sabato 8 gennaio 2011

Battisti e il sanguinoso teatrino della politica

(articolo sul Fatto di Lidia Ravera)


Cesare Battisti, con tutti i suoi protettori illustri, da Bernard Henry-Levy alla pluridecorata dal successo commerciale Fred Vargas, non suscita simpatia. Era un piccolo malavitoso, dice un suo ex compagnuccio dei Pac ( una delle tante sigle stupide che, in nome del comunismo, si davano da fare per fottere definitivamente il comunismo). E’ un assassino, dicono quelli che fanno baccano perché sia sepolto definitivamente nelle patrie galere. E’ un assassino di sinistra, dicono quelli che fanno baccano perché seppellisca definitivamente anche la sinistra (o almeno collabori al processo). Chi se ne frega se è uno scrittore, dicono quelli a cui, comunque, gli scrittori stanno sulle palle. Bisogna tagliare i ponti col Brasile che non vuole restiturcelo, dicono i berluscones. Bisogna farcelo restituire dal Brasile ma senza tagliare i ponti perché i ponti rendono, dice Berlusconi.

Bisogna appenderlo per i piedi. Metterlo in galera e buttare la chiave. Bisogna metterlo in una galera nostra, che i sorci verdi glieli facciamo vedere noi. Perché noi lo odiamo veramente, e gli altri molto meno. In questo crescendo di grida, in questo lievitare di anime improvvisamente commosse dagli orfani delle vittime degli anni di piombo, mi nasce il sospetto che la Presidente Brasiliana, abbia ragione a non spedircelo, il Battisti. Tutto c’è , in Italia, fuorchè una garanzia di rispetto, quando un essere umano diventa un simbolo, un oggetto significativo nello scambio di colpi bassi. La maschera del terrorista rosso, snob infingardo e tracotante, nel sanguinoso teatro della politica.

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Commento di Sergio Ghirardi:

Scorrendo rapidamente (mai esporsi troppo a lungo ai rifiuti tossici) la maggior parte dei commenti di questo blog, ho la netta impressione che la signora Ravera abbia fin troppo ragione nell’essenziale (che su alcuni commenti è invece discutibile): Battisti è solo una scusa.

Non solo per i registi dello spettacolo che ne tirano profitti ideologici da un lato o dall’altro di una morale ipocrita, ma anche per le sue vittime designate (dello spettacolo, intendo): i cittadini spettatori arrivati finalmente alla libera espressione nel mondo virtuale di Internet. La finzione è al parossismo: si parla della vita e della morte, di colpe e di soprusi come in una playstation si uccide un cattivo schiacciando il pulsante e passando al successivo. I cittadini spettatori si insultano goffamente tra schiavi rabbiosi, da destra o sinistra, ma non si capisce neppure più chi parla in camicia nera e chi inalbera bandiere rosse perché sguazzano tutti nella stessa melma daltonica di una vita confiscata.

Consumatori smettetela di consumarvi sparando spot pubblicitari di convinzioni inconsistenti, protesi dei vostri corpi dolorosi appiccicate come francobolli su una lettera mai spedita. Meritate di meglio e anche noi.