hanno i nordisti per essere nati a Como invece che in Nigeria? Ma davvero si sentono autorizzati a pretendere qualcosa di diverso dagli altri? e per quale motivo? Siamo sicuri che questa aggressività verso chi arriva in casa loro non sia piuttosto la paura di essere superati in forza, intelligenza, coraggio e determinazione?

Non sarà che poi ci ritroviamo tutti come Israeliani e Palestinesi, divisi tra religioni una più arcigna dell’altra, tra poveri e più poveri, tra morti e moribondi, tra schiavisti e schiavi.

Se non abbiamo il coraggio della verità e non trasformiamo in un caloroso benvenuto il nostro atteggiamento, finiremo tutti cattivi perché terrorizzati, con la coscienza sporca, la coscienza che viene dal pensiero “vita mea, mors tua” una coscienza tremebonda, gretta, auto-indulgente e soprattutto dedita all’oblio.

Si vive la nostra vittima come carnefice potenziale.

Questa paura viene mitigata da un’illusione: quella di avere diritti di primogenitura da scambiare con un piatto di lenticchie ed il coraggio di mangiare alla faccia di chi resta a digiuno.

Questa mancanza di stile imperdonabile colpisce soprattutto i suoi fautori ma costringe continuamente tutti quanti a destreggiarsi ai confini dell’illegalità.

Infatti, e torno al motivo del mio scritto,  non riusciranno e non vorranno risolvere alcunché.

Le badanti continueranno a dipendere dalla malavita che organizza i loro espatri , che in altre parole possono essere considerati delle vere e proprie tratte di schiavi.

Solo che il ministro Maroni non ci dice che il vertice di queste bande di schiavisti è più in Brianza che in Libia.

Non si preoccupa di controllare dove c’è il lavoro nero permettendo di attribuire le giuste responsabilità a chi ha fatto della immigrazione impossibile un vero business.

Forse teme di non soddisfare la domanda di manodopera a basso prezzo, così necessaria in tempi di globalizzazione, tempi in cui si possono esportare le merci ma non i servizi e quindi molte attività sono così costose da non essere più alla portata di tutti: le prestazioni sanitarie non coperte dalla spesa pubblica non sarebbero sostenibili per il 99,99% degli Italiani, lo stesso dicasi per i trasporti e la manutenzione delle strade, dei ponti e la protezione dell’ambiente.

Ma, dove la vita è così cara, occorre incassare moltissime tasse senza pietà per chi rischia la fame nero o bianco che sia.

Il Governo Italiano, come molti altri in Europa, deve quindi combattere contro i propri cittadini arrabbiati perché a corto di servizi pubblici pagati profumatamente e mai  funzionanti, tenendoli a stecchetto e tartassati, dall’altra deve cercare di addolcirli facendo balenare condizioni ancora peggiori come quelle degli schiavi moderni.

Lo Stato oggi si basa quindi sul ricatto e sul terrore.

Quelli che davvero devono tremare sono i cittadini Italiani, gli altri se ne andranno in terre più ospitali e ci lasceranno qui soli in balia dei cattivi soggetti che li sfruttavano e che cercheranno qualcun altro da sfruttare e calpestare.

Così come è accaduto in Sudafrica nasceranno etnie di bianchi discriminati perché poveri. 

Qui trovate un esempio: (http://www.stefaniaragusa.com/2008/05/sudafrica-i-poveri-bianchi.html ) . 

Allora vedremo che ne sarà delle ronde verdi e nere.



 

 

 


domenica 24 maggio 2009

Barravento si comincia!!!

UN PUNTO NELLO SPAZIO

In uno spazio che attende di essere sgombrato, che ha necessità di essere sgombrato, mentre tutti i giorni, viceversa, vi è chi ulteriormente lo ingombra e lo sovraccarica.
Lo spazio è la condizione della libertà, il suo naturale habitat, nella distanza che allo stesso tempo separa e raccoglie i soggetti distinti nella loro autonomia.
Lo spazio è ugualmente quello in cui, uno per volta, gli eventi possono presentarsi per essere giudicati dalla dialettica degli sguardi convergenti di tutti coloro che hanno piacere ed interesse di guardarli.
Lo spazio è condizione per l’esistere del mondo: quel mondo che oggi, ricoperto da quella spessa disgustosa patina che ha nome “società”, si stenta sovente a credere persino che ancora esista.
Nel corretto evolvere delle vicende umane, dovrebbe essere questo spazio a preesistere e a richiamare gli sguardi: poiché, per molte ragioni, da molto tempo le vicende umane si sono evolute alla rovescia, e ogni sguardo possibile è perennemente intralciato dalla proliferazione ignobile della paccottiglia mercantile, abbiamo deciso – allestendo Barravento, la tempesta che non lascia scampo nel linguaggio dei pescatori di Bahia – di provare a evocare questo spazio grazie al convergere caparbio degli sguardi, un poco alla maniera in cui, costruendo lo spazio del pentacolo, si invocava la visita di Satana, il primo di coloro cui fu fatto torto.
Barravento perciò, nella nostra volontà, NON E’ UNO SPAZIO, ma un punto di vista. Per essere più precisi, due punti di vista, solidali eppure non sovrapposti, che osservano la società cercando di scoprire il mondo (e le sue possibilità, come canta il poeta – cfr Ballerini) celato sotto il pantano sociale. E che, guardando, rispecchiano e rilanciano altri sguardi, che procedono da diversi e magari remoti punti di vista.
In fin dei conti, ciascuno è anche uno specchio, che rifrange all’infinito le luci che lo illuminano. Noi vorremmo però distinguere, scegliere, ad una ad una, queste luci: come nella creazione dei vini più rari, ancora in vigna, la prima, decisiva, operazione, è quella di riconoscere, acino per acino, ciò che giova al proprio disegno. Così, spesso, si scarta non solo ciò che è guasto o superfluo, ma anche solo ciò che è sovrabbondante, o semplicemente non consono con il progetto.
Questo per intendere due punti decisivi: qui verrà pubblicato quel che ci garba, secondo criteri solo nostri, che ci derivano precisamente da quel punto di vista di cui scrivevamo sopra. Questo comporterà che ci potrà apparire opportuno rilanciare scritti presenti o passati che non condividiamo, o di persone che né amiamo né stimiamo: ma che avremo giudicato utili per nutrire le nostre ragioni. Se qualcuno ritenesse di giudicare le nostre affermazioni, sarà opportuno che si riferisca all’uso che avremo fatto di testi non nostri, e non già ai testi stessi, meriti e demeriti dei quali andranno in ogni caso ascritti ai loro autori e non a noi.
Ugualmente, non abbiamo assolutamente intenzione di pubblicare testi, interventi o altro materiale unicamente perché ne condividiamo il senso; e meno ancora per il motivo che, a spedircelo, sono state alcune fra le tante persone che ci sono care.
Per conseguenza, nessuno potrà validamente sollevare il tema della censura: Barravento non nasce perché ci venga pubblicato tutto, salvo quanto avremo censurato. Ma perché vi venga pubblicato unicamente quel poco o quel tanto che ci sarà parso utilizzabile per consolidare e precisare i NOSTRI punti di vista. Il materiale che verrà inviato, quindi, non rilascia il menomo diritto, non solo alla pubblicazione, ma neppure a una motivazione, foss’anche privata, della mancata pubblicazione. Lanci chi vuole, dal luogo del suo naufragio, quante bottiglie crede, con i messaggi che meglio gli si attagliano. Ma si astenga dal pretendere che qualcuno li raccolga. Qui vige da cima a fondo il nostro arbitrio. Il nostro suggerimento, che non va letto come una formula di cortesia, ma come un preciso e caloroso invito, è che chi vuole avere un luogo da cui diffondere senza limitazioni il punto di vista suo, se lo costruisca senz’altro, su un piano, se crede, di reciprocità con questa nostra impresa. E con le mille altre analoghe.
Noi, infatti, riteniamo che in rete sia impossibile dare vita a uno spazio pubblico, se non altro per la banale ragione che la rete manca delle caratteristiche distintive dello spazio; ma riteniamo con uguale forza che, tramite la rete, sia possibile creare degli strumenti che ne aiutino l’apparizione. E’ evidente che tale apparizione potrà realisticamente darsi solo sulle macerie della società, della società presente e di ogni società possibile. Intendendo qui per società quel processo che privatizza totalitariamente ogni spazio e socializza ogni momento, rendendo parallelamente impossibili sia la luce pubblica, sia il suo indispensabile rovescio, l’ombra privata, sostituendo a entrambe un perpetuo crepuscolo artificiale. Intendendo, per esprimersi chiaramente, la società come la negazione della libertà, per il banale motivo che ne occupa abusivamente lo spazio. Poiché la società in cui siamo imprigionati è pervenuta già da alcuni decenni alla fase di una bulimica autofagia, si può serenamente affermare che, se qualcosa ci farà difetto, non saranno di sicuro le macerie (1). Delle quali, viceversa, esiste un’angosciosa sovrabbondanza. Ciò che manca è, invece, lo spazio sgombro, il tempo affrancato dal galoppo macabro delle merci e del loro riflesso spettrale. A partecipare alla creazione di questo spazio dove possano liberamente incrociarsi, davvero “lampi di luce nel regno delle tenebre”, le passioni di molti, invitiamo coloro che ci leggono.
Scrivete, dunque, e moltiplicatevi. (citazione da Sade)


Voi siete qui....


(1) Sulla questione delle macerie vedi anche la Arendt su Benjamin del pescatore di perle