martedì 18 ottobre 2011

Da Genova, destinazione Nuovo Mondo 3) - P. Ranieri


VANDALISMO

(Eccoli)

Sedere in un drugstore, con lo sguardo perduto nel nulla, annoiati, bevendo un caffè senza sapore? Oppure, forse, farlo saltare o bruciarlo?»

(The Angry Brigade)

«Chi incendia, sta dando fuoco alle sue passioni»

(Nosferatu, lista libertari)

“Ormai la vita del prodotto fabbricato è di colpo volontariamente accorciata. Esso non è più durevole ma effimero, il suo consumo non è più differito ma immediato. Ciò che è solido e stabile ha cessato di essere desiderato e gli americani hanno creato anche un’espressione che designa questi prodotti garantiti senza durata.

In relazione a questa situazione, ci sembra che il vandalismo sia semplicemente un consumo come un altro”

(Asger Jorn Selvatichezza, barbarie e civiltà)

Il Black ha catalizzato" le angosce emergenti nell'evento”…."efficace" o meno che fosse, la loro azione rappresentava una minaccia psicologica: bruciavano tutto quello che una persona normalmente compra per rendersi gradevole la vita..

(Black Jihad – lista movimento 10 giugno 2002)

Scrivere "Il problema reale è che siano individuati i mandanti e gli esecutori di azioni teppistiche" è roba Unità dei tempi del compromesso storico. Quando si cercava di ridurre le occupazioni delle case, delle università, gli espropri a un problema di mandanti di un più generale complotto, oggettivamente colluso con la Dc più retriva (che poi era l'alleata del Pci).
Caro Paloscia se uno sfascia una vetrina ha un mandante facilmente individuabile: se stesso. Se leggi queste righe ti assicuro personalmente che entrare in un negozio e portar via quel che puoi, rimpiangendo di non avere tre mani, e partecipare a quel rito del declino della merce che è il saccheggio è un sentirsi liberi, emancipati e felici come poche altre cose nella vita. Ed è una scuola di vita: chi ha imparato a prendersi la libertà difficilmente se ne dimenticherà o cercherà di negarla agli altri.

Nella speranza che tu sia abbastanza giovane da poterti mettere un bel cappuccio nero in testa e da non rimpiangere anni perduti ti saluto.

da Indymedia, 5 10 03 PECCHIOLI SI NASCE – Enemy at the Gates

"Come lo splendido e grandioso incivilimento romano fu distrutto dalle orde tremende dei Vandali, degli Eruli e degli Unni, credo che l'incivilimento nostro, di cui non senza ragione meniamo gran vanto, potrebbe essere distrutto da orde di barbari interni, formate da proletari appassionati e sedotti dalle fallaci ma seducenti teoriche del comunismo. Già il pericolo di un simile sconvolgimento ha minacciato ben da vicino la società europea".

(Gustavo di Cavour, allocuzione al Parlamento Subalpino, 1854)

La mattina del 20 il nichilismo allegro dei vandali diede la nota d’avvio al ripresentarsi atteso e temuto della storia vissuta e non subita.

Lungi dal radere al suolo ogni cosa, come avrebbero fatto di lì a poco gli armigeri statali, si videro i «distruttori» convenuti a Genova dai cinque continenti, condursi con l’accuratezza e la «professionalità» del bonificatore, del derattizzatore, del disinfestatore, smontando qui una grata, demolendo là la sede di una società finanziaria, bruciando agenzie d’assicurazioni e banche un po’ dappertutto banche e, appena più oltre, ponendo a disposizione di tutti bevande e cibi rinchiusi nei supermercati, snidando ad uno ad uno i simboli dell’abbondanza di merci e dell’assenza di vita vera. I loro metodi, visti in azione a Genova, hanno richiamato una critica dell’urbanistica, che meriterebbe di essere inscritta in un’antiarchitettura, fondata su una correzione passionale dell’esistente di sapore fourieriano. «Una vetrata di un megastore diventa una fessura attraverso la quale passa una ventata di aria fresca…la facciata di un palazzo diventa una bacheca per registrare idee illuminanti per un futuro migliore» avevano scritto dopo Seattle dimostrando che la loro azione spontanea non era bensì casuale. Chi brucia, infatti, non é mai isolato da qualunque contesto – come spesso si afferma da parte dei mille detrattori interessati – ma partecipa ad una catena di incendi che dura ininterrotta da secoli e che illumina ogni regione del mondo e ogni epoca della storia.

A quei primi “Fiori velenosi venuti solo per sfasciare”, col procedere delle ore e delle violenze, si aggiunsero a migliaia, impegnati in una disperata autodifesa o, più semplicemente, trascinati da quello che è stato definito «il carnevale permanente dei proletari». gente incazzata, sospesa fra lo schifo che ispira l'arredo di una città comntemporanea, in quanto ritratto somigliante della vita che vi si conduce, e l'urgenza di smontare questa costruzione odiosa e inutile che é la società per rimodellare con i suoi cocci una civiltà nuova.

Incapace di vedere altro che una teppaglia neoluddista la dirigente di ATTAC, Susan George, si affrettò a dichiarare: "A causa di qualche cretino ingestibile, ci prendono per anticapitalisti primari e antieuropeisti violenti. Queste violenze anarchiche sono più antidemocratiche delle istituzioni che pretendono di combattere”. Nel gennaio 2002, la stessa avrebbe illuminato meglio la propria concezione di democrazia, ringraziando pubblicamente Bush per i bombardamenti con cui si liberava l’Afghanistan dai Talebani.

Sempre, fin dai tempi di Spartaco, una rivoluzione appare barbara, antisociale, violenta e antidemocratica; e tale in effetti è, non solo ad opera delle sue frange, ma nella sua sostanza, giacché spezzando l'involucro sociale, abbatte il principio del potere della maggioranza sugli individui, riaffermando il potere di ciascuno su sé stesso e sul proprio mondo. E’ difficilissimo ipotizzare un affrancamento dall'impotenza sociale che non preveda questo viaggio, sia individuale sia collettivo, al fondo della notte...

Infatti, come recitano gli antichi a proposito della proprietà, che è la radice del potere della società fondata sulla separazione e l’alienazione, il potere è potere di usare e di abusare. In poche parole, è libertà di scegliere quale uso fare di ciò che esiste: per questo la libertà tende regolarmente ad esprimersi preliminarmente in forma distruttiva, proprio per segnare l’affrancamento di chi opera dalle norme vigenti su quanto sia uso e quanto abuso, per segnalare che è entrato in vigore un nuovo criterio, che un nuovo soggetto si è presentato per decidere.

Quando si distrugge, è esplicita l'idea che quegli oggetti sono in nostro potere, quindi sono NOSTRI. Affermando il massimo del diritto di proprietà, il diritto di abusare di ciò che è nostro, di gettarlo via, si distrugge la proprietà. E quindi distruggere, come no? ma sapendo che un oggetto che prima aveva un uso, poi non ce l'avrà più. Può essere spesso un bene, beninteso. Bruciare un McDonald migliora di sicuro la qualità media del vitto in una certa area: ancor meglio bruciare una piantagione transgenica, un istituto di ricerca, una chiesa. Le automobili viceversa rispondono efficacemente all’esigenza cui pretendono di dare una risposta, ed è semmai questa esigenza che richiede d’essere indagata: penso che convenga distruggerle solo laddove servono meglio da distrutte, per esempio in una barricata. In genere poi quella di colpire le macchine belle per salvare i catorci, credo corrisponda a un'idea davvero cretina di lotta dei poveri contro i ricchi, quando i ricchi, le persone cioé che godrebbero di questo mondo, sono estinti da tempo. Quelli che oggi si chiamano ricchi dispongono più che altro di un superiore accumulo di merci povere, di zavorre, di prove della loro confidenza gaglioffa con la merce

Questa proposizione consiste nel costruire concretamente delle atmosfere momentanee della vita, spingendo quest’ultima verso una qualità passionale superiore. In questa costruzione si manifesta la volontà di mettere a punto un intervento ordinato sui fattori complessi di due grandi componenti in costante interazione: lo scenario materiale della vita ed i comportamenti che esso produce e che lo sconvolgono.

La concezione situazionista di una « situazione costruita » non si riduce ad un impiego unitario dei mezzi artistici concorrenti a creare un ambiente, per quanto grandi possano essere l’estensione spazio-temporale e la forza di questo ambiente. La situazione è contemporaneamente un’unità di comportamento nel tempo.

La situazione costruita è dunque un momento della vita, concretamente e deliberatamente costruito attraverso l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti.

Essa è fatta di gesti contenuti nello scenario di un momento. Questi gesti sono il prodotto tanto dello scenario che di loro stessi. Producono altre forme di scenario ed altri gesti.

Ciascuno di coloro che partecipano a quest’avventura deve ricercare quello che ama, ciò che l’attira, ma il compimento reale dell’individuo passa necessariamente per il dominio collettivo del mondo; prima del quale non esistono ancora individui ma solo ombre che assillano le cose date loro anarchicamente da altri.

E’ nelle questioni della vita quotidiana che si percepisce in maniera più netta fino a che punto ogni uomo individualmente è il prodotto della situazione e non il suo creatore. La costruzione di situazioni vuole rovinare queste condizioni, facendo apparire in qualche punto il segnale incendiario di un gioco superiore. L’arte può allora smettere di essere un rapporto sulle sensazioni per diventare un’organizzazione diretta di sensazioni affinate nella loro qualità. La direzione effettivamente sperimentale dell’attività situazionista favorisce lo stabilirsi, a partire da desideri più o meno nettamente riconosciuti, di un campo di attività temporaneo favorevole a questi stessi desideri. Ciò soltanto può portare chiarimento ai desideri primitivi e favorire la comparsa di nuovi desideri, la cui radice materiale sarà precisamente la nuova realtà costituita dalle costruzioni situazioniste.

Sergio Ghirardi.- Appunti per un libro sull’IS

La libertà contiene la libertà di devastare, incendiare, saccheggiare: semmai, chiediamoci perché lo si fa così di rado, così superficialmente, e soprattutto si fa solo quello, quando le libertà sarebbero e sono infinite come le passioni. Fra la passione di creare e la passione di distruggere esiste solo un'oscillazione, che distrugge il potere

Ciò che fai libera (per momenti brevi, da principio) spazi e tempi, di questi tempi e questi spazi molti possono profittare per agire, e avanti così. Per pervenire a questa possibilità di azione libera che scatena le passioni del mondo, occorre farsi capaci di costruire situazioni (e non solo affastellarne pezzi sparsi com'é stato a Genova), attrezzandosi e - prima di tutto e sopra tutto - parlando e ascoltando. Se anche solo questo, di avere spinto milioni di persone a cercare insieme domande e risposte, fosse l'esito di Genova (perché tutta l'Italia si interroga, e forse tantissimi pure altrove) e delle sue vetrine rotte - perché converrai che le stesse persone che sfilavano in piazza non avrebbero fatto parlare nessuno e neppure sé stesse - a me parrebbe un esito buono. Migliore sarà se sapremo dirci cose memorabili e saremo capaci di rammentarle e riprenderle.

Trovo che il vandalismo sia sopravvalutato da molti compagni, a fronte di altre azioni possibili ugualmente soddisfacenti, tipo il sabotaggio di macchine e installazioni, la scritta murale, i boicottaggi di lezioni, conferenze, convegni, consigli l'amministrazione, l'incendio doloso, etc

Perché alla prossima Genova, che dovremo inventare (perché dubito ce ne serviranno una pronta, dopo la recente esperienza) si possa agire con la leggerezza e la sveltezza dei Blacks, ma con la capacità di andare ben oltre qualche devastazione ripetitiva e consolatoria.

non penso che I
Black Block abbiano svegliato qualcuno - questa é la loro
illusione, non la mia. Ho detto che Genova viene ricordata a causa loro.
Francamente io credo che tu ti sia
svegliata perché eri stanca di dormire e facendo dei brutti sogni per di
più, come tanti e tanti altri. Che poi Genova a questi tanti abbia regalato una colonna sonora, é un'altra
cosa. Ma il film ciascuno se lo deve
costruire da sè, con la fatica anche che ciò comporta

Esposto alla mazza e alla benzina del distruttore, ciò che c’è non può pretendere più a lungo di essere «ciò che è stato, è e sempre sarà», riprecipita nel gorgo darwiniano della storia dove sopravvive il più adatto e ciò che esiste ora si batte ad armi pari con ciò che vuole nascere ed affermarsi, o con ciò che è stato e pervicacemente resiste e ritorna.

Chi leva il capo per ammirare le città che ha contribuito ad incendiare, forse domani sarà costretto nuovamente a chinarlo ma mai più lo chinerà così facilmente, così «naturalmente» come prima. In questo senso l’atto violento che spariglia oggetti e significati provvede a sciogliere dall’incantesimo sociale, esercita la funzione dello schioccar delle dita con cui il mesmerista pone termine all’ipnosi. Risveglia dal cattivo sogno dello spettacolo, in cui le merci ripetono senza posa la loro macabra danza. Ogni gesto iscritto in questo registro, per quanto significativo, rimane tuttavia niente più che uno schiocco delle dita, povero e strumentale. Interrompe, è vero, il flusso metabolico del lavoro e del consumo ma in una forma che si mantiene «al grado zero» della critica della vita quotidiana.

Infatti, non già la violenza è ludica e bella, ma l'autoliberazione che può accompagnarla; senza di essa la violenza diviene coazione a ripetere, assorbita nella ciclicità fantasmagorica del tempo sociale, si aliena dalla storia: e non riesce a trascendere la figura dell'ultras, che, grazie all’esplosione domenicale, finisce semplicemente per accumulare migliori forze per sostenere la propria condizione alienata, in cui sta per rientrare nel seguente, inevitabile, lunedì.

Va detto che contrapporre creazione e distruzione (fra cui sussiste una sola oscillazione, come ci ammonisce la teoria) ha senso solo per chi abbia deciso di castrarsi in una prospettiva utilitarista, che si limita a valutare le azioni in base al vantaggio che procurerebbero, vantaggio definito in base a degli aprioristici criteri universali. In effetti, chi incendia una città, distrugge quel luogo che essa era e crea al medesimo tempo un nuovo habitat di rovine e di materiali liberi, adatti a nuovi usi e a diversi sogni. Chi lancia gli aerei contro le torri distrugge un gigantesco luogo di lavoro e costruisce Ground Zero, un nuovo gigantesco luogo di lavoro. Sia il processo mercantile sia il vandalo infaticabilmente distruggono e ricostruiscono o, meglio, giacché nulla davvero si crea e nulla si distrugge, trasformano. Oggi, risulta chiaro che nessuno sarà mai capace di essere vandalo in un’intera esistenza votata a tal fine, quanto lo sia il capitalismo in una normale giornata di produzione. Il confronto rimane bloccato al rinnovato trionfo della produzione di massa di distruzione, a fronte di una distruzione artigianale, operata a mano. Quindi, occorre avere la coscienza che distruzioni anche su vasta scala non possono essere un obiettivo interessante per chi operi nel senso del superamento delle condizioni di sopravvivenza in atto. Né dal punto di vista pratico né dal punto di vista simbolico, perché su ambedue i piani l’organizzazione sociale è già compattamente padrona del campo. Né la distruzione dell’una o dell’altra delle vestigia di queste società, ispira facilmente solidarietà: chi più chi meno tutti percepiscono semmai l’esistente come attraversato da un eccesso di distruzione e di perdita di ogni capacità di durare. E’ proprio perché il mondo si presenta così fragile e caduco, che gli individui si volgono a un’intimità assurdamente votata alla durevolezza, incentivando deliri religiosi e relazioni blindate. Così, il crollo di edifici orribili e odiosi tuttavia trasmette piuttosto la rassegnazione abbrutita e schiamazzante degli ultimi giorni di Pompei, che il piacere di vedere il mondo restituito a una forma umana. Il lavoro ed il consumo ci hanno resi troppo simili alle cose perché la loro morte non ci faccia stringere il cuore, rinviandoci alla visione del misero destino cui siamo stati condannati.

Perché chi distrugge affermi efficacemente la propria signoria sulle cose che lo circondano, non può non chiamare sé stesso e ognuno alla responsabilità di edificare. Ma questo appare verosimile solo in un'ottica pubblica, di una "comunità adulta", che metta a disposizione della pratica della libertà spazi e tempi maturi e complessi. Infatti, se ci si soffermasse a riflettere che, nelle luci delle botteghe, le vetrine ci separano dalla merce, converrebbe, piuttosto che abbatterle, murarle.

E, simbolo per simbolo, appaiono ben più eloquenti, e perciò censurate a più non posso dai media,le pratiche di sabotaggio consistenti nel bloccare le serrature dei negozi, impedendo per qualche tempo agli individui il mefitico contatto con il veleno delle merci.

A questo proposito converrebbe interrogarsi, ad esempio, sul significato della devastazione dei MacDonald’s. Questi sono, senza dubbio, i terminali di una megamacchina per l’avvelenamento di massa dei corpi e degli spiriti. Tali azioni possono tuttavia condurre – e conducono, ad esempio, nelle interpretazioni di un José Bové – a sostituire l’intossicazione a stelle e strisce della multinazionale con quella eurostellata, pretesa biocompatibile.

Distinguere fra grandi commercianti – assimilati a «pescecani» – e piccoli commercianti – arruolati spensieratamente fra le vittime, comporta uno slittamento esiziale della critica dalla merce alla critica dei cosiddetti «eccessi» del sistema mercantile, raccoglie facili e inutilizzabili simpatie nell’universo dei cretini dello «slow food», autoproclamatisi testimoni e conservatori di un piacere di vivere che essi situano nel crescione e nel tartufo, e di una critica presunta radicale che avrebbe per oggetto la panna, la rucola o il gamberetto, miseri status symbol della massa televisiva. "Il capitalismo non sono solo le grandi multinazionali, ma una relazione sociale che si manifesta tanto quanto nei grandi magazzini e simboli (Mc Donald's) come nei piccoli negozi. La distruzione del capitalismo non significa che il mondo sarà trasformato in botteghe locali di venditori cibo biologico, rispettosi dell'ambiente, ma che l'economia e il denaro dovranno sparire nella loro totalità. (Comunicato « Proletari contro le macchine ») "

In effetti, a Genova meriterebbe indagare se siano state più numerose le auto distrutte dai manifestanti o quelle fatte brillare dalla polizia che sospettava celassero delle bombe: ma la giustificazione della sicurezza pubblica pare tacitare tutti, a destra come a sinistra, escluso forse il proprietario. E allora chi si impegna a distruggere l’intero mortifero sistema delle macchine, non potrebbe verosimilmente, molto più verosimilmente di governi corrotti e inquinatori, affermare di agire nell’interesse della salvezza dell’umanità e del mondo? Alla fine ciò che veramente dà fastidio del vandalo, non è la distruzione, sia essa di una Mercedes oppure di una Panda, ma il suo agire in perfetta autonomia, con l’unico mandato che gli proviene da sé stesso. Di non agire né con la giustificazione dell’interesse sociale, né con quella del diritto proprietario.

Se noi ci rendiamo conto della sostanziale identità di costruzione e distruzione, l’una e l’altra semplici punti di vista relativi a una trasformazione, comprendiamo facilmente che ciò che rifiutiamo come “distruttivo” non è più distruttivo di qualsiasi altro atto, ma è semplicemente una trasformazione percepita come abusiva perché non operata dal proprietario legittimo in base ai codici, e non condotta secondo le leggi e le usanze. La Uno dell’operaio su cui piangono tanti miserabili fessi, è distrutta dai Black Block, e questa appare un’insopportabile violenza. Diversa è l’idea che si avrebbe se la stessa vettura fosse portata a demolire grazie agli incentivi governativi alla rottamazione. In ambedue i casi un’auto funzionante viene distrutta, ma in un caso si tratta dell’arbitrio di quattro forsennati, nell’altro di un valido supporto all’industria automobilistica nazionale. Coloro i quali piangono sulle distruzioni dei vandali, non sopportano la mancanza di rispetto per le proprietà e per le norme

Del pari, la medesima lagna pauperistica che piange sull’ortolano saccheggiato conduce molti offuscati a plaudire all’incendio delle macchine, delle ville, dei palazzi, dei patetici avanzi di un tempo in cui il plusvalore estorto si materializzava in una realtà tuttavia ancora appetibile, per levarsi in difesa del pattume oggi riservato ai proletari, gli edifici in serie, le villette bifamiliari vista-inceneritore, le utilitarie che inquinano il panorama più ancora che l’atmosfera, tutto l’arredo infelice di un’esistenza da schiavi: non ci si rende conto, fra l’altro, che nulla suscita legittimo sospetto e inevitabile irrisione fra le fasce meno ricche di merci miserabili, di questa decerebrata ammirazione per la povertà e per i suoi disprezzabili riti. Da sempre e maggiormente dopo la distruzione di ogni socialità autonoma dal processo mercantile, i proletari aspirano all’abbondanza e ne godono sfrenatamente. Una cosa è sottolineare come l’abbondanza di merci rimanga insoddisfacente rispetto alla ricchezza di una vita libera; altra cosa è predicare le meraviglie dell’austerità, il fascino delle Uno e delle Panda, la virile povertà della tuta e della divisa.

Così come è rovinoso degradare la critica pratica dell’esistente a critica simbolica dei suoi eccessi, meno ancora si può concepire la distruzione come vendetta del povero nei confronti del meno povero, come risentita proclamazione di una democrazia della povertà del laido e del miserando, dove la Uno prende la propria rivincita sulla Mercedes, ma rimpiangendo nel fondo del cuore quella Trabant che ci avrebbe infine resi tutti felicemente uguali e socialisti.

Una macchina é una macchina: non puoi illuderti di risalire da essa alla vita di chi la possiede. Distruggere é anche un modo per separare la sorte degli umani da quella delle loro proprietà, che invece i codici e lo stato mirano a tenere riuniti, se non addirittura a identificare gli uni con le altre

si crea una penuria indotta e all'originale, si sostituisce la copia degradata, riprodotta in serie, premasticata. Questo é il motivo per cui la fruizione deve sempre di più rarefarsi in contemplazione: perché un unico prodotto, con un unico costo di produzione, possa soddisfare gli appetiti mercantili di un numero massimo di disgraziati. In realtà, si dovrebbe guardare coloro che bruciano negozi e merci con la medesima simpatia che abbiamo per coloro che bruciano le coltivazioni transgeniche, perché é tutta la merce ad essere una mutazione mostruosa e miseranda della realtà se la gente in piazza riesce a inventarsi solo qualche vetrina rotta e qualche macchina bruciata, la soluzione non consiste di impedirglielo in quel momento, ma nell'aver creato situazioni durature e non estemporanee di comunicazione/partecipazione/realizzazione. La guerra si vince in tempo di pace. Quando i sampietrini volano, é tardi: puoi solo ripararti accanto a un muro, o lanciarli a tua volta

Se un oggetto é incatenato e inafferrabile, pare comprensibile il moto che induce ad applicarvi il fuoco: tuttavia, io non solo non suggerisco di accettare acriticamente ma neppure criticamente la pratica di vandalismi simbolici dei BB, per molti versi ancora interna a una pratica politica che reputo tuttavia specialistica, militantistica, e orientata verso una sopravvalutazione degli strumenti mediatici. E molti dei compagni teppisti disorganizzati, che sono stati il motore primo e più radicale delle violenze genovesi, siano, a loro volta, eccessivamente attraversati da un cortocircuito emozionale che necessiterebbe di trovare un respiro più ampio e più sereno.

Semmai, una volta sgombrato il terreno dalle calunnie, che costringono - fra le altre conseguenze nefaste - a soprassedere a qualsiasi critica, in nome dell’indispensabile solidarietà, merita osservare che le distruzioni sostenute negli scritti di questi compagni, e praticate a Genova, hanno scelto di mantenersi ancora sul piano tradizionale della propaganda con i fatti, dell’azione simbolica intesa a scuotere le coscienze.

Mentre, forse, una parte del movimento reale di cui i BB sono stati parte a Genova, sta già oltrepassando una tale impostazione, nemmeno troppo dissimile da quella propugnata dalle Tute Bianche, avvicinandosi a rimodellare direttamente lo spazio e il tempo, a creare ambiti liberi per una sperimentazione non soltanto distruttiva.

E va detto che furono proprio questi sovversivi senza tamburi e senza bandiera, neppure la bandiera nera, i protagonisti di un episodio importante, anche se da tutti gli specialisti solidalmente abbandonato alla rimozione e all’oblio: l’assalto alle carceri. Un tale atto, infatti, va ben oltre il vandalismo immediato e oltre anche la distruzione simbolica per collocarsi sul terreno dell’affermazione di un altro mondo, un mondo senza galere. Oppure la devastazione operata nottetempo nelle scuole (comunque cento volte inferiore a quella realizzata nella scuola Pertini dai difensori dell’ordine), vere e proprie galere senza sbarre per bambini e giovinetti, che è essenziale d’ora in avanti mantenere nel mirino dei distruttori, nell’intento di inceppare quanto più possibile questa catena di montaggio di cittadini con l’uso dei minori come materia prima.

Io stesso scrivevo, nei giorni immediatamente successivi: “Ma tutto questo può essere detto e analizzato solo DOPO che saranno stati messi a tacere tutti i mentitori schifosi, i burocrati., i recuperatori, i mediatori (da Carta agli anarchici del coordinamento Lupo de Lupis, da Agnoletto a Casarini, da Rifondazione a Liberazione, al Manifesto, a Radio Popolare, e via scagazzando), che sperano di convertire in valuta pregiata le mazzate prese a Genova, pagando il prezzo di qualche anarchico arrestato e di un intero movimento nascente sputtanato. DOPO che questi filistei saranno stati dispersi e i loro nomi disonorevoli scritti sulle tavole dell'infamia e consegnati all'abbraccio mefitico della sinistra istituzionale, allora ci si potrà confrontare fra compagni e interrogare non soltanto se abbia davvero senso abbruciare e devastare, ma se abbia principalmente senso la manifestazione di piazza, tanto più nelle ricorrenze inventate dal nemico.

Ma lasciateci godere, per ora, questo carnevale dispettoso scatenato sotto i palazzi degli otto non-morti. “

sapevamo benissimo che ci sarebbero state violenze. Ci sono violenze ovunque, continuamente. E sempre di più ce ne saranno. Ciò che ha causato un mezzo disastro a Genova è stato il mix fra "dichiariamo guerra", "violeremo", etc. e lo stile
sindacale del corteo di sabato, con i pullmann e i gonfaloni dei municipi.
La rivoluzione costituisce sempre reato, come ebbe a dichiarare il Procuratore Generale presso la Cassazione, Pascalino: la pretesa di farla passare per un diritto crea solo tragedie e sconfitte.

obiettivamente, é vero che noi manifestanti eravamo fuori legge, sia nelle intenzioni (violare la zona rossa, che era il proposito di TUTTI, era illegale) sia nella pratica (quella di chi devastava, e quella di chi lasciava devastare): ora uno (ad esempio io) può considerare meraviglioso essere dei fuorilegge, altri (ad esempio molti di Lilliput, che si sono autocriticati parecchio per essersi fatti coinvolgere in una situazione profondamente illegale) lo può stimare terribile. Ma i
fatti sono là: a centinaia di migliaia ci siamo battuti contro la legge e
contro lo stato. Molti senza rendersene conto del tutto, nemmeno dopo,
credendo di essersi battuti contro una prepotenza illecita dello stato, non
comprendendo che é lo stato a stabilire ciò che é illecito e ciò che non lo
é (notare bene che la zona rossa era stata ideata dal governo precedente che
si era ampiamente illustrato a Napoli, a riprova del fatto che i governi
cambiano, ma lo stato é sempre quello che é). In questo senso le inchieste
giudiziarie falsificano ipocritamente il quadro trasmettendo l'idea che non
fosse lo stato ad opprimerci a Genova ma le sue forze deviate. Che
esisterebbe uno stato giusto ed equo, di cui lo stato reale sarebbe un’approssimazione imperfetta, esposta alle mille insufficienze umane. Che lo
stato, in fin dei conti, promani da Dio. E così la legge: per cui, per i
codici contingenti, saremmo noi fuorilegge e i poliziotti assassini i
difensori della legge; ma per la legge eterna, per la vera giustizia, Carlo
Giuliani, lanciando l'estintore, riaffermava e ricostituiva il diritto contro gli usurpatori. E perché questo? per la forza dei numeri: voi G8, noi sei miliardi.

La maggioranza diviene così simile a Dio, principio primo delle ragioni del mondo.

Di qui, come una condanna, ne segue che: male i poliziotti, servi degli usurpatori della maggioranza, ma soprattutto malissimo i vandali senza legge, coloro che hanno attaccato fin dal mattino del 20, senza attendere l'assalto della legge. Malissimo, perché loro, neri e reietti, sono la minoranza. I numeri li condannano.