giovedì 27 ottobre 2011

Da Genova, destinazione Nuovo Mondo 12) - P. Ranieri

RIFORMA O RIVOLUZIONE, FINE DELLA LOTTA DI CLASSE

"Non è possibile risolvere un problema con la stessa mentalità con cui lo si è creato".

Albert Einstein

…noi ci incontreremo e proveremo a dare piena espressione ai nostri desideri.

Lascia che sia un altro momento della vita di tutti i giorni mirando alla gioia della rivolta. Lascia che sia il punto di svolta di ogni protesta che desidera sganciarsi dalle catene della legittimità e della democrazia borghese. Lascia che esca fuori un altro esempio (Praga, Seattle, Genova, Argentina) nell'ascolto del quale l'astuzia ridera' di coloro che deridono la linearita' della Storia. I nostri desideri saranno il materiale combustibile alle fondamenta del vecchio mondo. Solo la sua totale distruzione aprirà la via alla strada della libertà.

METTI LA PAROLA RIVOLUZIONE DI NUOVO SULLE LABBRA DEL MONDO!

Gruppo anarchico di Atene "HIJOS DE LA NOCHE"

(volantino diffuso alla vigilia del vertice di Salonicco)

"Chi rivivrà i violenti vortici di fuoco se non noi e quelli che consideriamo fratelli? Venite! Novelli amici: questo vi piacerà. Non lavoreremo mai, oh maree di fuoco!" "Questo mondo esploderà E’ il vero sentiero. Avanti, in cammino."

Arthur Rimbaud

Già ora molti (tra cui lo stesso sub comandante Marcos) preferiscono a « rivoluzione », parola così cara a tante generazioni di refrattari, ma esaurita da una concezione della storia in profonda crisi, le parole « ribellione », «insurrezione», «rivolta», « sovversione », ponendo l’accento sulla costruzione di situazioni radicali nel presente piuttosto che sulla proiezione nel futuro della realizzazione di una società ideale. Anche se questa distinzione deriva da una percezione imprecisa della rivoluzione stessa, che, sia etimologicamente sia storicamente, è momento costituente, capovolgimento dei criteri, e non già affermazione di un potere sostitutivo del precedente, destinato a fare, d’un colpo solo, ope legis, le riforme opportune. Per rivoluzione si intende, di consueto, la riforma assoluta, repentina, folgorante: la contrapposizione fra rivoluzione e riforma viene fatta risiedere nei tempi, e poco più. In entrambe è l’autorità delle leggi a riportare nel mondo la giustizia; in entrambe le soluzioni sono già note in anticipo, come parte di un programma, come paradiso di una fede o traguardo di una scienza; in entrambe l’individuo è obbligato a ciò che è DAVVERO bene per lui, è la forza esterna dello stato a ridurlo alla ragione; entrambe si situano essenzialmente nel futuro, sono, non merci, ma servizi a pagamento, che paghi ora perché possano convertirsi in una rendita in un futuro remoto e ipotetico. Un po’ come nelle polizze vita, ti viene offerta la cosiddetta “doppia proposta positiva” (positiva, beninteso, non per te, ma per il tuo nemico); preferisci il capitale o la rendita? Ecco: la rivoluzione è il capitale, il momento folgorante seguito da una miseria permanente; la riforma è la miseria diluita, mitridatizzata, finché la morte non ti renda libertà. Solo l’immane meschinità del presente può consentire che sopravvivano riformisti o rivoluzionari di tal sorta, che il sacrificio politico venga ancora accolto e ricercato da milioni di persone. Pur di non rinunciare alla speranza, ci si adatta a sperare in qualcosa che non solo è inverosimile che accada, ma che, riflettendo solo un attimo, sarebbe cento volte meglio che non accadesse. Come chi, mentre proclama la propria fede nella miglior vita, spera ardentemente di campare fino a cent’anni, così chi si batte per una società migliore e più giusta, rimane ben disposto a sacrificarsi ancora un poco in mezzo ai mali del presente.

Nell’idea stessa di riforma è insita l’affermazione che l’impianto sarebbe condivisibile, ma è gestito male, gestito per fini ingiusti. per cui la pecora del capitalismo andrebbe tosata e non mangiata, pretendere di continuare a tosare un capitalismo che, se già cent’anni fa più che una pecora era semmai una jena, ora si è da tempo convertito in un serpente velenoso, la cui lana inquina e uccide.

Come indicano le loro magliette, i militanti di Attac – giornalisti, intellettuali, professori, militanti trotskisti, stalinisti pentiti, studenti, sindacalisti – rivendicano una percentuale, una fettina di «questa ricchezza», da spendere in «questa società», oltre il cui orizzonte non immaginano di poter mai arrivare. Eredi del vecchio sindacalismo, hanno sostituito la rivendicazione fallimentare con il lobbyismo mediatico, lo sciopero compatibile con la dimostrazione concordata.

Ma sempre con la precisa volontà di spartire le briciole avvelenate della torta del progresso. Ciò comporta che si tratta non già di proporre ad alcuni – gli attuali ricchi, gli attuali potenti, ma anche tutti coloro che giudicano verosimile diventare a loro volta ricchi e potenti – un diverso e migliore punto di vista sul mondo, ma di imporre loro di cedere tutto o parte del loro potere, di contendere loro il potere sull’esistente. Il discorso riformista, sotto l’apparenza pacifica, democratica, cela in realtà un confronto di forza violento, e proprio perché violento bisognoso di regole che ne attenuino la pericolosità. Ogni presunto miglioramento comporta perciò un aumento di leggi, controlli, controllori, polizie, giudici, carceri, fino a dividere il mondo in rei e poliziotti. Che é quanto sta già accadendo grazie ai riformatori di oggi. Ogni riforma, da almeno un secolo, non ha fatto che ridurre e umiliare ulteriormente la libertà e il piacere di vivere. Il principio del confronto di potere, che sta alla base del riformismo (d’ora in avanti al posto tuo le leggi le fisserò io), si estende a tutto il quadro, e questo spiega perché siano molto più spesso i riformisti, fautori della simbolizzazione e della sublimazione della violenza, a condursi violentemente contro i rivoluzionari, che dichiarano apertamente, e in certo qual modo pacificamente, di farsi carico del dispiegamento della violenza. La prospettiva rivoluzionaria è essenzialmente fondata sul cambiamento di prospettiva, e sulla parallela demolizione degli ostacoli che si frappongono a questo cambiamento. Propone un altro mondo e un’altra civiltà . Nel momento stesso in cui si rifiuta la mediazione della politica e la caccia al potere separato, necessariamente ci si affida a ciò che è l’autentico fondamento della politica, vale a dire la persuasione.

Per cui il più radicale, il più propenso alla distruzione e al rifiuto di quanto esiste, non ha motivo di essere e non è il più prevaricatore e autoritario. Infatti, dovunque nelle giornate di Genova nessuno ha costretto chicchessia a praticare atti violenti contro la sua volontà; molti hanno cercato, con scarsi risultati, invero, di imporre grazie al numero e alle minacce, quel che hanno la spudoratezza di definire non-violenza. Osservava acutamente Olivavittoria: “è curioso notare come sia violento il linguaggio dei "non violenti".”

E’ infondatissima l'idea che migliorare l'esistente sia più facile che ricostruire il mondo da capo. Per migliorarlo è indispensabile essere in grado di imporre ovunque le proprie decisioni: per rendere umano, temperato, sostenibile il capitalismo, occorrerebbe non solo che ogni singolo individui muti la propria attitudine, ma che tutti la mutino nel senso indicato dal riformatore, utopia insieme ridicola e sinistra, che – ogni qual volta qualcuno ha osato porvi mano – ha condotto a tirannidi e a violenze d’ogni sorta. Come Mengele rappresenta perfettamente il culmine della ricerca scientifica su soggetti viventi, così Pol Pot offre una perfetta indicazione di ciò che significa una riforma sociale praticata rigorosamente. Se l’indole aggressiva e poliziesca dei riformatori non emerge sempre con la giusta chiarezza è perché allorché hanno l’occasione di dispiegarla, hanno già cessato di presentarsi come riformatori. Mentre per ricostruirlo, occorre da una parte che qualcuno, non necessariamente tutti, proceda alla sua demolizione, e che poi ciascuno ponga mano alla sua riedificazione, secondo criteri propri e nuovi, essendo stati spazzati via quelli della società defunta.

Se c’è, anzi, un argomento a favore della demolizione totale della presente società é proprio la facilità. Come scrive Marcos e come gli zapatisti, in quell’area che sono riusciti a liberare, hanno cercato di fare: "non é necessario conquistare il mondo. Basta farne un altro. Noi, oggi"

Sotto questo punto di vista, laddove le riforme sono rinviate a un’epoca avvenire da conquistare e imporre con la forza del numero, la rivoluzione, il processo di liberazione individuale praticato collettivamente, è principiata da un pezzo. Come scrive

Renzo Novatore:"Tu aspetti la rivoluzione! Così sia! La mia è già cominciata da tempo! Quando sarai pronto... non mi dispiacerebbe fare un pezzo di strada con te per un po'.”

se le ideologie sono tutte alienanti (compresa quella anarchica), gli anarchici sono fra le persone migliori a conoscere. E la rivoluzione é una composizione di corpi viventi, non certo una danza macabra di dogmi e di principi.

E, precisamente come quel maggio del 1968 da cui tutto questo ha preso origine, se non saprà volgersi non già contro il malfunzionamento della macchina capitalista che affama e saccheggia buona parte del pianeta, ma soprattutto contro il funzionamento efficace di quella parte di mondo che percepisce sé stessa, abbastanza inspiegabilmente, come ricca e degna di invidia.