giovedì 26 maggio 2011

Mozzarelle di bufala sul Mullah Omar


BUFALE SUL MULLAH OMAR di Massimo Fini

Lunedì tutte le televisioni del mondo, dalla Cnn alla Tv di Stato iraniana alle nostre, hanno dato come notizia di testa la morte del Mullah Omar avvenuta in uno scontro coi servizi segreti pachistani. Poiché ho pubblicato un mese fa un libro sul Mullah delle televisioni e delle radio (private, io non ho accesso alla Tv pubblica, sono un cittadino di serie Bwin) mi hanno chiesto un parere. Mi sono messo a ridere. È esattamente la sesta volta che si dà il Mullah Omar per morto, catturato, arrestato, ucciso, accoppato, ferito, in fin di vita. Anche la notizia di lunedì era una bufala. Non era necessario essere degli esperti per capirlo. Una fonte anonima aveva riferito ai servizi segreti afghani (buoni quelli) che i servizi segreti pachistani avevano intercettato Omar e lo avevano ucciso. I servizi afghani avevano rilanciato la notizia poi ripresa in tutto il mondo. C’erano però delle particolarità curiose.

Chi sosteneva che il Mullah era stato intercettato mentre da Quetta (Pakistan), dove gli sprovveduti credono ci sia la sua base, si stava dirigendo verso il Waziristan e chi verso il sud-ovest del Pakistan, cioè più o meno dalla parte opposta. Intanto la conferma ufficiale tardava ad arrivare. I servizi pachistani sostenevano che stavano prendendo tempo per fare delle verifiche sul corpo del Mullah Omar per un’identificazione certa. Ora, Omar è alto un metro e 98, ha un’orbita vuota perché ha perso un occhio in battaglia e quattro profonde ferite sul corpo. Non dovrebbe essere poi così difficile identificarlo. In serata si è arrivati al grottesco. I servizi segreti afghani facevano sapere che il Mullah non era né morto né ferito “ma da quattro giorni era scomparso dal suo rifugio. Gli danno la caccia da dieci anni, se sapessero dov’è il rifugio lo avrebbero già preso da quel dì. La cosa più sensata l’ha detta il generale Hamid Gul, l’ex capo dei servizi segreti pachistani, che secondo le prime versioni sarebbe stato proprio quello che aveva intercettato e ucciso Omar: “Non ho avuto nessuno scontro col Mullah Omar. È un’assurdità. Non so perché stiano mettendo in circolazione queste voci. Sono semplicemente ridicole. Secondo i rapporti americani il 75 per cento dell’Afghanistan è in mano talebana. Hanno i loro sistemi amministrativi e giudiziari paralleli. Perché mai il Mullah Omar dovrebbe nascondersi in Pakistan? Non lo capisco proprio”.

Insomma è finito tutto nella solita bolla di sapone. Il Mullah Omar, come ha detto uno dei suoi portavoce, continua a guidare la guerriglia. Se fosse morto sarebbe stato un duro colpo. Per l’Occidente. E per gli Stati Uniti in particolare. Nell’insurrezione afghana contro gli occupanti, il nucleo dei Talebani “duri e puri” delle origini è ridotto all’osso. Molti sono morti in battaglia, alcuni sono stati fatti prigionieri. Alla guerriglia si sono aggiunti (oltre ai ‘giovani leoni’, ragazzi dai venti ai trent’anni che, a differenza di Omar e dei suoi compagni della prima ora, non hanno fatto l’esperienza del jihad contro i sovietici), i gruppi più svariati che hanno un obiettivo, più che ideologico, molto pratico: cacciare lo straniero. Solo una personalità fortissima col prestigio di cui gode Omar può tenere insieme questa variegata galassia. Ma questo vuol dire anche che il Mullah Omar è l’unico interlocutore possibile per quella exit strategy cui gli Stati Uniti pensano e lavorano da un paio di anni senza cavare un ragno dal buco proprio perché, finora, si sono rifiutati di trattare col capo dei Talebani su cui hanno messo una taglia di 25 milioni di dollari senza trovare nessuno che fosse disposto a tradirlo. Ma se Omar non ci fosse, se morisse, qualsiasi accordo non potrebbe essere che parziale, con frammenti della guerriglia, mentre gli altri continuerebbero a combattere e si sarebbe punto e a capo. Ma anche il Mullah Omar, oggi, ha interesse a trattare. Si è ripreso il 75 per cento del territorio, ma più in là non può andare. Le grandi città, Kabul, Herat, Mazar-i Sharif, restano fuori dalla portata della guerriglia per l’enorme disparità degli armamenti. Tanto è vero che quest’anno i Talebani hanno rinunciato alla consueta “offensiva di primavera” limitandosi a consolidare le proprie posizioni e a liberare, con un colpo magistrale, 500 loro militanti rinchiusi nella prigione di Kandahar.

La situazione è quindi di stallo. Per gli uni e per gli altri. Ma non può andare avanti all’infinito. Gli afghani hanno il tempo dalla loro, come sempre, gli Stati Uniti no, perché per quella “guerra che non si può vincere” spendono, in un momento di crisi economica, 40 miliardi di dollari l’anno e immobilizzano 130 mila soldati (più i 40 mila degli alleati) mentre i bubboni del terrorismo, con tutta evidenza, sono altrove. Trattare con il Mullah Omar? È possibile. Purché ci si convinca che non è, e non è mai stato, un terrorista, che non è un criminale, né un pazzo, né un cretino e, a parte certa sua cocciutaggine, un uomo con cui si può ragionare. Ma se si continua a considerarlo un sodale di Bin Laden, quale non è mai stato, tanto che quando nel 1998 il presidente Clinton gli propose di ucciderlo era d’accordo, se lo si bolla, come ha fatto la disinformatissima Tv di Stato italiana, come “genero di Bin Laden” (che ne abbia sposato una figlia è una, non innocente, fandonia occidentale), allora non si va da nessuna parte. E saranno gli afghani col tempo, con pazienza, come han fatto con gli inglesi nell’800 e con i sovietici 30 anni fa, a cacciare anche gli arroganti occidentali, senza nessuna exit strategy ma con una fuga a rotta di collo tipo Vietnam.

Il Fatto Quotidiano, 25 maggio 2011

Ghirardi Sergio scrive: il 26 maggio 2011

Fini (il Massimo) parte sempre con una presa di distanza critica apprezzabile dalle panzane che lo spettacolo dominante ci fa bere ma finisce poi per appoggiare la sua sensibilità su un affondo contro Sakineh o un peana sulla moderazione talibana. Il suo sguardo aperto oltre l’orizzonte asfittico della truffa ideologica degli esportatori di democrazia mercantile diventa strabico quando guarda oltre la sua prigione occidentale. Troppo spesso si attacca alla prima bambola gonfiabile di un qualche manicheismo reazionario esotico e il bene e il male restano divisi dal muro non dialettico di un atteggiamento da tifosi. Così gli rispondono stizziti i tifosi avversi ai quali rinvierà un altro strato di antiideologia che più ideologica non si può.

Urge uscire dall’ipnosi binaria. Smetterla di scegliere tra lo spettacolo A e quello B. La sensibilità che Fini si sforza di diffondere come critica delle vecchie forme di potere merita di essere affinata dall’uso di quel metodo dialettico senza il quale si finisce per coltivare caratterialmente il brodo di coltura di dogmatici fanatismi speculari. In Afghanistan ci sono stato in tempi non sospetti (o forse diversamente sospetti) e non credo il paese riducibile a uno sguardo meccanicista.

Certo io auspico l’autonomia di quel popolo nell’ambito della cultura che è la sua. Ciò implica però per chi non ne fa parte, la responsabilità di non fare nessuna concessione ideologica a nessun oscurantismo. Se noi siamo i figli sfigati del feticismo della merce, i monoteismi arcaici ne sono stati e ne sono ancora dovunque i precursori che, in situazioni specifiche, diventano i cavalli di ***** delle mostruosità a venire. Non si può cauzionare né la cosca di Bush e confraternite varie né i Mullah Omar e le ideologie politico-religiose che portano in sé effetti disastrosi per l’uomo e soprattutto per la donna.

Ognuno avanzi a suo modo, ma sosteniamo tutti insieme quella terza via laica e libertaria che prepara il superamento del capitalismo planetario.

Ghirardi Sergio aggiunge lo stesso:26 maggio

Trovo più kafkiano e preoccupante che divertente il fatto che il nome della città assediata e distrutta dagli Achei più di tremila anni fa (*****: Troia) venga oscurato nel mio commento sul Blog del Fatto per cattolico, ipocrita e probabilmente meccanico perbenismo. Vi rendete conto a quale tasso di alienazione siamo giunti?

Anziché “cavalli di Troia” avrei dovuto forse scrivere “i cavalli di donna dai facili costumi” o magari “di escort” per non venir fucilato dagli asterischi sessuofobici della sacrestia virtuale.