sabato 9 luglio 2011

Valle di Susa e Little Big Horn





Così, più o meno, potrebbero esprimersi, in uno spazio fuori dal tempo, parecchi individui integrati, educati e civili che avessero l’onestà e il coraggio delle proprie opinioni spettacolari:

«Quando Colombo ha scoperto l’America e i vari conquistadores hanno saccheggiato un intero continente, mi sono detto che la civiltà cristiana era più importante di qualche eccesso nella necessaria educazione per adeguare i selvaggi ai costumi civilizzati.

Quando abbiamo portato di forza, per secoli, i neri dall’Africa all’America, riducendoli in schiavitù, ho pensato che la coltivazione della canna da zucchero e del cotone valeva bene il sacrificio di qualche principio. D’accordo per i diritti dell’uomo, ma quelli della merce prima di tutto.

Quando in seguito alla rivoluzione industriale, lo sfruttamento nelle fabbriche assomigliava anch’esso alla schiavitù, se non peggio, mi è sembrato inevitabile che lo sforzo collettivo, per quanto ineguale e ingiustamente ripartito, dovesse portare a buon fine il progresso dell’economia dei paesi più civili.

Quando due guerre mondiali hanno scombussolato i sia pur precari equilibri sociali e i fascismi hanno trasformato il già spietato colonialismo in una macchina predatoria senza nessuna frontiera né limite tanto all’interno che all’esterno, prima ho sostenuto il fascismo e la sua volontà di darci - in quanto razza superiore - i mezzi per realizzare il nostro sacro destino, poi sono diventato democratico e antifascista durante i giorni lavorativi e a volte persino antirazzista la domenica, ma più raramente. Ero troppo eccitato e occupato a ricostruire un mondo essenzialmente simile a quello che c’era prima del conflitto.

Meno male che la guerra fredda, come tutti i manicheismi, ci ha dato una mano a costruire consenso e a imbrigliare la critica radicale che cominciava ad affiorare in una società totalmente diversa per l’intensità dello sfruttamento economicista della vita quotidiana ridotta a tempo di lavoro assoluto.

Quando, con la società dello spettacolo, il prodotto interno lordo è diventato il solo comandamento divino di un’economia scesa in terra per contare scrupolosamente la redditività dei vivi e dei morti senza più sprechi di tempo libero e fisime umanitarie di comunità umana, mi sono detto che potevo essere un buon competitore per vincere la mia guerra contro tutti ed essere felice anche in un campo di rovine da attraversare rapidamente e fieramente in SUV.

Quando, dappertutto, hanno cominciato ad alzarsi grida di protesta e una resistenza variegata si è espressa come un segno di rivolta imminente contro un mondo palesemente disumano, assurdo e crudele, mi sono messo dalla parte dell’eterno progresso contro gli utopici oscurantisti che volevano riportarci all’età della pietra.

Il terrorismo ha allora occupato il posto del comunismo come nemico nella cosmogonia manicheista che il sistema dominante mi ha offerto come una scuola in cui educare i suoi sostenitori, convinti, del resto, più dagli spauracchi che dalle promesse. L’anticomunista di destra o di sinistra che io sono sempre e comunque, si è adesso equipaggiato anche di un kit da perfetto progressista e ha fatto di una scienza di paccottiglia una nuova infame religione.

Ora, dopo Fukushima, ho un po’ di paura, non lo nego, e ho finito per votare addirittura sì ai referendum come un qualunque schifoso sovversivo; conto, però, sui miei maestri di sopravvivenza di destra e di sinistra per riprendere a sostenere con lena la civiltà del lavoro produttivista contro i diavoli, le streghe, gli ebrei erranti, gli immigrati, gli obiettori di crescita economica e i fantomatici black block che vogliono la rovina della nostra civiltà e del progresso che essa ci ha sempre generosamente apportato.

Io sono e sarò sempre un servitore volontario, fiero di sostenere una civiltà che fa spettacolarmente rima con felicità persino mentre l’abisso si avvicina ineluttabile e stiamo per essere ingoiati dallo tsunami che abbiamo provocato alterando tutti gli equilibri naturali in nome della redditività … e del progresso, naturalmente.

Quando il nulla di cui siamo i figli settimini ci chiamerà, noi, ubbidienti come zombi fedeli al proprio destino, vi sprofonderemo dentro e anche il nostro ultimo urlo rabbioso sarà di gioia. O no?»

«Tenete alla vostra libertà? Cominciate ad amarla in quella altrui.» Anonimo genovese


Chi mai può essere interessato a riflettere sui fatti senza uno spirito da tifoso?

Le maggioranze, silenziose o no, si formano sempre attorno a certezze ripetute e assai poco provate. Esse dipendono da dogmi forgiati a partire da affettività che si pretendono razionali e verificate e risalgono, invece, da qualche desiderio manipolato e da troppe paure.

I cittadini delle democrazie spettacolari sono dei soggetti umiliati che dimenticano sistematicamente la loro vita assente e la loro storia e si appigliano a quella fittizia data loro in pasto come una spregevole elemosina per schiavi umiliati.

Tutte le verità ideologiche sono spinte più dalla criminalizzazione dell’altro, dell’antagonista, che dalla chiarezza delle proprie ragioni.

E successo col nucleare - e non è finita -, sta succedendo con la Valle di Susa, e non è che l’inizio.

Che il mio partito preso sia ben chiaro: laddove una scelta comune s’impone, conta il parere di tutti e la decisione concerne tutti gli interessati; a partire, però, da coloro che della scelta sono i primi beneficiari o le prime vittime.

Non si può decidere a Bergamo quel che concerne Catania o viceversa. L’interesse generale non può mai costituirsi su un danno avverato per chi si trovi all’epicentro delle conseguenze di una scelta. Aggiungo che le scelte dannose sono essenzialmente da evitare. Per principio e per buon senso.

Per chi è d’accordo su questo punto cruciale, solo il metodo di una democrazia diretta può risultare soddisfacente.

Si fa molta confusione sul concetto di democrazia diretta, annotando con diabolica e interessata nenia che un tale metodo di governo è incompatibile con lo sviluppo demografico della popolazione.

Di colpo, i fratellini contemporanei di quel servitore volontario che sostiene sempre il potere di turno contro ogni argomentazione critica, si preoccupano per le sorti di un’umanità in balia di un governo di autogestione generalizzata che non sarebbe in grado di funzionare.

Mai che venga loro in mente che se da secoli un sistema sociale fondato sul sacrificio e il sopruso riesce a imporsi al pianeta intero con tanta, sia pur dolorosa, riuscita, qualunque sistema che abbia al centro una volontà di uguaglianze e di libertà non formali sarebbe comunque meno complicato da mettere in pratica e da gestire.

Tutte le volte che milioni d’individui liberi hanno osato provarci - per di più in situazioni difficili e con mezzi tecnici molto inferiori al presente -, dalla Comune di Parigi alle comunità aragonesi e catalane, dai rivoltosi machnovisti d’Ucraina agli spartakisti berlinesi, l’utopia ha sempre funzionato benissimo e si è preparata, affinandosi e correggendosi, a eliminare gli errori e a perfezionare la riuscita di una società tesa alla felicità di ciascuno e di tutti.

Sono sempre degli eserciti imperialisti del vecchio mondo (bianchi, rossi o neri) che hanno ristabilito con la forza le condizioni precedenti, manco a dirlo in nome della civiltà e del progresso se non, addirittura, della rivoluzione.

Nei momenti cruciali, versagliesi e prussiani, nazionalisti e socialdemocratici, stalinisti alla Lister e falangisti alla Franco si sono sempre mostrati curiosamente uniti, oltre le differenze ideologiche, nella lotta contro l’emancipazione umana, naturalmente sempre in nome del progresso e della civiltà di destra o di sinistra.

Il capitalismo, come l’uomo economizzato e angusto che l’ha prodotto, ha due mani - la destra e la sinistra - e sa servirsi di entrambe da sempre. Se si è affermato con una rivoluzione violenta, tagliando la testa di re e prelati, si è consolidato con la guerra, ha fatto tesoro degli estremismi controrivoluzionari di bolscevismo e fascismo, ha ripreso i territori sfuggiti al suo controllo con metodi da carnefice e restaura sistematicamente il proprio dominio con la forza.

La CIA e il KGB, insieme a tutti i loro fratellini più piccoli, hanno fatto dello Stato - di tutti gli Stati, di destra e di sinistra, complici di quel mercato che pretendono regolare e che assecondano, invece, in tutti i suoi desiderata - il sopruso assoluto che in nome dell’umanità riduce l’uomo a uno schiavo e la democrazia a un’oclocrazia dove una plebe resa ignorante da una pedagogia della sottomissione permanente, crede con fede d’acciaio che «lo Stato siamo noi» ed elegge con piglio sottoproletario i capi ridicoli e ottusi di una lumpenborghesia spettacolare e corrotta, affossatrice interclassista della lotta di classe.

Che la pseudoclasse dominante - in realtà sono dei servi imbottiti di privilegi volgari e proprio per questo del tutto senza scrupoli né decenza - si gargarizzi, nella sua propaganda, di civiltà e di progresso senza venire immediatamente spazzata via da coloro che pretende rappresentare e in realtà taglieggia e truffa, non è che la logica conseguenza di una dipendenza ormai addirittura interiorizzata nel carattere degli individui addomesticati.

Chi può dire, tuttavia, quanto durerà il condizionamento e quale trauma imprevisto potrebbe annullarne di botto l’effetto ipnotico?

In questo quadro generale, la sconfitta simbolica sul nucleare nel referendum italiano è per il sistema dominante un segnale inquietante che supera la questione elettorale e mette in gioco l’ipotesi della sostituzione di una democrazia parlamentare asservita al capitalismo con una democrazia consiliare che restituirebbe al popolo, solo formalmente sovrano, i contenuti assenti della sua sovranità in quanto comunità concreta e autonoma di individui sociali.

La democrazia locale, federata in gironi successivi fino a una democrazia planetaria, non è compatibile con l’internazionale delle multinazionali, ma può cominciare dovunque a prevederne e prepararne il superamento attraverso l’abrogazione di una democrazia spettacolare nel nome di una democrazia reale e dunque diretta dai soggetti che la applicano.

Oltre la paternalistica prassi del referendum, il rifiuto del nucleare ribadito di fronte a una casta che cercava di riproporre questa energia mortifera come un demenziale business redditizio, è un atto di oggettiva democrazia diretta.

I cittadini di una vera democrazia devono, infatti, decidere di tutto, liberandosi dei rappresentanti corrotti e venduti al soldo del business planetario.

In Italia e nel mondo ogni nazione è essenzialmente confrontata a questo stesso problema e come avvenne nel passaggio dall’Ancien regime monarchico alla repubblica borghese, si tratta di scegliere ovunque il meglio per l’emancipazione dell’umanità e la gioia di vivere.

Spostando su questo piano fattuale e non ideologico la questione sociale contemporanea, anche il piccolo ma esemplare episodio della Valle di Susa, questo Chiapas alpino, questa riserva Sioux ai piedi dei monti, acquista un significato dall’ampiezza inusitata e, oserei dire, planetaria.

Il capo bianco Fassino, piccolo travet socialdemocratico al servizio da una vita delle istituzioni di cui si serve, appena eletto sindaco di Torino, ha mostrato la sua tenace volontà di far passare il treno della merce nella prateria abitata da ignari cittadini.

Dobbiamo ringraziarlo della sollecitudine con cui ci dimostra la coerenza univoca delle due mani del capitalismo.

La civiltà deve avanzare e, come nelle grandi praterie americane, è quella civiltà e solo quella ad avere diritto di cittadinanza. Gli indiani devono sparire nelle riserve e uscire solo per consumare e, ogni tanto, votare i Fassino che gestiscono con compunto sussiego militante la vita miserabile dei proletari e i loro conti in banca personali che da essa dipendono.

Tali compagni amano talmente i proletari che fanno di tutto perché lo rimangano. Poco importa per il loro slancio generoso che l’utilità civile di quella scelta particolare riguardante il mostro di ferro sia messa in discussione con argomenti che nessun patriota bianco, civilizzato e progressista riesce a contestare nei contenuti.

Non ho letto né sentito una sola argomentazione che dimostri l’utilità del tunnel in questione. Si parla genericamente di trasporto merci da favorire e non si risponde una sola parola concreta all’obiezione che non c’è nessun aumento di flusso dei trasporti da considerare probabile. Anzi, il contrario. La ferrovia che c’è già è sottoutilizzata e rischia di restarlo.

Se non fosse vero, si sarebbero certo premurati di dimostrarlo e farlo sapere. Silenzio.

Anche i costi dell’opera sono passati in cavalleria, come è già avvenuto per il nucleare: per poterlo definire economicamente redditizio si sono sistematicamente nascosti i costi reali, proibitivi, descrivendo invece, un paradiso energetico falso, grottesco e raccapricciante quanto i bambini che giocano e le mucche che pascolano disegnati sulle ciminiere delle centrali nucleari francesi in sbuffante e macabra funzione.

Eh sì, perché il nucleare ha perso in Giappone e in Italia con costi assai differenti, ma continua a essere una terribile bomba inesplosa, una roulette russa dall’altra parte delle Alpi.

La Valle di Susa è un esempio di ricomposizione sociale spontanea di esseri umani reali, oltre lo spappolamento etnico e culturale operato internazionalmente dalla cultura alienante del capitalismo planetario. Questo ritorno al locale con uno sguardo planetario è una resistenza all’acculturazione generalizzata di una civiltà produttivistica cui si oppongono ormai esplicitamente tutti i dannati della terra in vertiginoso aumento: dai campesinos senza terra del Brasile o dell’India agli zapatisti del Chiapas e altri resistenti di un Messico in mano alle mafie della droga e al solito Stato, altrettanto corrotto a Mexico City che in qualunque altra parte del mondo, a Tokio, a Washington, a Pechino, a Roma, a Londra, a Mosca, a Teheran o Tripoli…

Senza fine è la lista degli Stati canaglia!

In Valle di Susa c’è stata una qualche violenza, è sicuro, ma da tutte le parti e, in primis, da quegli stessi tutori dell’ordine nuovo che a Genova, nel 2001, canticchiavano Faccetta nera.

Ma è dunque sovversione la legittima difesa e, in assenza di alternative, la sovversione non diventa forse l’unica legittima difesa possibile?

Riprendersi un territorio confiscato senza valide ragioni umane è dunque degno di essere trattato alla stregua di un’aggressione ingiustificata?

Come pesare la violenza di chi difende il proprio diritto all’esistenza con il parametro ipocrita di chi impone un sacrificio senza contropartita e senza ragione motivata?

Tra i diritti dell’essere umano non c’è dunque, affermato a chiare lettere, quello di rivoltarsi di fronte all’oppressione?

Non c’è forse oppressione e sopruso nella volontà degli affaristi di Stato di distruggere un territorio per farne un investimento tanto lucroso per pochi che oneroso, inutile e dannoso per molti?

Basta dunque dirsi Stato per poter denunciare come terrorismo ogni resistenza?

Questo è quanto facevano i nazisti durante l’occupazione.

Basta dunque lo specchietto per le allodole di una democrazia formalmente rappresentativa che nei fatti non rappresenta più nessuno, per permettere a Fassino e consoci di non vestire i panni imbarazzanti di un Laval?

Cavallo pazzo, Toro seduto e molti altri selvaggi si sono opposti al “progresso” che manifestava il suo diritto autoproclamato al sopruso con l’avanzata colonialista di Custer. Hanno osato opporsi alle giacche azzurre sconfiggendole al Little Big Horn.

Hanno poi pagato cara la loro coraggiosa resistenza, finita in un genocidio rimasto impunito. Oggi, però, i tempi sono cambiati e gli indiani sono ormai la maggioranza della popolazione.

Certo, la maggior parte di loro non lo sa ancora e aspetta, forse, di verificare che il denaro non si può mangiare né respirare per fare il salto della barricata e operare quel cambio di civiltà che è in sospeso da mezzo secolo ma grida vendetta fin dai tempi più remoti.

Da ben prima di Wounded Knee, la sorte che la civiltà del lavoro ha riservato ai rossi di tutti i tipi non conosce pietà né rispetto.

È giunta l’ora di conquistarsi il rispetto di noi stessi realizzando la libertà e l’uguaglianza nella fraternità.

Sergio Ghirardi