venerdì 10 dicembre 2010

Matteo Renzi il giovane vecchio


Romanzo di un giovane vecchio (di Marco Travaglio da Il fatto)

Il libro d’oro dei pellegrini in processione alla villa di Arcore si arricchisce di un nuovo, bizzarro visitatore: Matteo Renzi, il giovane sindaco di Firenze che voleva rottamare la vecchia dirigenza del Pd. Giovane si fa per dire: per esserlo, non basta essere nati da poco. In un sol giorno, nel viaggio da casello a casello Firenze-Arcore-Firenze (680 km), è riuscito a invecchiare di 50 anni. E, quando ha cominciato a esternare sul perché e il percome della visita, ne ha presi altri 50. Ora è ultracentenario. “Solo in un paese malato – dice – si può pensare che ci sia qualcosa sotto”.

Già. In un paese sano un sindaco del Pd va a baciare la pantofola al nemico pubblico numero uno del suo partito (o almeno dei suoi elettori). Per giunta a pranzo. Per giunta nella sua residenza privata. Per giunta mentre si scopre che quel luogo – oltre a Mangano, Previti, Dell’Utri, Mora, Fede – ha ospitato anche decine di signorine addette al bunga-bunga. Per giunta di nascosto (la notizia è trapelata dall’entourage di B. e solo un furbo molto ingenuo poteva pensare che la notizia restasse top secret, visto il proverbiale riserbo del padrone di casa). Non è dato sapere se ci sia stato il tempo per una fugace visita al mausoleo di Arcore, ma presto il settimanale Chi di Alfonso Signorini pubblicherà il book dell’incontro (ha presente, Renzi, quel vaso di petunie sul comò del Cavaliere? Ecco, era Signorini in uno dei suoi più riusciti travestimenti).

Beccato col sorcio, anzi col nano in bocca, il giovane vecchio fa il ganassa e dice che lo rifarebbe “per il bene di Firenze”. Perché – spiega – “mi interessa portare a casa una legge speciale per Firenze da 15 milioni. B. me l’aveva promessa”. L’altro giorno a tavola gliel’ha ripromessa. Ora firmerà pure un Contratto con i Fiorentini, alla presenza di Vespa con tanto di scrivania in ciliegio. Poi dirà che, per colpa di Bin Laden e dell’11 settembre, non se ne fa nulla. Su Facebook, i poveri elettori del Pd che – disperati – speravano in Renzi, lo prendono a male parole. Lui assicura che “mi sto divertendo come un matto a leggere i commenti”. Non lo insospettisce neppure il vedersi difendere dal Giornale, da Libero e financo da Daniele Capezzone, uno che quando ti difende sporgi querela a prescindere perché vuol dire che hai torto marcio (il famoso Capezzone fumante). Un barlume di dubbio, in verità, lo sfiora: “Mi colpiscono certe reazioni avvelenate della gente comune: danno il senso del clima che si respira nel Paese”. Ma è un attimo. Anziché domandarsi il perché di quelle reazioni e di quel clima (magari lo sdegno per un premier che da 16 anni distrugge l’Italia facendosi gli affari suoi e per un’opposizione che non si oppone), il Renzi si risponde: “Viviamo da tre lustri in un derby continuo, ci vorranno anni per ripulire le menti”. E chissà quanto ci vorrà per ripulire la sua da quello che Gaber chiamava “il Berlusconi in me” giudicandolo peggiore del “Berlusconi in sé”: cioè dall’insensibilità ai conflitti d’interessi, al galateo istituzionale, a valori antichi e ormai desueti come la dignità, la sobrietà, la reputazione, il senso dell’opportunità e del limite.

Persino il rottamato Bersani, dopo aver detto sciaguratamente “andrei ad Arcore anche a piedi pur di avere una riforma del mercato del lavoro”, fa notare in un lampo di lucidità che un sindaco incontra il premier a Palazzo Chigi, non a villa Bungabunga. Renzi gli risponde con una toppa che è peggio del buco: “Se B. mi invita ad Arcore che devo dirgli: ci vediamo allo svincolo autostradale di Monza?”. Poi peggiora ulteriormente la situazione: “Bastonano me perché parlo con B. e vogliono fare un governo o un’alleanza con Fini”. Dal che si deduce che il presunto avversario delle “ideologie” preferisce la destraccia affaristica del Cainano a quella più presentabile (o meno impresentabile) di Fini. Così chi voleva rottamare il politburo piddino ha regalato ai vecchi marpioni del partito un’arma formidabile per rottamare lui. Il giovane vecchio è anche un furbo fesso.

Ghirardi Sergio scrive: il 10 dicembre 2010 alle 15:58

Quel che mi colpisce di più a guardare l’Italia da lontano (ma non troppo), è che si pensa sempre di avere visto il peggio e che quindi la situazione e i soggetti che la incarnano non possano che migliorare, farsi più decenti. Invece no: miracolo! Pur senza camminare sull’acqua e senza moltiplicare ogni volta pane ogm e pesci al mercurio, c’è sempre un Lazzaro, anzi un grande Lazzaro, un lazzarone che arriva a risorgere dal nulla facendo peggio dei predecessori.

Renzi è solo il miracolato più recente della Lourdes dello spettacolo politico-religioso all’italiana.

La pubblicità s’inventa sempre facce nuove per far passare il vecchio messaggio evangelico ai servi: continuate a porgere l’altra guancia (e più se affinità, ma rigorosamente senza preservativo) e soprattutto a comprare il solito dentifricio politico in promozione affinché sia fatta la volontà della crescita economica.

Renzi, da buon credente moderno e opportunista del vecchio mondo, ha deciso di rottamare il vecchio recipiente ideologico per versare in uno nuovo di zecca di sua immacolata concezione, la vecchia melma ideologica di una sinistra che concorre con la destra per salvare il capitalismo in affanno e con lei patteggia senza remore né pudore. Credenti non si nasce, ma si può morirne senza essere vissuti da esseri umani.

Non si accorgono gli infidi dirigenti clonati dallo spettacolo, fissi sul loro effimero potere ombelicale, che siamo alla fine di una civiltà, non solo di un piccolo governo di corrotti un po’ più schifoso della media.

Venti di tempesta attraversano l’Europa da Londra ad Atene. Prima o poi chi semina tempesta raccoglierà rivoluzioni e stavolta non basterà cambiare squadra.

Non si sa ancora quando, se in meglio o in peggio, ma non c’è dubbio che l’irruzione prevedibile della Storia cambierà il gioco di società ormai desueto della democrazia spettacolare, abolendo di conserva i giocatori che si sono arrogati il diritto di dirigerlo a loro vantaggio personale.