giovedì 27 gennaio 2011

C’era una volta il futuro prossimo




C’era una volta un paese che ha osato tagliare la testa al re per abolirne i privilegi.

Tuttavia, già prima che cittadini e sanculotti si decidessero a tagliare la testa al toro, con la deprecabile violenza tipica di una troppo lunga sottomissione, molti segni di resistenza alla barbarie imperante hanno costellato il lento avanzare della Storia.

Nelle Cevennes, regione montagnosa di quello stesso paese, per esempio, all’inizio del diciottesimo secolo, una forte comunità protestante aveva fieramente resistito ai dragoni di un re che aveva abrogato l’Editto di Nantes (1685) togliendo alla minoranza protestante i suoi diritti fondamentali sotto la pressione del cattolicesimo dominante.

I ribelli al sopruso si chiamavano Camisards e la loro resistenza è rimasta proverbiale e mai doma, manifestandosi concretamente sul piano locale con il sostegno nel quotidiano dei contadini sparsi tra valli e colline e sul piano globale con la luminosa coscienza di uomini di cultura e d’intelligenza sensibile che guardavano al mondo come a un progetto di libertà senza frontiere.

Un tale “agire locale e pensare globale” è giunto fino a noi e, ancora oggi, i bei resti autogestiti di una siffatta sensibilità da uomini liberi partecipano, con una passione piacevole da condividere - oltre il brusio fastidioso ma superficiale delle ideologie politiche o religiose - alla resistenza spontanea contro una mondializzazione che a partire dal piano economico sta facendo più gravi e irreversibili danni sociali della monarchia e del feudalesimo riuniti.

Questo film è il resoconto senza commento di un confronto tra una civile volontà di vivere e di esprimersi di liberi esseri umani e la repressione gassosa e ottusa da parte dei dragoni di carta di uno spettacolo che sa sempre più di barbarie.

Sergio Ghirardi


manif gare d'Anduze 21jan11
Caricato da zimprod. - I nuovi video di oggi.

lunedì 24 gennaio 2011

IL VECCHIO MONDO MUORE




Mentre il vecchio mondo muore in una lenta agonia laidamente travestita da sempiterno progresso per cercare di imporre lo sviluppo sostenibile di una mostruosità intollerabile, vi trasmetto qualche notizia e vi traduco qualche riflessione su quello che sta nascendo al riparo dalle telecamere e dalla loro censura spettacolare.

La disinformazione di Stato e di Mercato altera i fatti o tace su quel che ne prepara l’abolizione e il superamento; sta dunque a tutti noi far sapere quel che si sta muovendo, tra le contraddizioni, certo, ma sempre meno in sordina, verso il tanto auspicato rovesciamento di prospettiva.

Un po’ d’aria fresca

Per quanto incredibile possa sembrare, una vera rivoluzione democratica e anticapitalista ha luogo in Islanda in questo stesso momento e nessuno ne parla, nessun media ne rilancia l’informazione, quasi nessuna traccia naviga su google in un clima di black-out totale. Eppure la natura degli avvenimenti in corso in Islanda ha una portata immensa : un popolo che scaccia la destra al potere assediando pacificamente il palazzo presidenziale, una « sinistra » liberale di sostituzione, anch’essa espulsa dalle responsabilità perché intendeva condurre la stessa politica della destra, un referendum imposto dal Popolo per decidere se si dovesee O NO rimborsare le banche capitaliste che hanno gettato con la loro irresponsabilità il paese nella crisi e una vittoria al 93% del NO e una conseguente nazionalizzazione delle banche.

Punto cruciale di questo processo per molti aspetti rivoluzionario, l’elezione di un’assemblea costituente il 27 novembre 2010, incaricata di scrivere le nuove leggi fondamentali che tradurranno in atto d’ora in poi la collera popolare contro il capitalismo e le aspirazioni del popolo a una società diversa. Mentre in tutta Europa brontola la collera dei popoli presi alla gola dal rullo compressore capitalista, l’attualità del freddo nord come del caldo nord africa ci svela che la Storia s’incammina verso un’altra possibilità di sbriciolare assurde certezze e soprattutto di dare alle lotte che emergono anche in Europa una prospettiva: la riconquista democratica e popolare del potere non per esercitarlo come una nuova dittatura ma per scioglierlo al servizio diretto della popolazione.

Il vostro inviato mica tanto speciale dal mondo nuovo, Sergio Ghirardi

Dal ghiaccio…

Ecco qualche elemento di cui, guarda caso, nulla si trova sul Monde diplomatique di questo mese e che si trova invece in “Islande Constitution 2010”.:

Islanda: 25 cittadini ordinari eletti per redigere una nuova costituzione.

http://www.cyberpresse.ca/international/europe/201011/30/01-4347862-islande-25-citoyens-ordinaires-elus-pour-rediger-une-nouvelle-constitution.php

Agence France-Presse Reykjavik

Un gruppo di 25 islandesi è stato eletto tra 522 cittadini ordinari candidati per partecipare alla redazione della nuova Costituzione del paese, secondo i risultati pubblicati martedì concernenti uno scrutinio effettuato il sabato precedente. Il tasso di partecipazione è stato di 35,95% e il gruppo eletto rispetta un certo equilibrio tra i sessi, ha precisato la radio pubblica islandese annunciando i risultati..

Dieci donne e quindici uomini sono stati eletti, la maggior parte della regione di Reykjavik, tra i quali si trovano una poetessa e un antico presentatore del telegiornale molto conosciuto in Islanda..

In ReporTerre :

http://www.reporterre.net/spip.php?article1511Libertés

In Islanda i cittadini scrivono la nuova costituzione.

Jean Tosti - 29 décembre 2010

Da sabato 27 novembre, l’Islanda dispone di un’assemblea costituente composta da 25 semplici cittadini eletti dai loro pari. Il suo scopo è riscrivere interamente la costituzione del 1944 traendo lezione in particolare dalla crisi finanziaria che ha colpito in pieno il paese nel 2008.

Dopo quella crisi da cui è lungi dall’esersi ripresa, l’Islanda ha conosciuto un certo numero di cambiamenti assai spettacolari, a cominciare dalla nazionalizzazione delle sue tre banche principali seguita dalle dimissionoi del governo di destra sotto la pressione popolare. Le elezioni legislative del 2009 hanno portato al potere una coalizione di sinistra formata dall’Alleanza (raggruppamento di partiti composto dai socialdemocratici, femministe e excomunisti) e dal Movimento dei Verdi di sinistra. Era una novità per l’Islanda così come la nomina di una donna, Johanna Sigurdardottir, al posto di primo ministro.

Molto presto il nuovo governo si è trovato confrontato con un problema spinoso : il pagamentp all’Olanda e all’Inghilterra di un debito di 3,5milliardi di euro in seguito al fallimento d’Icesave, banca in linea le cui operazioni erano principalmente rivolte a questi due paesi. Sotto la pressione dell’Europa alla quale i socialdemocratici vorrebbero aderire, il governo ha fatto votare, nel gennaio 2010 una legge autorizzante il rimborso in questione, euqivalente a una tassa di circa 100 euro al mese per otto anni per ogni islandese. Non avendo la presidente della Repubblica firmato la ratifica, il testo di legge è stato soppoposto a referendum. Gli Islandesi hanno votato contro il rimborso del debito con una percentuale maggiore al 93%. (6 marzo) e da allora il problema è in sospeso.

È in questo contesto che l’Islandsa ha deciso di modificare la costituzione che in realtà non è mai stata effettivamente redatta: quando nel 1944 era stata proclamata la repubblica, ci si era accontentati di riprendere per sommi capi la costituzione della Danimarca, paese da cui l’Islanda dipendeva da decenni, sostituendo semplicemente “re” con “presidente della repubblica”. Si tratta dunque di scrivere una costituzione nuova di zecca e per questo si è concessa fiducia al popolo sovrano. C’è stato prima un appello a candidatura (tutti potevano presentarsi esclusi gli eletti nazionali, a condizione di avere compiuto 18 anni ed essere sostenuti da almeno 30 persone) al quale hanno risposto 522 cittadini/e. Tra loro sono stati eletti i 25 costituenti.

Questi ultimi cominceranno a riunirsi alla metà di febbraio e chiuderanno i lavori prima dell’estate. Tra le proposizioni che emergono più spesso si può notare la separazione tra la Chiesa e lo Stato, la nazionalizzazione dell’insieme delle risorse naturali e una separazione chiara tra il potere esecutivo e legislativo.

Certo, l’Islanda non è che un piccolo paese di circa 320000 abitanti. Tuttavia dà una bella lezione di democrazia ai grandi Stati come la Francia: ricordiamoci che in Francia la riforma costituzionale del 2008 è stata interamente redatta all’Eliseo e che i parlamentari non l’hanno adottata che per due voti, dopo essere stati sottoposti per settimane a pressioni intollerabili da parte del capo dello Stato.

Source : http://www.bbec.lautre.net/www/spip...

Ascoltate anche : Etienne Chouard, ce que pourrait être une constitution démocratique

…alla sabbia.

Tunisini, dov’è l’islamismo?

(Abbondanti estratti dall’articolo di Daniel Schneidermann da Liberation del 24 -1 – 2011)

Li amiamo i tunisini, li adoriamo più che mai, non li abbiamo mai amati tanto, ma francamente, hanno esagerato. Immaginatevi! Prima hanno osato sorprendere nel suo confort la classe politica francese. La destra ( che la sera prima proponeva ancora amabilmente a Ben Alì i suoi cannoni ad acqua) e la sinistra (che ha scoperto - ma che sorpresa! - che il partito di Ben Alì era ancora membro dell’internazionale socialista). E non è tutto.

…Presi in contropiede, le televisioni e i loro inviati speciali hanno aspettato una buona decina di giorni prima di accorgersi che forse qualcosa stava succedendo in Tunisia

…Il peggio è il tiro giocato agli esperti in “crescita dell’islamismo”….Fa pena la delusione appena dissimulata dei presentatori dall’inizio degli “avvenimenti”. Bisognava vederlo Pujadas (corrispettivo di un mezzobusto del Minzculpop- ndt) in diretta da Tunisi, lunedì sera, alla ricerca con il lanternino dei suoi islamisti all’uscita di una moschea. Purtroppo non ne trovava, solo semplici fedeli che spiegavano che, sì, certo, degli islamisti alle elezioni, al governo, perché no, se non disturbano nessuno. Ma, allora questi islamisti erano solo un fantasma?

Infatti, ecco quel che hanno appena fatto i tunisini: rendere desuete le immagini immemoriali dei telegiornali e dunque anche un po’ le nostre, di francesi. Nel telegiornale la “piazza araba” è inevitabilmemte fanatizzata, esprime un urlo di rabbia e di dolore … e non è capace d’altro che di bruciare delle bandiere americane. Poi, d’improvviso, da una rivoluzione araba spuntano delle parole d’ordine uscite direttamente dalle rivoluzioni europee e dall’Illuminismo che credevamo di esclusivo copyright occidentale: libertà, dignità, giustizia, dibattito pluralista e democrazia.

E chi si vede? Mentre il presentatore francese sta ancora tremando all’idea di vedere “degli islamisti” entrare a far parte del governo tunisino, salta fuori un blogger pieno di facezie e di humor, SLIM 404 (così chiamato per la frase “errore 404”che compariva, sotto Ben Alì, al posto dei siti censurati dal potere). Slim 404, dunque, alias Slim Amamou, segretario di Stato della gioventù e dello Sport che ha twittato minuto per minuto il primo Consiglio dei ministri….

…” Fa godere sentire il ministro della giustizia leggere il mandato d’arresto cominciando dal nome di Ben Alì”, twittava Slim 404.

I funzionari del ministero non vogliono membri del governo, me incluso”. Oppure questo messaggio ai suoi vecchi amici di manifestazione: “Se ho capito bene il ministro dell’Economia, finora abbiamo perso il 3% del PIL per colpa delle sue cazzate”. E la nostra preferita nella sua sobrietà solenne: “ Il ministero della difesa ci assicura che le frontiere sono ben guardate”. In qualche ora e qualche twit, Slim 404 ha sdrammattizzato la rivoluzione, reso i suoi diritti alla leggerezza al centro di un momento storico, abbozzato quel che potrebbe essere un controllo della cittadinanza su un governo, reinventando tranquillamente la funzione di portaparola del governo. Mica poco! …

…Nello spazio di poche ore, non solo il vecchio regime di Ben Alì, ma tutta la solennità francese, i resoconti del Consiglio dei ministri impacciati nelle fioriture, il politichese dei comunicati, il “benalismo” cortigiano che fa incancrenire gli animi, hanno preso mille anni in un colpo solo. È troppo. No, tunisini, la Francia eterna non vi dice grazie..


Né di venere né di marte, non si sposa né si parte; né si dà principio all'arte.



  • A chi pizzica il naso vien voglia di litigare.
  • A versare l'olio o il sale, porta male.
  • Chi lavora a capodanno lavora tutto l'anno.
  • Chi ride di venerdì piange di domenica.
  • Chi starnuta di lunedì regalo aspetti.
  • Cosa che punge amor disgiunge.
  • Denti radi fortuna spessa.
  • I gobbi portano fortuna e le gobbe disgrazia.
  • Né di venere né di marte, non si sposa né si parte; né si dà principio all'arte.
  • Quando fischia l'orecchio dritto, il cuore è afflitto; quando il manco, il cuore e franco.





I superstiziosi che hanno imparato più a biasimare i vizi che a insegnare le virtù e che cercano non di guidare gli uomini con la ragione, bensì di contenerli con la paura in modo che fuggano il Male piuttosto che amare le virtù, non tendono ad altro che a rendere gli altri miseri come essi stessi e perciò non è sorprendente se per lo più sono molesti e odiosi agli uomini.

La superstizione sembra stabilire che è buono quel che procura Tristezza e, viceversa, cattivo quel che procura Gioia.

sabato 22 gennaio 2011

Les salauds e le 120 notti di Arcore




La situazione è grave ma non seria. I due campi si battono in una battaglia senza scampo. O il cavaliere uscirà candeggiato dalla tenzone con la testa dei magistrati appesi alla sua sella o il bordello Italia sarà chiuso senza neppure l’intervento della cara Merlin che nella tomba deve prendere le posizioni più oscene del kamasutra, a forza di rigirarsi per la vergogna di essere stata ormai ridotta a portinaia del residence milanese dove parcheggiano le sfrontate veline di uno spettacolo senza veli.

Per forza senza veli, questo è uno spettacolo moderno, non siamo mica nell’Islam. Qui nessuno porta mutande di scorta. Al più qualche divisa da poliziotta per dirigere il traffico intenso tra Arcore, via Teulada e il parlamento, o da infermiera, vista l’età dei candidati al godimento di stato (nel senso del participio passato del verbo avere, anzi sembrare).

Non per caso stiamo parlando di un paese che senza false modestie si autodefinisce bello (come se fosse l’unico), un paese che produce da millenni formaggi deliziosi e amatori di eccelsa qualità (come se fosse l’unico).

Arrendetevi all’evidenza che si vuole tale per fede (minuscolo, mica è un nome proprio, è una cosa che si vende al miglior offerente): chi non conosce il Parmigiano (nel senso del formaggio grana e non di un pittore) e Casanova (nel senso poetico di un uomo che amava davvero le donne, non nel senso del maiale che gode grufolando nel pilu mercenario pagato ogni volta più o meno quanto cinque salari mensili di operaio)?

Sia chiaro: la bellezza, la bontà e la potenza non sono tutto per un paese dalla cultura e dalla creatività senza limiti (come se fosse l’unico), un paese che ha saputo marciare al passo dell’oca di poeti, di santi e di navigatori (qui il numero di paesi si assottiglia, ma non di molto).

Una tale becera trinità fascista è perfettamente incarnata in una sola persona: l’ignaro ma fiero Bondi, contemporaneamente poeta (per vocazione autoproclamata), santo (per destino e professione di eroe del trasformismo) e navigante (per necessità involontaria, quando il suo padrone gli revocherà la cuccia - di cui non sopporta di sentir parlare - per portarselo nell’harem di Antigua a spolverare i trofei di caccia). Vagherà allora, nostalgico, tra i mille scalpi puberali dei pubi toccati ma mai sfiorati con mano tremante dall’unto di se stesso, tra sfilze infinite di mutande, ricordo di romantici amplessi e collezionate in numero sufficiente, temo, per prevedere un’ultima conversione assai poco cattolica a religioni che di mutande, appunto abBondano.

E non chiedete, ora, con un numero da servitori volontari, a me che sto scrivendo fingendomi ubriaco - solo modo di attraversare il mare di merda che sta seppellendo l’Italia come uno tsunami ridicolo e pestilenziale senza naufragarvi -, di spiegare di quale signore è qui questione. I travestimenti cambiano ormai al ritmo di Fregoli e i fragili simboli del potere di oggi non sono mai quelli di ieri anche se si assomigliano come due gocce di pipì.

I tempi cambiano e i mostri sul cui regno non tramontava mai il sole si sono trasformati in marionette patetiche su cui non si spegne mai la televisione.

E i sudditi? Che ne è diventato di quei sudditi che si piegavano per prudenza al passaggio del re ma che sapevano ogni tanto ricordare ai loro aguzzini che le forche non servivano soltanto per ammassare il grano prima di lasciarselo rubare?

Lasciamo un momento questa questione in sospeso come la storia che è in sospeso da mezzo secolo. Altre più nobili questioni si arrovellano nelle menti pudibonde di un popolo che ha coniato nei secoli la gloriosa divisa: “Franza o Spagna purché se magna”. E non ditemi che erano tutti napoletani. La spazzatura in Italia non è dappertutto ugualmente visibile, ma è probabilmente la derrata più democraticamente distribuita dal Veneto alla Sicilia.

L’Italia di dolore ostello, diceva un piccolo poeta (minuscolo se paragonato ai versi immortali di un ministro dell’incultura talmente impregnato di creatività al servizio del suo mentore che non ha neppure avuto il tempo di accorgersi del crollo della casa dei gladiatori a Pompei), è anche il paese della morale e non di una qualunque: di quella cattolica che con inferno, purgatorio e paradiso ha saputo tracimare nei secoli e nelle coscienze di primitivi e di barbari mettendo loro le mutande; ma un solo paio per volta, perbacco, che la modernità al servizio dell’oscurantismo fa anch’essa parte del sacro quando aiuta a far marciare i chierichetti e le ranocchie da acqua benedetta sulla retta via del profitto.

Non si dice di mettere le mutande alle sedie lubriche come teorizzava la reginotta Vittoria nei paesi dove la birra tenta di ottenere effetti simili al vino con il risultato di far pisciare molto di più senza tuttavia vaccinare dall’addomesticamento di fronte all’autorità. La modernità cattolica non è altrettanto funzionale al capitalismo quanto hanno saputo esserlo i vari protestantesimi, ma serve Cesare fin da quando la parola “democrazia” faceva solo sghignazzare i dittatori e i circenses televisivi non avevano ancora sostituito i gladiatori con mezzani, mentitori seriali e squadristi virtuali.

Grandiosa mitologia quella cattolica, se confrontata alle volgarità delle altre cosmogonie inventate dagli uomini per raccontarsi origini assurde e darsi un quadro di comportamento sociale comune utile al sistema di potere dominante.

Per sottomettere al meglio ci vuole fantasia. La fantasia al potere, per scimmiottare il sinistro slogan che i peggiori nemici del ‘68 (quelli che ne adorano tutto salvo l’essenziale: la sua poesia radicale) hanno scelto come logo idiota per una rivolta epocale che aveva ben altri scopi poetici che quello sordido e analfabeta di fare l’apologia di una carriera pubblicitaria.

La pubblicità non è che la forma laica della propaganda fidei su cui si è sempre fondato il potere religioso e il potere tout court.

Può davvero digerire tutto chiunque arrivi a credere che Dio abbia inviato sulla terra suo figlio per poi farlo morire (almeno come mandante seriale che ci aveva già provato con Isacco - tipo il mostro di Firenze o di Betlemme, è lo stesso), facendolo scaturire come un coniglio dal cappello di una vergine che, non avendo altro da fare, riappare ogni tanto, piangendo o sanguinando davanti a qualche pastorella, anziché intimare a chi ha la bomba atomica di smetterla. E se almeno, occupandosi un po’ di se stessa, provasse ogni tanto a risolvere una buona volta il suo problema sessuale prima di diventare una vecchia zitella piagnucolosa!

Solo un tale delirante recipiente di tutte le più incredibili fandonie, dicevo, può insegnare a credere davvero a qualunque cosa: anche che tutti i preti amano i pargoli con paterno e disinteressato altruismo e che l’unto di se stesso aiuta le vergini (tu quoque, Ruby) a studiare senza nemmeno sfiorarle col dito medio che riserva soltanto alla Merkel durante i grandi incontri tra statisti mondiali.

Dovunque, l’uomo che in natura nasce libero è stato ridotto in catene ben prima di riuscire a diventare adulto. Chiedetelo ai gesuiti che hanno sempre affermato fieramente: “dateci i primi cinque anni di un essere umano e vi lasceremo il resto”. E ai pubblicitari, questi gesuiti della laicità capitalistica.

Le religioni, i monoteismi soprattutto, hanno ridotto il mondo all’unicità totalitaria risultata poi utile al capitalismo per addomesticare il mondo, rendendolo artificiale fin nella sua materialità.

Le religioni si sono premurate da sempre non di spezzare le catene della separazione tra corpo e spirito come promesso (re-ligo), ma di coprirle con la stessa foia lubrica con cui i credenti coprono l’innocenza del corpo sensuale con le mutande universali della loro ipocrisia terrorizzata e perversa.

Come si sia riusciti a far di quest’uomo a vocazione di libertà non solo uno schiavo ma addirittura uno schiavo contento di esserlo e che meno decide più si dice libero? Questo è il tragico quesito dalla cui risposta dipende l’emancipazione di una specie ormai a rischio di estinzione.

Gli esperti che sanno quasi tutto di quasi niente, vi risponderanno come i politici quando un giornalista con una lingua meno lunga di un metro (un metro è il minimo necessario per fare carriera in un giornale o alla televisione) osa stranamente far emergere delle questioni urgenti. Con l’aria di voler mettere i puntini sulle i della parola servo, vi parleranno d’altro, raccontando favole dal sapore scientifico e dall’indigeribile irrazionalismo, indignandosi su aspetti irrilevanti o chiaramente fuori tema e coprendo col velo di Maya delle loro menzogne, evidenze che persino l’ultimo imbecille non può, suo malgrado, fare a meno di registrare.

Credere è necessario per obbedire e combattere contro se stessi.

Chi s’inginocchia davanti a una qualunque presunta verità sarà sempre riempito di falsità di cui farà supinamente il suo credo. E più il dogma è allucinante, più ci s’invischia nel fanatismo idiota della fede.

Tutta la fierezza distorta di un qualunque adepto s’impiegherà allora per difendere il suo leader, il suo signore, il suo dio senza il quale sarebbe costretto ad accorgersi di non esistere.

Questo è il brodo di coltura di tutte le repubbliche di Salò, di tutte le logiche totalitarie scandite al ritmo ipnotico della parola libertà svuotata di significato.

Indignatevi pure del bunga bunga come dell’evidenza nauseabonda di una volgarità impotente che girovaga nelle notti insonni consumata dal fuoco glaciale della miseria sessuofobica. Fatelo, però, almeno in nome della volontà di vivere e della resistenza allo spettacolo umiliante di vite non vissute, non come i componenti della giuria del reality show di un mondo smutandato per meglio coprirne gli orrori che si continuano a perpetuare.

Sergio Ghirardi