domenica 26 giugno 2011

La verginità della madonna e l’oppio dei popoli


Commento all’articolo di Marco Travaglio MAX THE FOX , su D’Alema and co., sul Fatto di Sabato 25 giugno.

La trasparenza del fenomeno è ormai inequivocabile. Direi inutile da rimembrare. Il problema è che gli elettori del PD, per esempio, oltre che alla verginità della madonna credono (ed è ancora più grave) a quella di Fassino, di D'Alema, Bersani e compagnia, con alternative altrettanto clericali quali Vendola e Di Pietro.

Il problema più tipicamente italiano è il clericalismo di destra e di sinistra. Il centro non è che il buco profondo nel quale scivolano, finendo regolarmente in Casini vari, tutti i moderati senza passione, in fuga dall'estremismo vero o presunto (spauracchio nel quale si è stritolato ogni pensiero radicale).

Vaticano, Opus Dei, Comunione e Liberazione, Licio Gelli e altri massoni, gli ex stalinisti e i devoti di ogni autorità passata, presente o futura, radicali da salotto alla Pannella diventati i domestici dietetici della critica asservita, sono tutti guitti più o meno cinici, al soldo della società dello spettacolo.

La disumanità di ogni religione fa da sfondo alla disumanità della politica. L'invenzione di una laicità attiva e autonoma, non confusa volontariamente nell'ecumenismo come invece la amano e la invocano i teologi spettacolari del cristianesimo (Razinger) o del marxismo (Cacciari), è la tabula rasa indispensabile per rompere con la superstizione che fa della società italiana la preda ideale di ogni logica mafiosa, di ogni corruzione e di ogni ipocrisia.

Lo stivale delle sette Leghe (Nord, Sud, Roma ladrona, Mafia, N'drangheta, Camorra e Sacra Corona Unita) non ha mai conosciuto una radicale laicità. Anche per questo l'Italia è spesso il laboratorio storico dei soprusi del capitalismo planetario.

Movimento a cinque stelle, indignati o arrabbiati di tutti i paesi, città o campagne, solo la rottura autentica con lo spettacolo della politica business potrà dare inizio alla nuova civiltà che già preme non del tutto consciamente, ancora senza certezze, nelle rivolte più o meno abbozzate che agitano il mondo.

Sergio Ghirardi

DALLA PARTE DEGLI INDIANI

Questo commento, un po’ ridotto, è stato inviato al blog del Fatto concernente la TAV, domenica 26 giugno.


Il tran tran dello spettacolo dominante riprende dopo la piacevole ubriacatura dei quattro sì buttati giù d’un fiato. Il business di destra e di sinistra torna a stringere nelle sue spire oggettivamente mafiose il respiro di una vita che non sa che farsene della crescita se non crescono – anzi diminuiscono – la gioia e la volontà di vivere.

Servitori volontari e decisionisti prezzolati sputano la saggezza degli schiavi e spiegano – mentendo spudoratamente – che il traforo della Val di Susa è altrettanto indispensabile di una centrale nucleare.

C’è, tuttavia, un fondo di ragione, nei loro calcoli da droghieri ignoranti e senza scrupoli, perché nucleare e alta vrelocità rispondono alla stessa logica: più business e lavoro per tutti nello spot propagandistico; sopravvissuti obbedienti oggi e morti domani, distillati anonimamente dal processo di inquinamento strutturale di cui il capitalismo è portatore malsano, nella realtà dei fatti.

Più che da discutere sulla falsità evidente delle argomentazioni, c’è da scegliere un campo.

Un Fassino, burocrate amante di un popolo sfruttato al punto che senza la continuità della truffa economica perderebbe il suo ormai secolare salario di gestore sobrio e moderato dell’orrore capitalistico non può che essere per una TAV sinistra. E i piccolissimi borghesi di una lumpen borghesia asservita al denaro miserabile, non possono che vomitare i loro commenti dal buon senso ottuso e mostruoso, ridendo di tutti i diversi – diversi da loro – che osano pensare alla natura come a un complice possibile da rispettare per rispettare se stessi anziché come un nemico, uno stupido selvaggio da dominare e da sfruttare come l’ultimo degli schiavi, come l’ultimo dei lavoratori di cui sono gli eredi sempre più disoccupati e pronti a tutto pur di essere integrati nel sistema produttivo ormai impazzito.

Come per il nucleare, due culture si oppongono: quella della vita con i suoi dubbi, le sue incertezze, i suoi errori, le sue voglie, la sua prudenza e la sua dignità e quella della morte redditizia e indegna, impegnata fino all’ultimo respiro nello sfruttamento a qualunque costo dell’uomo e dell’ecosistema.

Si tratta di scegliere e le cariche della polizia potranno solo ritardare l’appuntamento con la storia, garantire ancora qualche mazzetta o stipendio rubato da eletti in nome di un popolo sovrano che in realtà non dirige nulla della sua vita reale ma che viene fatto uscire dal cappello dell’illusionista ogni volta che lo si vuole fregare col suo consenso.

Si tratta, in ultima analisi, di scegliere tra gli indiani e i cowboys pronti a rifilare, generosamente, agli indigeni delle coperte al vaiolo pur di liberarsi delle loro fastidiose proteste e della loro scandalosa intelligenza sensibile: “Quando l’ultimo uccello sarà sparito, l’ultima sorgente avvelenata, l’ultimo frutto inquinato, vi accorgerete che il denaro non si può mangiare, bere, respirare”.

E’ la democrazia spettacolare, mes amis, vale a dire l’oclocrazia che si nasconde sotto la sua maschera, ma, in un modo o nell’altro, tutto ciò sta per finire.

Lascia perdere le ideologie e scegli il tuo campo, amica/o, compagna/o, fratello, sorella!

Sergio Ghirardi


domenica 19 giugno 2011

INDIGNATI, ANCORA UNO SFORZO …

Più di due secoli fa, nel fervore della rivoluzione francese in corso, Jacques Roux, Théophile Leclerc e Jean Varlet furono definiti “arrabbiati” dai loro nemici e avversari politici.

Insieme a Gracchus Babeuf, i tre sono stati tra i più importanti rappresentanti del movimento rivoluzionario della loro epoca.

Oltre le loro palesi differenze, tutti e quattro osarono allora attaccare la borghesia frontalmente, senza mezzi termini, denunciando fin dall’inizio trionfale della rivoluzione della cittadinanza borghese il fatto che la guerra per la supremazia commerciale ingaggiata dalla nuova classe dominante era una rivoluzione contro l’Ancien Régime, ma anche una controrivoluzione preventiva contro i lavoratori precari, i braccianti e l’insieme della popolazione più modesta.

Gli arrabbiati seppero stigmatizzare tutte le ideologie; osarono addirittura sconsacrare l’idolo rivoluzionario Robespierre ben prima della sua clamorosa caduta sotto la lama di quella ghigliottina da lui tanto apprezzata.

Osarono infatti trattarlo da “despota insolente dell’opinione pubblica”, mentre di fronte ai Montagnardi rinchiusi nel legalismo opportunista del loro parlamentarismo, seppero proclamare la necessità di un’azione diretta del popolo sovrano per una democrazia diretta.

Anticipavano, senza saperlo, i tempi che siamo oggi costretti ad attraversare con la coscienza di classe in meno e con l’urgenza della catastrofe ambientale che incombe in più.

In un paese come l’Italia, dove, nel 2011, neppure la laicità redditizia della vecchia rivoluzione borghese è un dato acquisito, pur se la modernità produttivistica ha trasformato le classi in caste e le caste in cosche, riprendere questo documento ormai plurisecolare per restituirlo alla memoria e alla riflessione dei nascenti cittadini di un presente drasticamente proletarizzato, non manca, paradossalmente, di strabilianti coincidenze con l’attualità della questione sociale. Mutatis mutandis, molte delle questioni, in particolare economiche e sociali, sollevate dagli arrabbiati hanno mantenuto oggi, se non addirittura accentuato, la loro pertinenza.

Tra una corruzione politica dilagante e dei segni di insofferenza sempre più manifesti da parte di cittadini confrontati all’ottusa superbia ignorante dei loro rappresentanti - che, tra l’altro, gli elettori non hanno scelto, ma sono stati imposti loro dai partiti -, come non chiedersi quando i truffati della democrazia spettacolare si decideranno, non solo a riempire le urne dei referendum popolari, ma anche a svuotare le aule del Parlamento facendo giustizia, senza ghigliottine o capestri ma senza pietà alcuna per i re del bunga-bunga, per il clero oscurantista degli Scilipoti, per gli inquisiti e altri avanzi di galera, per i Montagnardi collusi del PD e affini, per i controrivoluzionari di destra e per gli ultimi giacobini gauchisti in ritardo di una rivoluzione?

Sulla scia delle aspettative nate nella rete e esplose un po’ dovunque nel mondo, in quest’anno di cambiamenti epocali, il popolo senza capi e con poche idee ma sempre meno confuse, potrebbe realizzare il sogno libertario della democrazia diretta. Una tale rivoluzione essenzialmente pacifica, è ormai affiorante tanto nel moltiplicarsi delle insurrezioni pacifiche che nell’inquietudine del potere e nella sua repressione omicida. L’imporsi di una democrazia direttamente gestita dal popolo sovrano può rinviare nella spazzatura della storia il totalitarismo economicista che dirige il business planetario ma non governa affatto il mondo umano.

Sergio Ghirardi

Manifesto degli arrabbiati, 25 giugno 1793

Delegati del popolo francese,

cento volte questa sacra adunanza ha risuonato dei crimini degli egoisti e dei farabutti; voi ci avete sempre promesso di colpire le sanguisughe del popolo. L’atto costituzionale sta per essere presentato alla sanzione del sovrano; vi avete, forse, proscritto l’aggiotaggio? No! Avete pronunciato la pena di morte per gli accapparratori? No. Avete determinato in che cosa consiste la libertà di commercio? No. Avete proibito la speculazione sulla moneta? No. Ebbene noi vi denunciamo per non avere fatto tutto il necessario per la felicità del popolo.

La libertà non è che un vano fantasma quando una classe di uomini può affamare l’altra impunemente. L’uguaglianza non è che un vano fantasma quando il ricco, attraverso i monopoli, esercita il diritto di vita e di morte sul suo simile. La Repubblica non è che un vano fantasma quando la controrivoluzione opera, giorno dopo giorno, attraverso i prezzi delle derrate alle quali i tre quarti dei cittadini non possono accedere senza versare lacrime.

Tuttavia, solo mettendo fine al brigantaggio della speculazione, che va nettamente distinta dal commercio, e mettendo i beni commestibili alla portata dei sanculotti voi riuscirete a renderli fedeli alla rivoluzione e a raggrupparli attorno alle leggi costituzionali.

Insomma! Per il fatto che dei mandatari infedeli, gli uomini di Stato, hanno richiamato sulla nostra patria infelice la calamità della guerra straniera, dobbiamo dunque permettere che il ricco ce ne dichiari una ancora più terribile all’interno? Poiché trecentomila francesi, proditoriamente sacrificati, sono morti sotto il ferro omicida degli schiavi del re, bisogna dunque che coloro che vigilavano sui loro focolari siano ridotti a divorare delle pietre? Bisogna che le vedove dei morti per la causa della libertà paghino a prezzo d’oro persino i fazzoletti con cui asciugano le loro lacrime? Che paghino a prezzo d’oro il latte e il miele che servono di cibo ai loro figli?

Mandatari del popolo, allorché accoglieste tra di voi i complici di Dumoriez, i rappresentanti della Vandea, i realisti che hanno cercato di salvare il tiranno, gli uomini esecrabili che hanno organizzato la guerra civile, i senatori inquisitori che hanno messo sotto accusa il patriottismo e la virtù, la sezione dei Gravilliers sospese il suo giudizio … Accortasi che la Montagna non era in grado di fare il bene che aveva a cuore, essa si levò …

Oggi, tuttavia, che il santuario delle leggi non è più infangato dalla presenza dei Gorsas, dei Brissot, dei Pétion, dei Barbaroux e degli altri capi degli appellanti, oggi che questi traditori, per sfuggire al patibolo, sono andati a nascondere la loro nullità e la loro infamia nelle regioni che hanno fanatizzato; oggi che la Convenzione nazionale è restituita alla sua dignità e al suo vigore e non ha bisogno per operare per il bene che di volerlo, vi scongiuriamo, nel nome della salvezza della repubblica, di lanciare un anatema costituzionale sull’aggiotaggio e sugli accaparramenti, dichiarando il principio generale che il commercio non consiste nel rovinare, nel mettere alla disperazione e affamare i cittadini.

Da quattro anni, soltanto i ricchi hanno approfittato della Rivoluzione. L’aristocrazia mercantile, ancora più terribile di quella nobiliare e sacerdotale, si è permessa il gioco crudele d’invadere le fortune individuali e i tesori della repubblica; ignoriamo ancora fin dove arriveranno le loro esazioni, poiché il prezzo delle merci aumenta in modo terribile dal mattino alla sera.

Cittadini rappresentanti, è tempo che la lotta a morte che l’egoista ha dichiarato alla classe più laboriosa della società cessi. Pronunciatevi contro gli aggiotatori e gli accaparratori. Obbediranno o no ai vostri decreti. Nella prima ipotesi avrete salvato la patria; nel secondo caso avrete ancora salvato la patria poiché noi saremo in grado di riconoscere e colpire le sanguisughe del popolo.

Insomma! Le proprietà dei delinquenti sarebbero dunque più sacre della vita dell’uomo? L’esercito è a disposizione dei corpi amministrativi, come può essere concepibile che i materiali di sussistenza non siano requisibili? Il legislatore ha il diritto di dichiarare la guerra, cioè di far massacrare gli uomini, e non avrebbe il diritto d’impedire che si spremano e si affamino quelli che proteggono i loro focolari?

Il diritto di commercio è il diritto di usare e di far usare. Le derrate necessarie per tutti devono essere disponibili a un prezzo accessibile a tutti, pronunciatevi dunque, ancora una volta … i sanculotti con le loro picche faranno eseguire i vostri decreti.

Voi non avete esitato a condannare a morte quelli che hanno osato proporre un re e avete fatto bene; avete appena messo fuorilegge i controrivoluzionari che, a Marsiglia,hanno arrossato i patiboli del sangue dei patrioti, e avete fatto bene; la patria vi avrebbe riconosciuto un merito ancora maggiore se aveste espulso dall’esercito i nobili e i nominati dalla corte; se aveste preso in ostaggio le donne, i figli degli emigrati e dei cospiratori, se aveste sequestrato per spese di guerra le pensioni dei suddetti privilegiati, se aveste confiscato, a profitto dei volontari e delle vedove, i tesori acquisiti dopo la rivoluzione dai banchieri e dagli accaparratori; se aveste cacciato dalla Convenzione i deputati che hanno votato l’appello al popolo, se aveste consegnato ai tribunali rivoluzionari gli amministratori che hanno provocato il federalismo, se aveste colpito con la spada della legge i ministri e i membri del consiglio esecutivo che hanno lasciato formare un nucleo di controrivoluzionari in Vandea, se infine aveste messo agli arresti quelli che hanno firmato le petizioni anticiviche, ecc. ecc. Or dunque, gli accaparratori e gli aggiotatori non sono altrettanto e ancora più colpevoli? Non sono anche loro dei reali assassini nazionali?

Non abbiate timore, dunque, di far cadere su quei vampiri la folgore della vostra giustizia. Non abbiate paura di rendere il popolo troppo felice. Certo, non ha mai fatto calcoli quando si è trattato di fare tutto per voi. Vi ha provato, in particolare il 31 maggio e il 2 giugno, che voleva la libertà per intero. Dategli in ritorno del pane e un decreto; impedite che il buon popolo sia sottoposto alla difficoltà ordinaria e straordinaria a causa del prezzo esorbitante dei beni commestibili.

Finora, i grandi mercanti che per principio sono i responsabili del crimine e per abitudine i complici dei re, hanno abusato della libertà di commercio per opprimere il popolo; hanno dato una falsa interpretazione dell’articolo della dichiarazione dei diritti dell’uomo che stabilisce il permesso di fare tutto quel che la legge non proibisce. Ebbene! Decretate costituzionalmente che l’aggiotaggio, la speculazione monetaria e gli accaparramenti sono nocivi per la società. Il popolo che sa riconoscere gli amici veri e che soffre da troppo tempo, vedrà che vi siete impietositi della sua sorte e che volete seriamente guarire i suoi mali; quando avremo una legge chiara e precisa, nell’atto costituzionale, contro l’aggiotaggio e gli accaparramenti, vedrà che la causa del povero vi tiene più a cuore che quella del ricco; vedrà che tra di voi non si annidano banchieri, armatori e monopolizzatori; vedrà, infine, che non siete i fautori della controrivoluzione.

Voi avete, in effetti, decretato per i ricchi un prestito forzato di un miliardo, ma se non sradicate l’albero dell’aggiotaggio, se non mettete un freno nazionale all’avidità degli accaparratori, il capitalista e il mercante sottrarranno questa somma ai sanculotti fin dal giorno successivo, con il monopolio e le concussioni; non è più, allora, l’egoista che avete colpito ma il sanculotto; prima del vostro decreto il droghiere e il banchiere non smettevano di spremere i cittadini; quale vendetta eserciteranno ora che li obbligate alla contribuzione? Quale nuovo tributo imporranno al sangue e alle lacrime dell’infelice?

Si obietterebbe invano che l’operaio riceve un salario in ragione dell’aumento del prezzo delle derrate. In realtà ce n’è qualcuno il cui darsi da fare è pagato più caro, ma ce ne sono molti la cui mano d’opera tocca un salario inferiore dopo la rivoluzione. Del resto, non tutti i cittadini sono operai; non tutti gli operai sono occupati e tra quelli che lo sono, alcuni hanno otto o dieci figli incapaci di guadagnarsi da vivere, mentre le donne non guadagnano, in generale, più di venti soldi al giorno.

Deputati della Montagna, se foste saliti oltre il terzo piano, fino al nono delle case di questa città rivoluzionaria, sareste stati commossi dalle lacrime e dai gemiti di un popolo immenso senza pane e senza vestiti, ridotto a un tale stato di indigenza e di sofferenza dall’aggiotaggio e dagli accaparramenti poiché le leggi sono state crudeli verso il povero e sono state fatte solo dai ricchi e per i ricchi.

Rabbia e vergogna del XVIII secolo! Chi mai crederà che i rappresentanti del popolo francese che hanno dichiarato la guerra ai tiranni all’estero siano stati tanto vigliacchi da non schiacciare quelli interiori? Sotto il regno dei Sartines e dei Flesselles, il governo non avrebbe tollerato che si facessero pagare le derrate di prima necessità tre volte di più del loro valore; che dico? Fissavano il prezzo delle armi e della carne per il soldato mentre la Convenzione, investita della forza di venticinque milioni di uomini sopporterà che il mercante e il ricco egoista le portino, come al solito, il colpo mortale, tassando arbitrariamente le cose più utili alla vita. Per mettere in atto la controrivoluzione, Luigi Capeto non aveva bisogno di provocare la rabbia delle potenze straniere. I nemici della patria non avevano bisogno d’incendiare con una pioggia di fuoco le regioni occidentali. L’aggiotaggio e gli accaparramenti sono sufficienti per rovesciare l’edificio delle leggi repubblicane.

Ma è la guerra, si dirà, che causa i prezzi proibitivi dei viveri. Perché, dunque, rappresentanti del popolo, l’avete finalmente provocata? Perché mai, sotto il crudele Luigi quattordicesimo, i francesi seppero respingere la linea dei tiranni senza che l’aggiotaggio distendesse su quell’impero lo stendardo della rivolta, della carestia e della devastazione? E grazie a questo pretesto diventerebbe, dunque, lecito al mercante vendere la candela, il sapone e l’olio a sei franchi la libbra?

Con il pretesto della guerra, dunque, il sanculotto pagherebbe i sandali cinquanta sterline al paio e altrettanto una camicia o un brutto cappello. Sarà così possibile dire che le predizioni dei Cazalès e dei Maury si sono avverate; in tal caso, però, voi avreste cospirato con loro contro la libertà della patria, che dico, li avreste superati per tradimento. In tal caso gli spagnoli e i prussiani potrebbero dire: noi siamo liberi di incatenare i francesi poiché non hanno il coraggio di incatenare i mostri che li divorano, per poi aggiungere che sperperando in tal modo dei milioni, associando il borghese e il mercante facoltoso al partito dei controrivoluzionari, la repubblica si distruggerebbe da sola.

È la moneta cartacea, si dirà ancora, a essere causa del caro vita: ah! I sanculotti non si accorgono quanta ne circoli. Del resto la sua prodigiosa emissione è la prova del corso in vigore e del prezzo che vi si lega. Se l’assegno ha un’ipoteca reale e riposa sulla lealtà della nazione francese, la quantità di effetti nazionali non inficia per nulla il loro valore. Il fatto che ci sia molta moneta in circolazione, è forse una ragione per dimenticare di essere uomini, per immischiarsi nelle taverne del commercio dei brigantaggi, per rendersi padroni della fortuna e della vita dei cittadini, per impiegare tutti i mezzi d’oppressione suggeriti dall’avarizia e dallo spirito di parte, per incitare il popolo alla rivolta e forzarlo con la fame e con il supplizio dei bisogni a divorare le proprie budella?

Se gli assegni cartacei si svalutano molto nel commercio, perché dunque i banchieri, i negozianti e i controrivoluzionari interni e esteri ne riempiono i forzieri? Perché hanno la crudeltà di diminuire il salario di certi operai e non accordano alcuna indennità agli altri? Perché non offrono il prezzo pattuito quando si procacciano i domini nazionali? L’Inghilterra, il cui debito eccede forse di venti volte il valore del suo territorio e non è florida che per il denaro cartaceo della sua banca, paga forse, in proporzione, le derrate salate quanto noi? Ah, il ministro Pitt è troppo in gamba per lasciare opprimere a tal punto i sudditi di Giorgio! E voi, cittadini rappresentanti, voi, deputati della Montagna, voi che vi fate gloria di fare parte dei sanculotti, dall’alto del vostro immortale piedistallo, non annienterete l’Idra sempre rinascente dell’aggiotaggio!

Si aggiunge anche che molti articoli vengono dall’estero, dove non si accettano altri pagamenti che in denaro. Il che è falso: il commercio si è quasi sempre fatto scambiando merce contro merce e carta contro carta; spesso si è persino preferito avere degli assegni che del contante. La moneta metallica che circola in Europa non basterebbe per acquistare la centomillesima parte dei biglietti in emissione. È dunque chiaro come il giorno che gli aggiotatori e i banchieri non discreditano gli assegni che per vendere più caro il loro denaro, per riuscire a fare impunemente monopolio e trafficare nella cassa del sangue dei patrioti che bruciano dalla voglia di versare.

Non si sa, però, come andranno le cose. Con totale certezza, gli amici dell’uguaglianza non accetteranno a lungo che li si lasci sgozzare all’estero subendo all’interno l’assedio della fame. Certo, non resteranno sempre le vittime ignare di questa peste pubblica, dei ciarlatani che ci mordono come vermi, degli accaparratori le cui botteghe non sono più che dei ritrovi di delinquenti.

Mentre la pena di morte è pronunciata contro chiunque tenti di restaurare la monarchia, mentre innumerevoli legioni di cittadini soldati formano con le loro armi una volta d’acciaio e vomitano dappertutto fuoco e fiamme su un’orda di barbari, il banchiere e l’accaparratore possono affermare che non sapevano come sarebbero andate le cose? Del resto, se essi lo ignorano noi siamo qui per spiegarglielo. Il popolo vuole la libertà e l’uguaglianza, la repubblica o la morte; ed ecco, precisamente quel che vi riempie di disperazione, aggiotatori, vile supporto della tirannia.

Non essendo riusciti a corrompere il cuore del popolo, a soggiogarlo con il terrore e la calunnia, impiegate le ultime risorse degli schiavi per soffocare l’amore per la libertà. Vi impadronite delle manifatture, dei porti di mare, di tutti i settori del commercio, di tutte le produzioni della terra per fare morire di fame, di sete e di nudità gli amici della patria, spingendoli a gettarsi nelle braccia del dispotismo.

Eppure, i delinquenti non ridurranno in schiavitù un popolo che non vive che di ferro e di libertà, di privazioni e di sacrifici. Preferire delle antiche catene e dei tesori alla Repubblica e all’immortalità, è riservato ai partigiani della monarchia.

Dunque, mandatari del popolo, la leggerezza che voi potreste continuare a mostrare sarebbe interpretata come un atto di vigliaccheria, un crimine di lesa nazione. Non si deve temere d’incorrere nell’odio dei ricchi, cioè dei cattivi. Non si deve temere di sacrificare i principi politici alla salvezza del popolo che è la legge suprema.

Convenite con noi, dunque, che autorizzate il discredito della moneta cartacea per pusillanimità, che riparate la bancarotta tollerando degli abusi, delle truffe che avrebbero fatto arrossire il dispotismo negli ultimi giorni della sua barbara potenza.

Sappiamo, senza dubbio, dell’esistenza di mali irreparabili di una grande rivoluzione; che c’è da essere pronti a qualunque sacrificio per il trionfo della libertà, e che non c’è prezzo troppo alto per il piacere di essere repubblicani; ma sappiamo anche che il popolo è stato tradito da due legislature; che i vizi della Costituzione del 1791 sono stati la fonte delle calamità pubbliche e che è giunta l’ora che il sanculotto che ha spezzato lo scettro dei re, veda la fine delle insurrezioni e di ogni tipo di tirannia.

Se non vi ponete un pronto rimedio, come sopravvivranno quelli che non hanno nessuno stato, che non hanno che 2, 3, 4 o 6 sterline di rendita, ancora mal pagati o in pensione di vecchiaia o tributari di casse particolari? Come, se voi non fermate la corsa dell’aggiotaggio e degli accaparratori con un decreto costituzionale non soggetto alle variazioni del legislatore? È possibile che non ci sia la pace che tra vent’anni e le spese di guerra occasionerebbero una nuova emissione di moneta cartacea; vorreste dunque perpetuare i nostri mali per tutto questo tempo, già troppo lungo, con l’autorizzazione tacita dell’aggiotaggio e degli accaparramenti? Sarebbe il modo di espellere tutti gli stranieri patrioti e di impedire ai popoli schiavi di venire a respirare in Francia l’aria pura della libertà.

Non è dunque bastato che i vostri predecessori, la maggior parte d’infame memoria, ci abbiano legato la monarchia, l’aggiotaggio e la guerra senza che voi ci leghiate la nudità, la fame e la disperazione? Bisogna anche che i realisti e i moderati, con il pretesto della libertà di commercio, divorino ancora le manifatture, le proprietà? Che s’impadroniscano del grano dei campi, delle foreste e delle vigne, della stessa pelle degli animali e che bevano in coppe dorate il sangue e le lacrime dei cittadini, sotto la protezione della legge?

Deputati della Montagna, no e poi no, voi non lascerete la vostra opera incompiuta; voi metterete le basi della prosperità pubblica; consacrerete i principi generali e repressivi dell’aggiotaggio e dell’accaparramento; non darete ai vostri successori il terribile esempio della barbarie degli uomini di potere sui deboli, del ricco sul povero; non terminerete la vostra carriera con ignominia.

Con questa piena fiducia ricevete qui il nuovo giuramento che noi facciamo di difendere fino alla tomba la libertà, l’uguaglianza, l’unità e l’indivisibilità della Repubblica e i sanculotti oppressi di tutte le regioni.

Che vengano, che vengano presto a Parigi a cementare i legami di fratellanza! Mostreremo loro, allora, le picche immortali che hanno rovesciato la Bastiglia; quelle picche che la commissione dei dodici e la fazione degli uomini di Stato fa cadere in putrefazione, quelle picche che faranno giustizia degli intriganti e dei traditori, qualunque sia la loro maschera e in qualunque paese abitino. Li condurremo, dunque, ai piedi di quella giovane quercia dove i marsigliesi e i sanculotti abiurarono i loro errori e giurarono di rovesciare il trono. Allora, infine, li condurremo nel santuario delle leggi dove con mano repubblicana mostreremo loro la fazione che volle salvare il tiranno e la Montagna che ne decretò la morte.

Viva la verità, viva la Convenzione nazionale, viva la Repubblica francese !

"Siamo sia i prigionieri che le guardie di noi stessi."


in commento al post

http://www.beppegrillo.it/2011/06/luomo_a_due_dim.html

La società come prigione di cui siamo anche carcerieri è un fatto.

Si mantiene anche, ma non solo, grazie alla comunicazione a senso unico, che riesce a celare alla meno peggio il vero fulcro del dominio quale è il monopolio della violenza da parte dello stato.

Questo potere di coercizione e di cancellazione del dissenso si è instaurato ben prima di elargire “graziosamente” i diritti civili come il voto, che, inscenando la democrazia rappresentativa, garantirebbe la sovranità popolare.

Come ben si vede anche far valere questi diritti civili di base è assai arduo e sempre a rischio di sanzione penale (solo ieri l'altro 65 perquisizioni ai No Tav)

Come liberarci da questa falsificazione e garantirci che non si ripresenti per l'ennesima volta in nuove forme?

Non esistono sistemi che garantiscano la libertà di tutti se si propongono di cominciare col toglierla a qualcuno....

Non basta togliere il potere a chi ce l'ha occorre che ciascuno si munisca di un proprio potere di pensare e di agire costituendosi come parte di una collettività di individui pensanti, federati per essere ciascuno il testimone e il custode della libertà di tutti.

Significa ribaltare il concetto stesso di legge e di sovranità, non più un modo di costringere gli altri, ma una responsabilità di realizzare le proprie idee trovando anche le energie per attuarle e incoraggiando altri ad unirsi.

Dobbiamo sostituire il circolo vizioso del dominio e della sanzione violenta con il circolo virtuoso dell'esempio e della parola libera.

La società non sia più la prigione a cui siamo tutti condannati ma un luogo felice da edificare con le forze e le idee di tutti ben armonizzate tra loro

venerdì 17 giugno 2011

Barcelona, 27-05-2011, Plaça de Catalunya (Catalonia Square)

ALGUNAS REFLEXIONES PARA CONTRIBUIR A LA COMPRENSIÓN

DEL MOVIMIENTO DE LOS INDIGNADOS EN ESPAÑA



ALGUNAS REFLEXIONES PARA CONTRIBUIR A LA COMPRENSIÓN

DEL MOVIMIENTO DE LOS INDIGNADOS EN ESPAÑA

Lo que llamaríamos “Manifestación” más que “Movimiento” —sustantivo que adjetivado con “Nacional” creemos del todo inadecuado y de infausto recuerdo en la piel de toro—, autonombrádose con patronímicos distintos: “Spanish Revolution”, “¡Democracia real, ya!” —paradoja en un Estado monárquico—, “Indignados” o, finalmente, en su acepción reducida a efemérides de “15-M” por la fecha del 15 de Mayo de 2011, inicio del impulso de la protesta, ha provocado un alud de interpretaciones por parte de los profesionales

de los medios y de los intelectuales que en ellos opinan —a menudo de una miopía alarmante—, por los políticos oportunistas que pensaron traer agua a su molino, y por los que —los más lúcidos—, vieron en los acontecimientos una amenaza para la perpetuación de sus privilegios.

Siendo el fenómeno completamente nuevo en las sociedades avanzadas, profundizar

en sus motivaciones, su expresión, su desarrollo y su provisional declive, ya manifiesto

en las formas, es tarea imprescindible para comprender su alcance y, a la vez, sus límites: toda erupción, ya sea volcánica o cutánea, como todo terremoto, genera gráficos que permiten, interpretados, preveer su hipotética evolución, así que, sin otorgarnos el nivel científico necesario —reservado a especialistas de la sociología, o de la politología,

o de expertos tertulianos de todo pelo—, nos atrevemos a hacer un modesto análisis

de lo “ocurrido”, o “sucedido”, según se prefiera. Para ello, antes de plantearnos lo que es, sería razonable averiguar lo que no es.

I

El 15-M no es insurreccional, ni revolucionario. No es antisocial ni antisistema, ni violento —con la congoja que esta característica ha provocado en los Cuerpos de Seguridad y sus responsables—. No se refiere a situaciones historicamente lejanas o cercanas, ya que carece de ideología y de perspectiva retroactiva: no es nacionalista, ni internacionalista,

ni localista, ni comunista, ni anarquista. Ni reclama más libertad sexual, ni la liberalización de las drogas, ni la destrucción de la família, ni el botellón gratuito. No pretende cambiar

el mundo ni suprimir el Estado. Ni es radical, en el sentido de “ir a la raíz de las cosas”.

Ni él mismo sabe lo que es.

II

La punta de lanza no han sido los llamados “ni-ni” (ni estudio ni trabajo), sino los jóvenes de menos de treinta años con estudios superiores que estadisticamente son el 40% de los parados. En las semanas anteriores al domingo 15 de Mayo, algunos colectivos coordinados entre sí de manera espontánea, hacen un llamamiento a través de las redes sociales, para manifestarse en contra de la clase política y financiera, llamamiento que obtiene acogida

en cincuenta ciudades de todo el país. En Madrid, al finalizar la manifestación, unas decenas de participantes en ella deciden acampar en la Puerta del Sol, kilómetro cero

de donde parte la estructura radial de las comunicaciones terrestres en todo el Estado.

De madrugada, son desalojados violentamente por la Policía Nacional con un balance

de diecinueve detenidos. El martes 17 ya son centenares, y el miércoles 18, miles.

Las acampadas tienen efecto de contagio en treinta ciudades, sobretodo en las grandes capitales: Barcelona y Valéncia. La estultícia del Poder, reprimiendo lo que habría podido ser un eructo sin muchas consecuencias, propaga el virus y consigue que al núcleo inicial

se le añadan descontentos de todas las edades y condiciones: estudiantes, obreros en el paro, jubilados con pensión mínima, inmigrantes concienciados, artistas sin subvención y, como no, viejos luchadores por la democracia de los años setenta, víctimas del derrumbe de las aspiraciones de la Transición. Famílias enteras acuden por las mañanas o las tardes para escuchar las intervenciones asamblearias, los acampados se organizan, se crean comisiones para responder a las necesidades inmediatas —logística, información, comunicación, sonido y extensión, economía, sanidad, igualdad, educación, asesoramiento legal, vivienda, inmigración, internacional, limpieza, respeto (seguridad)... hasta guarderías

y bibliotecas, o algunas de dudosa eficacia como espiritualidad... La simpatía hacia

los concentrados se expande: restaurantes de la zona llevan alimentos a la cocina

del campamento, de algunos supermercados de las proximidades los trabajadores sacan

a escondidas productos frescos, amas de casa de la vecindad se presentan con una cazuela de fabada o una torta, alguien reparte churros para el desayuno... En el centro de todo,

la necesidad de tomar la palabra, de salir de uno mismo y expresar lo que le venga en gana. Para evitar la algarabía se dan turnos de intervención y se inventan gestos para no molestar a los vecinos con aplausos o pitidos: ambos brazos alzados con movimiento de manos para expresar conformidad, brazos cruzados con los puños cerrados para disentir, mano en la boca para la duda.

***

“[…]Por primera vez, en sólo unos días hemos visto crecer unas microciudades dentro

de las ciudades. Sin organización jerárquica, la comunidad ha definido sus espacios,

sus edificios de lona y cuerda, sus servicios, sus estructuras y sus normas de convivencia. Esos ciudadanos en sus micrópolis han asumido deberes y derechos sobre la marcha,

sin que nadie les impusiera nada ni les dijera lo que tenían que hacer. Igualmente interesante resultará reflexionar acerca de la manera de comunicarlo al mundo.

Sin especialistas en las relaciones con la prensa, sin técnicas de marketing on-line,

sin community managers, han conseguido que los informativos y diarios de todo el mundo abrieran con sus imágenes y sus eslóganes. Se han hecho oir y entender, y lo que es más importante, han conseguido que millones de ciudadanos anónimos en el mundo

se convirtieran en sus altavoces[…]”.

Elso Brino. La Vanguardia, 30-05-2011

III

El jueves 19, la Junta Electoral de Madrid, ante la inminencia de las elecciones locales

y autonómicas, prohibe la concentración, con el pretexto de su posible influencia en los resultados. La Junta Electoral Central ratifica la decisión y prohibe toda manifestación

el sábado 21, día de reflexión. A palabras necias, oídos sordos. La consigna es “¡No nos moverán!”. En Barcelona, en la acampada de la Plaza de Catalunya, centro también

de la ciudad, alegando graves hipotéticos disturbios a consecuencia de la posible victoria

del Club de Fútbol Barcelona ante el Manchester United en la final de la Champions League, y de la proximidad del lugar con el de la celebración habitual de los éxitos

del Barça, el Conseller de Interior de la Generalitat Felip Puig, en el cargo desde hace pocos meses (nombrado con el nuevo gobierno autonómico de centro-derecha nacionalista

en las elecciones del 23 de Noviembre de 2010 —el sistema electoral autonómico

en España es un galimatías para nosotros incomprensible—, comete el segundo error

del Poder, que alimenta el número de participantes en la concentración: a las siete

de la mañana, los Mossos de Esquadra (la policía autonómica), junto con dotaciones

de apoyo de la Guardia Urbana, rodean la plaza y abren el camino a una veintena

de camiones de recogida de basuras. Se incauta “todo el material peligroso: bombonas

de butano de la cocina, hornillos, palos de madera, susceptibles de ser usados como arma...”, en realidad toda la infraestructura montada, ordenadores, carteles, lonas, colchonetas, tiendas de campaña, que se verterán poco después en una cantera al aire libre de Montjuïc, colina situada dentro de la ciudad, a pesar de las declaraciones del político

que asegura “que se restituirá lo confiscado a sus dueños” —promesa absurda ya que

no hubo ningún registro de los objetos, ni de quienes eran sus propietarios.

A las doce del mediodía, los mensajes por SMS y el boca a oreja han funcionado,

la plaza presenta un aspecto de asedio en forma de muñecas rusas: en el centro, el núcleo de acampados, rodeados por todo el perímetro por los antidisturbios, y las calles adyacentes ocupadas por manifestantes que rodean a su vez a concentrados y policía, impidiendo toda salida de los camiones y de las furgonetas. A la una, se produce la primera carga de los Mossos, muy violenta, contra centenares de personas sentadas en el suelo que no ofrecen resistencia, pero la dispersión del dispositivo policial permite la entrada en la plaza

de centenares de los manifestantes que han acudido. Una patrulla se encuentra entre

dos bloques y empiezan los disparos de balas de impacto paralizantes (dotación armamentística reciente, en período de pruebas). Hay reacción, muchos nervios, la turba

no ataca pero es ya una masa compacta a punto de explotar. Presos del pánico delante

de lo que se les puede caer encima, los antidisturbios se retiran de manera vergonzante bajo los insultos y la rechifla de los concentrados. Balance: ciento veintiun heridos, de los cuales unos treinta (cifra nunca demostrada) entre los Mossos (la Guardia Urbana no intervino).

Si a mediodía eran cinco mil manifestantes, a las ocho de la tarde la cifra se ha doblado.

La celebración de la victoria futbolística tiene lugar sin incidentes, excepto los que unos cincuenta hooligans, a quienes los concentrados impiden el acceso a la plaza, provocan

en una de las calles de acceso. A unos pocos de los centenares de Mossos desplegados

les basta con una carga para disolverlos y detener a algunos, enseguida liberados (que no se diga que el Cuerpo no sirve para reprimir a los “rompedores” entre los cuales tantas veces se ha infiltrado para manipularlos).

IV

El domingo 22, las elecciones dan una mayoría apabullante al Partido Popular en la mayoría de las autonomías y en muchos ayuntamientos, con el acceso a estos últimos de partidos enclenques de la extrema derecha racista, antiguos fascistas que sacan pecho disfrazados

de populistas, ya confundidos con candidatos del PP que utilizan argumentos idénticos.

El hundimiento de la socialdemocracia es total: sólo en los ayuntamientos pierde cuatro mil cargos con todo lo que ello conlleva: parientes y correveidiles a buscarse la vida, mientras los populares exultan dando por hecha la victoria en las generales del 2012. La aritmética política hará el resto: decenas de candidatos imputados por corrupción conservan sus prebendas gracias al voto del “pueblo soberano”. En un contexto donde, según estadísticas del CIS, las preocupaciones de los españoles se sitúan en: 1) la desocupación;

2) la economía; 3) los políticos, el 15-M irrumpe cual marejada, espejo de las encuestas.

Fiel reflejo de inquietudes de la ciudadanía.

V

Algunos comentaristas de todo a cien, embriagados todavía por las revueltas arábigas

que les permitieron llenar sin ningún esfuerzo los espacios pautados de sus periódicos,

se precipitaron en tromba para llegar a fin de mes elucubrando sobre los paralelismos

entre dichas revueltas (inacabadas o derivadas en guerra civil) y el 15-M: “Son los jóvenes que grácias a las nuevas tecnologías se han apropiado del Poder”. Otros de más prestigio, sacaron del cajón sus azañas del Mayo francés, despreciando apriorísticamente, sin ningún análisis de causa-efecto, una manifestación de la que estaban excluidos. No hay que ser catedrático ignorante de cualquier doctrina para darse cuenta de las enormes diferencias entre los distintos procesos: en Arábia se ha iniciado (y el proceso todavía está en marcha) el fin de dictaduras apolilladas para dar paso a sistemas democráticos autenticamente representativos. Excepto en Túnez donde se lloran pocos muertos y donde los islamistas han ganado todas las loterías para acceder al Poder —otro gallo les cantaran a los jóvenes laicos, a los homosexuales, a las señoritas desveladas, a los izquierdistas (que los hay)—,

en otros lugares como Egipto, el cambio ha sido violento y, por ahora, es el Ejército quien maneja los hilos. De Libia sólo sabemos de oídas la masacre que se está cometiendo mientras los Estados Occidentales alimentan, gracias a la demonización de Gadafi —al que lamían hasta hace poco el culo—, las propias industrias de armamento, de capa caída después de que Irak y Afganistan desaparecieran de la agenda de la noble tarea de socorrer al necesitado. Yemen, demasiado pobre, no interesa. Con Siria nadie se atreve, la bestia iraní está al acecho con las espaldas cubiertas por Rusia y China.

En Francia, la insurrección del 68, prendió de una chispa banal en el campus

de la Facultad de Nanterre —la prohibición del acceso de los chicos a los dormitorios

de las chicas—. Un estímulo anterior, un opúsculo editado en Estrasburgo en el 66:

De la misère en milieu étudiant:
considérée sous ses aspects économique, politique, psychologique, sexuel et notamment intellectuel et de quelques moyens pour y remédier”. Publicado por cuatro estudiantes de la Universidad de Estrasburgo, elegidos representantes del Sindicato —que lo primero que hicieron fue dilapidar los fondos del mismo editando el panfleto, con gran escándalo en el mundo académico—, se había divulgado masivamente entre los estudiantes de toda Francia, y traducido inmediatamente a otras lenguas (español, portugués y italiano), había avivado brasas en conciencias que buscaban su expresión común. Algunos extractos en español:

“Podemos afirmar, sin temor de equivocarnos, que el estudiante, en Francia es, después

del policía y el cura, el ser más universalmente despreciado. Si las razones por las cuales

se le desprecia son a menudo falsas y dependientes de la ideología dominante, las razones por las que es efectivamente despreciable y despreciado desde el punto de vista de la crítica revolucionaria, están reprimidas y ocultadas […]. […] La rebelión de la juventud contra

el modo de vida que se le quiere imponer, no es, en realidad, más que el síntoma anticipador de una subversión más amplia que abarcará el conjunto de todos aquellos

que padecen cada vez más la imposibilidad de vivir, el preludio de la próxima época revolucionaria […]. […] Lo que debería sorprender, no es tanto que los jóvenes se rebelen, sino que los adultos sean a tal punto resignados. Ello tiene una explicación que no es mitológica sino histórica: la generación precedente ha sufrido todas las derrotas

y consumido todas las mentiras del período de la disgregación vergonzante del movimiento revolucionario […].

Así que, según nuestra opinión, el 15-M no pertenece ni puede asociarse a lo que los mercaderes de ideologías tutti-frutti nos pretenden vender cual brote de soja alemán.

Las revueltas árabes piden el inicio de la democracia; el 68 (no solo en Francia sino también en EEUU, en Alemania, en Inglaterra, en Holanda, en Italia, y en México, en España y Portugal o en Checoslovaquia, estas últimas con características algo distintas, más parecidas a las de la Arabia actual, pretendían —en su esencia y, más allá de las mitologías marxistas-leninistas vehiculadas por los medios— acabar con el Sistema y el Estado,

y sustituirlos por la democracia de base, la pirámide invertida, la República de los Consejos.

Nada de ello es visible en el 15-M, manifestación antes que nada reformista, regeneradora del espacio marchito y corrupto de la política profesional y, mientras en los países árabes las reformas se están consiguiendo con el sacrificio de millares de vidas, el autonombrado Movimiento por la Democracia Real (¿Socialismo real?) ocupa, cual turista masivo, espacios públicos. Por ahora no hay muertos (en el 68 los hubo, y muchos), el Poder no tiembla,

no se siente realmente amenazado, blindado por su arrogancia y legitimado por las urnas, aunque sin ninguna visión de su futuro, se encuentre en pleno proceso de tumor maligno metastático, enfermo que rehúye su condición de terminal.

***

“[…] El civismo de Sol no es el de París. Las revueltas allí fueron crudas: coches volcados e ideas locas como pintar la Sorbona de rojo. Nueve millones de franceses secundaron la huelga. Arroyo, amante de los toros y el boxeo, compara con ironía: ‘Ayer había 10.000 personas en Sol. Y 23.000 en las Ventas, en los toros de San Isidro […] ‘“.

Eva Cavero. El País, 05/06/2011. Mario Muchnik y Eduardo Arroyo,

que participaron en las revueltas de la primavera francesa hace más de 40 años,

reflexionan sobre el movimiento del 15-M.

Ésta es una de la brillantes reflexiones de los artistas de sí mismos. Olvidan que el 68 explotó con la economía a tope, con las fábricas a pleno rendimiento, en un período

de bonanza capitalista, resultado de las inyecciones monetarias del intervencionismo

del Banco Mundial —en España, y a pesar de Berlanga, gracias al Plan Marshall—, mientras que, en la actualidad el malestar tiene su cuna en la depresión: la dictadura

ahora es la que eufemísticamente se llama Mercado, es decir el Capital en sus estertores, obligado a subir sobre sus propias espaldas (con el aúpa de los Gobiernos) para sobrevivir y perpetuarse. Ya no se enfrenta a una clase obrera organizada como hasta hace cincuenta años. La clase obrera ha desaparecido, deglutida y olvidada por la aristocracia sindical

y sustituida por inmigrantes, a menudo sin papeles, que no osan decir ni mu, que son los que trabajan. El concepto de “proletariado”, en su acepción marxiana de “quien no tiene poder de decisión sobre su propio destino y es consciente de ello”, se ha desplazado hacia

la pequeña burguesía y el campesinado propietario, y amenaza seriamente la clase media: los funcionarios que creían estar al abrigo de cualquier coyuntura ya padecen

las consecuencias de los recortes, y lo que te rondaré, morena.

VI

Se reprueba al 15-M su ingenuidad. Algo hay, por la ignorancia de su propia historia, aunque allí reside su principal calidad. La juventud actual, formada con criterios antiautoritarios, modelando plastilina y copiando pinturas de Miró en su infancia, han descuajeringado los modelos anteriores sin conocerlos, y arrastran a sus mayores en

la conciencia del absurdo que les han propuesto. Desvanecidos los sueños cocainómanos de los yuppies de los 90, no hay paso adelante posible, solo el del abismo o… la reflexión. Por ello definiríamos antes que nada la manifestación como homeopática; la gota que se disuelve en el mar cambiando pero su análisis químico, y así, y así, hasta que un tsunami arrasa con todo.

VII

Dos características diferenciadoras en el mapa autonómico del pseudo federalismo hispánico: situándose el nacimiento del 15-M en la Capital del Estado, en Catalunya

los independentistas —con los que me cuento, a pesar de ellos, siendo crítico con sus estrategias, concentrados cada vez más en la contemplación del propio ombligo y enzarzados en luchas intestinas autodestructivas, han despreciado un despertar del que ni se han dado cuenta de su magnitud. Su patética incorporación, cuando en las asambleas ya quedaban solo cuatro gatos, para reclamar el derecho a la autodeterminación, los ha desprestigiado. Tendrán una larga travesía del desierto para flagelarse.

En Euskadi, el 15-M no les ha hecho ni cosquillas, apenas unos concentrados en Donosti y Bilbao; la izquierda abertzale va a su bola y ha conseguido que ETA se encoja y que acepte que las armas son un peso muerto, por ahora, ojalá así se mantenga. Bildu ya ha ocupado su parcela del Poder en una mayoría aplastante. Marcianos, como de costumbre.

VIII

El domingo 12 de Junio, mientras se desmontan por agotamiento las concentraciones en las plazas públicas, las manifestaciones se desplazan enfrente de los ayuntamientos. En Valencia, la Policía Nacional carga violentamente. En Madrid y en Barcelona, en las asambleas se decide definitivamente la descentralización y optar por el contagio: los barrios. Algunos disienten. Durante todo el proceso la degradación del mismo es palpable: lumpen, desalojados, perroflautas, saltimbanquis, artistas callejeros, han encontrado comida y alojamiento gratuito, y el cariño que se les niega, y también hay suciedad por deserción obligatoria de los servicios municipales de recogida de basura, hedor cerca de los WC portátiles, sin vaciar —un policía entrevistado en la televisión decía “está todo lleno de mierdas, de pulgas y de chorizos…”—, algunas peleas, acusaciones de la Comisión de Feminismo de violación (¡en plena concentración!). En Barcelona hay resistencias. En Madrid los concentrados lo han resuelto limpiando la plaza hasta dejarla como un Sol, mejor de cómo la encontraron.

IX

15 de Junio. En Barcelona, la Asamblea ha decidido desplazarse al Parlamento para boicotear el Pleno que debía presentar los Presupuestos y acampar en el parque que rodea el recinto. Centenares de Mossos impidiendo los accesos y un grupo de provocadores a sueldo, identificados, fotografiados y filmados, han provocado disturbios. El presidente de la Generalitat y algunos diputados han accedido al edificio en helicóptero. Los que se han arriesgado a hacerlo por tierra han sufrido la consecuencias. La opinión pública, azuzada por los medios, empieza a dudar.

***

[…] cuando llega la mañana del día 15 ya es otra cosa. Las cartas están boca arriba. El mecanismo de difamación y victimismo del poder comienza a funcionar. Las mentiras, falacias y desinformaciones empiezan a aparecer en lo medios, junto a los lameculos del establishment en las redes sociales. Es de destacar el bonito ejemplo de parcialidad gubernamental del programa dels Matins de TV3. La máquina aplastante del discurso oficial hace su efecto: “es intolerable que los representantes del pueblo no puedan acceder al Parlament. Además, hace su entrada la gente contratada para el trabajo sucio. Infiltrados de la policía que se dedican a excitar a unos manifestantes hetereogéneos y en su mayoría jóvenes. Las autoridades deben pensar: “es pan comido“. Y es cierto, consiguen que haya unos pocos actos incívicos puntuales que luego se magnifican y propagan como si fuera el ejemplo normal de la mayoría de concentrados. La gente de buen parecer no puede asociarse con esa gentuza bárbara que ataca a los políticos que lo único que quieren es hacer la función para la que fueron elegidos por la mayoría del pueblo […].

J. M. Goig. 15 de Junio de 2011. Blog

XX

Si una intervención (en Madrid) ha sido lúcida, es la de García Calvo: “¡Ocupad!”. Perro viejo, se refería no a las plazas, sino a los centros del Poder, los lugares de trabajo, las oficinas bancarias, las redacciones de los periódicos, las televisiones… ¿Utópico yo? ¡Tururú!

Continuará, si nos dejan.

Don Pepino & Don Simón

Barcelona, 16 de Junio de 2011

PS. El pacifismo de Gandhi no consistió solo en alzar las manos sentados en el suelo para que las tropas colonialistas les apalearan (100.000 muertos) sino en el boicot del lino que hundió la industria textil británica.