lunedì 9 gennaio 2012

Sacrifici sempre più sinistri a sinistra



Commento a latere dell’articolo di Jacopo Fo sul Fatto del 9-1-12. Soffrire è di sinistra?

Il tormentone su destra e sinistra è ossessionante e il tema sembra onnipresente ma c'è un motivo: si tratta di avere un'identità almeno fittizia in un mondo che non si riesce più neppure a capire. In un mondo in cui si è ridotti a spettatori della propria vita, essere di sinistra è come una foto sul passaporto per passare le frontiere psicogeografiche di paesi inesistenti.
Marx diceva di non essere marxista ma molti di coloro che si sono pretesi suoi seguaci ed eredi rivendicano oggi addirittura l'elemosina vuota di senso di un'appartenenza alla sinistra quasi ne dipendessero i destini del mondo.
La sinistra è una definizione parlamentare borghese che risale alla rivoluzione francese ed è tutta interna a una visione del mondo in cui la democrazia (rappresentativa e dunque inevitabilmente gerarchica) è il modo più adatto per far funzionare il sistema. Un tale schema ideologico va bene per tutti coloro che pretendono di rappresentare il popolo anziché lottare affinché questi possa rappresentarsi da solo come soggettività e individualità sociale agente.
Anche i più ingenui hanno ormai imparato a loro spese che nessuno assomiglia di più a un rappresentante del popolo di destra che un rappresentante del popolo di sinistra.
A sinistra, all'estrema sinistra dello spettacolo, nel 68 c'erano, tra le altre scorie, gli zombi maoisti, pretonzoli sadici riciclatisi in seguito in massa nel liberalismo più bieco. Hanno continuato a servirsi del popolo che un tempo pretendevano di servire nelle loro giaculatorie mistico-meccaniciste.
Erano di sinistra i nuovi filosofi, ex maoisti che hanno tardivamente scoperto gli orrori dello stalinismo cambiando subitamente marciapiede senza cambiare mestiere?
La minoranza folta di quanti, allora, hanno osato criticare radicalmente il lavoro salariato anziché ridursi a chierichetti militanti di una nuova religione, ha osato prendere i suoi desideri per la realtà prima che la realtà del capitalismo sottraesse il lavoro ai questuanti che continuavano a rivendicarlo masochisticamente.
Tramite la saggia provocazione situazionista del "Non lavorate mai" si è posta la questione sociale là dove la sinistra, coacervo ideologico confuso manipolato da burocrati ed estremisti, aveva il compito di nasconderla.
La rivolta radicale che è stata al cuore dello spirito concreto del maggio 68 si è espressa allora con il movimento delle occupazioni. Le stesse che, nel contesto cambiato, riaffiorano oggi sul pianeta, facendo paura a destre e sinistre che voglono salvare il sistema dalla crisi.
Questa mitica crisi è di destra e di sinistra perché, anziché cogliere la rivoluzione epocale che sta alla fine di una civiltà, sono tutti d'accordo a ripristinare lo sfruttamento economicista di un lavoro che sta scomparendo da solo dal quotidiano di molti proletari. La civiltà del lavoro, appunto, è in via di lenta ma costante disparizione, ma ciò non provoca la festa proletaria che potrebbe essere.
Il ricatto alla povertà cresce contro natura dal momento che non è la ricchezza che manca ma la sua distribuzione organizzata con criteri umani, così come le attività necessarie a produrre benessere devono tornare indipendenti dal processo produttivo al servizio della valorizzazione economica.
Privatizzare o nazionalizzare saranno sempre due truffe speculari contro la sovranità del popolo finché una democrazia consigliare non garantirà il possesso reale dei beni comuni e dei mezzi di produzione.
Il valore d'uso non è il valore di scambio, ma chi se lo ricorda ancora quando si è ossessionati dalla crescita del PIL e dal salvataggio delle banche?
L'economia è malata? Nessun accanimento terapeutico, lasciamola crepare in pace e riappropriamoci della vita!

Solo degli schiavi o dei kapò possono confondere la critica del lavoro con la critica del fare, del creare, del giocare che è al centro della vita umana. Quel che già il maggio 68 e ancora di più oggi i disoccupati sfuggiti alla trappola dell'elemosina sindacalista rivendicano, è una vita e una società all'altezza dei loro sogni.
Destra e sinistra sono categorie dell'incubo capitalista che si oppone alla nascita di una nuova civiltà al cuore dell'umanità dell'uomo. Un tale rovesciamento di prospettiva urge e spinge ormai da mezzo secolo, soffocato, distorto e criminalizzato dalle orde di servitori volontari che la cultura dominante educa all'umiliazione e alla noia e se non basta, pure alla fame, ultima ratio per fare di ogni pecora il proprio cane.

Peccato continuare a ripetersi, ma per poter smettere bisogna che prima si cominci a cambiare.

Sergio Ghirardi