domenica 19 giugno 2011

INDIGNATI, ANCORA UNO SFORZO …

Più di due secoli fa, nel fervore della rivoluzione francese in corso, Jacques Roux, Théophile Leclerc e Jean Varlet furono definiti “arrabbiati” dai loro nemici e avversari politici.

Insieme a Gracchus Babeuf, i tre sono stati tra i più importanti rappresentanti del movimento rivoluzionario della loro epoca.

Oltre le loro palesi differenze, tutti e quattro osarono allora attaccare la borghesia frontalmente, senza mezzi termini, denunciando fin dall’inizio trionfale della rivoluzione della cittadinanza borghese il fatto che la guerra per la supremazia commerciale ingaggiata dalla nuova classe dominante era una rivoluzione contro l’Ancien Régime, ma anche una controrivoluzione preventiva contro i lavoratori precari, i braccianti e l’insieme della popolazione più modesta.

Gli arrabbiati seppero stigmatizzare tutte le ideologie; osarono addirittura sconsacrare l’idolo rivoluzionario Robespierre ben prima della sua clamorosa caduta sotto la lama di quella ghigliottina da lui tanto apprezzata.

Osarono infatti trattarlo da “despota insolente dell’opinione pubblica”, mentre di fronte ai Montagnardi rinchiusi nel legalismo opportunista del loro parlamentarismo, seppero proclamare la necessità di un’azione diretta del popolo sovrano per una democrazia diretta.

Anticipavano, senza saperlo, i tempi che siamo oggi costretti ad attraversare con la coscienza di classe in meno e con l’urgenza della catastrofe ambientale che incombe in più.

In un paese come l’Italia, dove, nel 2011, neppure la laicità redditizia della vecchia rivoluzione borghese è un dato acquisito, pur se la modernità produttivistica ha trasformato le classi in caste e le caste in cosche, riprendere questo documento ormai plurisecolare per restituirlo alla memoria e alla riflessione dei nascenti cittadini di un presente drasticamente proletarizzato, non manca, paradossalmente, di strabilianti coincidenze con l’attualità della questione sociale. Mutatis mutandis, molte delle questioni, in particolare economiche e sociali, sollevate dagli arrabbiati hanno mantenuto oggi, se non addirittura accentuato, la loro pertinenza.

Tra una corruzione politica dilagante e dei segni di insofferenza sempre più manifesti da parte di cittadini confrontati all’ottusa superbia ignorante dei loro rappresentanti - che, tra l’altro, gli elettori non hanno scelto, ma sono stati imposti loro dai partiti -, come non chiedersi quando i truffati della democrazia spettacolare si decideranno, non solo a riempire le urne dei referendum popolari, ma anche a svuotare le aule del Parlamento facendo giustizia, senza ghigliottine o capestri ma senza pietà alcuna per i re del bunga-bunga, per il clero oscurantista degli Scilipoti, per gli inquisiti e altri avanzi di galera, per i Montagnardi collusi del PD e affini, per i controrivoluzionari di destra e per gli ultimi giacobini gauchisti in ritardo di una rivoluzione?

Sulla scia delle aspettative nate nella rete e esplose un po’ dovunque nel mondo, in quest’anno di cambiamenti epocali, il popolo senza capi e con poche idee ma sempre meno confuse, potrebbe realizzare il sogno libertario della democrazia diretta. Una tale rivoluzione essenzialmente pacifica, è ormai affiorante tanto nel moltiplicarsi delle insurrezioni pacifiche che nell’inquietudine del potere e nella sua repressione omicida. L’imporsi di una democrazia direttamente gestita dal popolo sovrano può rinviare nella spazzatura della storia il totalitarismo economicista che dirige il business planetario ma non governa affatto il mondo umano.

Sergio Ghirardi

Manifesto degli arrabbiati, 25 giugno 1793

Delegati del popolo francese,

cento volte questa sacra adunanza ha risuonato dei crimini degli egoisti e dei farabutti; voi ci avete sempre promesso di colpire le sanguisughe del popolo. L’atto costituzionale sta per essere presentato alla sanzione del sovrano; vi avete, forse, proscritto l’aggiotaggio? No! Avete pronunciato la pena di morte per gli accapparratori? No. Avete determinato in che cosa consiste la libertà di commercio? No. Avete proibito la speculazione sulla moneta? No. Ebbene noi vi denunciamo per non avere fatto tutto il necessario per la felicità del popolo.

La libertà non è che un vano fantasma quando una classe di uomini può affamare l’altra impunemente. L’uguaglianza non è che un vano fantasma quando il ricco, attraverso i monopoli, esercita il diritto di vita e di morte sul suo simile. La Repubblica non è che un vano fantasma quando la controrivoluzione opera, giorno dopo giorno, attraverso i prezzi delle derrate alle quali i tre quarti dei cittadini non possono accedere senza versare lacrime.

Tuttavia, solo mettendo fine al brigantaggio della speculazione, che va nettamente distinta dal commercio, e mettendo i beni commestibili alla portata dei sanculotti voi riuscirete a renderli fedeli alla rivoluzione e a raggrupparli attorno alle leggi costituzionali.

Insomma! Per il fatto che dei mandatari infedeli, gli uomini di Stato, hanno richiamato sulla nostra patria infelice la calamità della guerra straniera, dobbiamo dunque permettere che il ricco ce ne dichiari una ancora più terribile all’interno? Poiché trecentomila francesi, proditoriamente sacrificati, sono morti sotto il ferro omicida degli schiavi del re, bisogna dunque che coloro che vigilavano sui loro focolari siano ridotti a divorare delle pietre? Bisogna che le vedove dei morti per la causa della libertà paghino a prezzo d’oro persino i fazzoletti con cui asciugano le loro lacrime? Che paghino a prezzo d’oro il latte e il miele che servono di cibo ai loro figli?

Mandatari del popolo, allorché accoglieste tra di voi i complici di Dumoriez, i rappresentanti della Vandea, i realisti che hanno cercato di salvare il tiranno, gli uomini esecrabili che hanno organizzato la guerra civile, i senatori inquisitori che hanno messo sotto accusa il patriottismo e la virtù, la sezione dei Gravilliers sospese il suo giudizio … Accortasi che la Montagna non era in grado di fare il bene che aveva a cuore, essa si levò …

Oggi, tuttavia, che il santuario delle leggi non è più infangato dalla presenza dei Gorsas, dei Brissot, dei Pétion, dei Barbaroux e degli altri capi degli appellanti, oggi che questi traditori, per sfuggire al patibolo, sono andati a nascondere la loro nullità e la loro infamia nelle regioni che hanno fanatizzato; oggi che la Convenzione nazionale è restituita alla sua dignità e al suo vigore e non ha bisogno per operare per il bene che di volerlo, vi scongiuriamo, nel nome della salvezza della repubblica, di lanciare un anatema costituzionale sull’aggiotaggio e sugli accaparramenti, dichiarando il principio generale che il commercio non consiste nel rovinare, nel mettere alla disperazione e affamare i cittadini.

Da quattro anni, soltanto i ricchi hanno approfittato della Rivoluzione. L’aristocrazia mercantile, ancora più terribile di quella nobiliare e sacerdotale, si è permessa il gioco crudele d’invadere le fortune individuali e i tesori della repubblica; ignoriamo ancora fin dove arriveranno le loro esazioni, poiché il prezzo delle merci aumenta in modo terribile dal mattino alla sera.

Cittadini rappresentanti, è tempo che la lotta a morte che l’egoista ha dichiarato alla classe più laboriosa della società cessi. Pronunciatevi contro gli aggiotatori e gli accaparratori. Obbediranno o no ai vostri decreti. Nella prima ipotesi avrete salvato la patria; nel secondo caso avrete ancora salvato la patria poiché noi saremo in grado di riconoscere e colpire le sanguisughe del popolo.

Insomma! Le proprietà dei delinquenti sarebbero dunque più sacre della vita dell’uomo? L’esercito è a disposizione dei corpi amministrativi, come può essere concepibile che i materiali di sussistenza non siano requisibili? Il legislatore ha il diritto di dichiarare la guerra, cioè di far massacrare gli uomini, e non avrebbe il diritto d’impedire che si spremano e si affamino quelli che proteggono i loro focolari?

Il diritto di commercio è il diritto di usare e di far usare. Le derrate necessarie per tutti devono essere disponibili a un prezzo accessibile a tutti, pronunciatevi dunque, ancora una volta … i sanculotti con le loro picche faranno eseguire i vostri decreti.

Voi non avete esitato a condannare a morte quelli che hanno osato proporre un re e avete fatto bene; avete appena messo fuorilegge i controrivoluzionari che, a Marsiglia,hanno arrossato i patiboli del sangue dei patrioti, e avete fatto bene; la patria vi avrebbe riconosciuto un merito ancora maggiore se aveste espulso dall’esercito i nobili e i nominati dalla corte; se aveste preso in ostaggio le donne, i figli degli emigrati e dei cospiratori, se aveste sequestrato per spese di guerra le pensioni dei suddetti privilegiati, se aveste confiscato, a profitto dei volontari e delle vedove, i tesori acquisiti dopo la rivoluzione dai banchieri e dagli accaparratori; se aveste cacciato dalla Convenzione i deputati che hanno votato l’appello al popolo, se aveste consegnato ai tribunali rivoluzionari gli amministratori che hanno provocato il federalismo, se aveste colpito con la spada della legge i ministri e i membri del consiglio esecutivo che hanno lasciato formare un nucleo di controrivoluzionari in Vandea, se infine aveste messo agli arresti quelli che hanno firmato le petizioni anticiviche, ecc. ecc. Or dunque, gli accaparratori e gli aggiotatori non sono altrettanto e ancora più colpevoli? Non sono anche loro dei reali assassini nazionali?

Non abbiate timore, dunque, di far cadere su quei vampiri la folgore della vostra giustizia. Non abbiate paura di rendere il popolo troppo felice. Certo, non ha mai fatto calcoli quando si è trattato di fare tutto per voi. Vi ha provato, in particolare il 31 maggio e il 2 giugno, che voleva la libertà per intero. Dategli in ritorno del pane e un decreto; impedite che il buon popolo sia sottoposto alla difficoltà ordinaria e straordinaria a causa del prezzo esorbitante dei beni commestibili.

Finora, i grandi mercanti che per principio sono i responsabili del crimine e per abitudine i complici dei re, hanno abusato della libertà di commercio per opprimere il popolo; hanno dato una falsa interpretazione dell’articolo della dichiarazione dei diritti dell’uomo che stabilisce il permesso di fare tutto quel che la legge non proibisce. Ebbene! Decretate costituzionalmente che l’aggiotaggio, la speculazione monetaria e gli accaparramenti sono nocivi per la società. Il popolo che sa riconoscere gli amici veri e che soffre da troppo tempo, vedrà che vi siete impietositi della sua sorte e che volete seriamente guarire i suoi mali; quando avremo una legge chiara e precisa, nell’atto costituzionale, contro l’aggiotaggio e gli accaparramenti, vedrà che la causa del povero vi tiene più a cuore che quella del ricco; vedrà che tra di voi non si annidano banchieri, armatori e monopolizzatori; vedrà, infine, che non siete i fautori della controrivoluzione.

Voi avete, in effetti, decretato per i ricchi un prestito forzato di un miliardo, ma se non sradicate l’albero dell’aggiotaggio, se non mettete un freno nazionale all’avidità degli accaparratori, il capitalista e il mercante sottrarranno questa somma ai sanculotti fin dal giorno successivo, con il monopolio e le concussioni; non è più, allora, l’egoista che avete colpito ma il sanculotto; prima del vostro decreto il droghiere e il banchiere non smettevano di spremere i cittadini; quale vendetta eserciteranno ora che li obbligate alla contribuzione? Quale nuovo tributo imporranno al sangue e alle lacrime dell’infelice?

Si obietterebbe invano che l’operaio riceve un salario in ragione dell’aumento del prezzo delle derrate. In realtà ce n’è qualcuno il cui darsi da fare è pagato più caro, ma ce ne sono molti la cui mano d’opera tocca un salario inferiore dopo la rivoluzione. Del resto, non tutti i cittadini sono operai; non tutti gli operai sono occupati e tra quelli che lo sono, alcuni hanno otto o dieci figli incapaci di guadagnarsi da vivere, mentre le donne non guadagnano, in generale, più di venti soldi al giorno.

Deputati della Montagna, se foste saliti oltre il terzo piano, fino al nono delle case di questa città rivoluzionaria, sareste stati commossi dalle lacrime e dai gemiti di un popolo immenso senza pane e senza vestiti, ridotto a un tale stato di indigenza e di sofferenza dall’aggiotaggio e dagli accaparramenti poiché le leggi sono state crudeli verso il povero e sono state fatte solo dai ricchi e per i ricchi.

Rabbia e vergogna del XVIII secolo! Chi mai crederà che i rappresentanti del popolo francese che hanno dichiarato la guerra ai tiranni all’estero siano stati tanto vigliacchi da non schiacciare quelli interiori? Sotto il regno dei Sartines e dei Flesselles, il governo non avrebbe tollerato che si facessero pagare le derrate di prima necessità tre volte di più del loro valore; che dico? Fissavano il prezzo delle armi e della carne per il soldato mentre la Convenzione, investita della forza di venticinque milioni di uomini sopporterà che il mercante e il ricco egoista le portino, come al solito, il colpo mortale, tassando arbitrariamente le cose più utili alla vita. Per mettere in atto la controrivoluzione, Luigi Capeto non aveva bisogno di provocare la rabbia delle potenze straniere. I nemici della patria non avevano bisogno d’incendiare con una pioggia di fuoco le regioni occidentali. L’aggiotaggio e gli accaparramenti sono sufficienti per rovesciare l’edificio delle leggi repubblicane.

Ma è la guerra, si dirà, che causa i prezzi proibitivi dei viveri. Perché, dunque, rappresentanti del popolo, l’avete finalmente provocata? Perché mai, sotto il crudele Luigi quattordicesimo, i francesi seppero respingere la linea dei tiranni senza che l’aggiotaggio distendesse su quell’impero lo stendardo della rivolta, della carestia e della devastazione? E grazie a questo pretesto diventerebbe, dunque, lecito al mercante vendere la candela, il sapone e l’olio a sei franchi la libbra?

Con il pretesto della guerra, dunque, il sanculotto pagherebbe i sandali cinquanta sterline al paio e altrettanto una camicia o un brutto cappello. Sarà così possibile dire che le predizioni dei Cazalès e dei Maury si sono avverate; in tal caso, però, voi avreste cospirato con loro contro la libertà della patria, che dico, li avreste superati per tradimento. In tal caso gli spagnoli e i prussiani potrebbero dire: noi siamo liberi di incatenare i francesi poiché non hanno il coraggio di incatenare i mostri che li divorano, per poi aggiungere che sperperando in tal modo dei milioni, associando il borghese e il mercante facoltoso al partito dei controrivoluzionari, la repubblica si distruggerebbe da sola.

È la moneta cartacea, si dirà ancora, a essere causa del caro vita: ah! I sanculotti non si accorgono quanta ne circoli. Del resto la sua prodigiosa emissione è la prova del corso in vigore e del prezzo che vi si lega. Se l’assegno ha un’ipoteca reale e riposa sulla lealtà della nazione francese, la quantità di effetti nazionali non inficia per nulla il loro valore. Il fatto che ci sia molta moneta in circolazione, è forse una ragione per dimenticare di essere uomini, per immischiarsi nelle taverne del commercio dei brigantaggi, per rendersi padroni della fortuna e della vita dei cittadini, per impiegare tutti i mezzi d’oppressione suggeriti dall’avarizia e dallo spirito di parte, per incitare il popolo alla rivolta e forzarlo con la fame e con il supplizio dei bisogni a divorare le proprie budella?

Se gli assegni cartacei si svalutano molto nel commercio, perché dunque i banchieri, i negozianti e i controrivoluzionari interni e esteri ne riempiono i forzieri? Perché hanno la crudeltà di diminuire il salario di certi operai e non accordano alcuna indennità agli altri? Perché non offrono il prezzo pattuito quando si procacciano i domini nazionali? L’Inghilterra, il cui debito eccede forse di venti volte il valore del suo territorio e non è florida che per il denaro cartaceo della sua banca, paga forse, in proporzione, le derrate salate quanto noi? Ah, il ministro Pitt è troppo in gamba per lasciare opprimere a tal punto i sudditi di Giorgio! E voi, cittadini rappresentanti, voi, deputati della Montagna, voi che vi fate gloria di fare parte dei sanculotti, dall’alto del vostro immortale piedistallo, non annienterete l’Idra sempre rinascente dell’aggiotaggio!

Si aggiunge anche che molti articoli vengono dall’estero, dove non si accettano altri pagamenti che in denaro. Il che è falso: il commercio si è quasi sempre fatto scambiando merce contro merce e carta contro carta; spesso si è persino preferito avere degli assegni che del contante. La moneta metallica che circola in Europa non basterebbe per acquistare la centomillesima parte dei biglietti in emissione. È dunque chiaro come il giorno che gli aggiotatori e i banchieri non discreditano gli assegni che per vendere più caro il loro denaro, per riuscire a fare impunemente monopolio e trafficare nella cassa del sangue dei patrioti che bruciano dalla voglia di versare.

Non si sa, però, come andranno le cose. Con totale certezza, gli amici dell’uguaglianza non accetteranno a lungo che li si lasci sgozzare all’estero subendo all’interno l’assedio della fame. Certo, non resteranno sempre le vittime ignare di questa peste pubblica, dei ciarlatani che ci mordono come vermi, degli accaparratori le cui botteghe non sono più che dei ritrovi di delinquenti.

Mentre la pena di morte è pronunciata contro chiunque tenti di restaurare la monarchia, mentre innumerevoli legioni di cittadini soldati formano con le loro armi una volta d’acciaio e vomitano dappertutto fuoco e fiamme su un’orda di barbari, il banchiere e l’accaparratore possono affermare che non sapevano come sarebbero andate le cose? Del resto, se essi lo ignorano noi siamo qui per spiegarglielo. Il popolo vuole la libertà e l’uguaglianza, la repubblica o la morte; ed ecco, precisamente quel che vi riempie di disperazione, aggiotatori, vile supporto della tirannia.

Non essendo riusciti a corrompere il cuore del popolo, a soggiogarlo con il terrore e la calunnia, impiegate le ultime risorse degli schiavi per soffocare l’amore per la libertà. Vi impadronite delle manifatture, dei porti di mare, di tutti i settori del commercio, di tutte le produzioni della terra per fare morire di fame, di sete e di nudità gli amici della patria, spingendoli a gettarsi nelle braccia del dispotismo.

Eppure, i delinquenti non ridurranno in schiavitù un popolo che non vive che di ferro e di libertà, di privazioni e di sacrifici. Preferire delle antiche catene e dei tesori alla Repubblica e all’immortalità, è riservato ai partigiani della monarchia.

Dunque, mandatari del popolo, la leggerezza che voi potreste continuare a mostrare sarebbe interpretata come un atto di vigliaccheria, un crimine di lesa nazione. Non si deve temere d’incorrere nell’odio dei ricchi, cioè dei cattivi. Non si deve temere di sacrificare i principi politici alla salvezza del popolo che è la legge suprema.

Convenite con noi, dunque, che autorizzate il discredito della moneta cartacea per pusillanimità, che riparate la bancarotta tollerando degli abusi, delle truffe che avrebbero fatto arrossire il dispotismo negli ultimi giorni della sua barbara potenza.

Sappiamo, senza dubbio, dell’esistenza di mali irreparabili di una grande rivoluzione; che c’è da essere pronti a qualunque sacrificio per il trionfo della libertà, e che non c’è prezzo troppo alto per il piacere di essere repubblicani; ma sappiamo anche che il popolo è stato tradito da due legislature; che i vizi della Costituzione del 1791 sono stati la fonte delle calamità pubbliche e che è giunta l’ora che il sanculotto che ha spezzato lo scettro dei re, veda la fine delle insurrezioni e di ogni tipo di tirannia.

Se non vi ponete un pronto rimedio, come sopravvivranno quelli che non hanno nessuno stato, che non hanno che 2, 3, 4 o 6 sterline di rendita, ancora mal pagati o in pensione di vecchiaia o tributari di casse particolari? Come, se voi non fermate la corsa dell’aggiotaggio e degli accaparratori con un decreto costituzionale non soggetto alle variazioni del legislatore? È possibile che non ci sia la pace che tra vent’anni e le spese di guerra occasionerebbero una nuova emissione di moneta cartacea; vorreste dunque perpetuare i nostri mali per tutto questo tempo, già troppo lungo, con l’autorizzazione tacita dell’aggiotaggio e degli accaparramenti? Sarebbe il modo di espellere tutti gli stranieri patrioti e di impedire ai popoli schiavi di venire a respirare in Francia l’aria pura della libertà.

Non è dunque bastato che i vostri predecessori, la maggior parte d’infame memoria, ci abbiano legato la monarchia, l’aggiotaggio e la guerra senza che voi ci leghiate la nudità, la fame e la disperazione? Bisogna anche che i realisti e i moderati, con il pretesto della libertà di commercio, divorino ancora le manifatture, le proprietà? Che s’impadroniscano del grano dei campi, delle foreste e delle vigne, della stessa pelle degli animali e che bevano in coppe dorate il sangue e le lacrime dei cittadini, sotto la protezione della legge?

Deputati della Montagna, no e poi no, voi non lascerete la vostra opera incompiuta; voi metterete le basi della prosperità pubblica; consacrerete i principi generali e repressivi dell’aggiotaggio e dell’accaparramento; non darete ai vostri successori il terribile esempio della barbarie degli uomini di potere sui deboli, del ricco sul povero; non terminerete la vostra carriera con ignominia.

Con questa piena fiducia ricevete qui il nuovo giuramento che noi facciamo di difendere fino alla tomba la libertà, l’uguaglianza, l’unità e l’indivisibilità della Repubblica e i sanculotti oppressi di tutte le regioni.

Che vengano, che vengano presto a Parigi a cementare i legami di fratellanza! Mostreremo loro, allora, le picche immortali che hanno rovesciato la Bastiglia; quelle picche che la commissione dei dodici e la fazione degli uomini di Stato fa cadere in putrefazione, quelle picche che faranno giustizia degli intriganti e dei traditori, qualunque sia la loro maschera e in qualunque paese abitino. Li condurremo, dunque, ai piedi di quella giovane quercia dove i marsigliesi e i sanculotti abiurarono i loro errori e giurarono di rovesciare il trono. Allora, infine, li condurremo nel santuario delle leggi dove con mano repubblicana mostreremo loro la fazione che volle salvare il tiranno e la Montagna che ne decretò la morte.

Viva la verità, viva la Convenzione nazionale, viva la Repubblica francese !