mercoledì 22 agosto 2012

COSTRUZIONE DI INCONTRI PER MEZZO DI RETI, COSTRUZIONE DI RETI PER MEZZO DI INCONTRI.









"Agire in assemblea quando si è insieme, agire in rete quando si è lontani" (indicazione programmatica del Congresso Nazionale Indigeno, Messico)


1. La Seconda Dichiarazione della Realidad (3 agosto 1996) aveva delineato quattro grandi obiettivi: una consulta mondiale sui temi del Primo Incontro, un nuovo Intergalattico, una rete di comunicazione intercontinentale e una rete di resistenze, di lotte e di azioni contro il neoliberismo.


A differenza di incontri e consultazioni, l'organizzazione in forma di rete non è uno specifico strumento zapatista, ma è il naturale sviluppo di un modello sociale praticato nei secoli dagli uomini liberi di tutti i continenti e dai rivoluzionari di tutti i tempi: la democrazia diretta.

Questa si articola storicamente in una trama di assemblee sovrane cui si partecipa con pari diritti e attraverso le quali ogni comunità si esprime, delibera e si fa carico delle decisioni prese collettivamente. Le differenti comunità si collegano fra loro tramite delegati dal mandato rigorosamente revocabile, lasciando in ogni caso integra l'autonomia decisionale delle assemblee.

A partire da ciò, la rete tesse le relazioni materiali dei singoli e dei gruppi in un ordito di interessi particolari che si intreccia ma non si sovrappone ai percorsi collettivi della comunità, fondati sul piacere gratuito della libertà.

2. Anche se non la chiamano così, gli indigeni americani praticano da sempre la democrazia diretta. Nelle loro comunità, l'autorità suprema è l'assemblea e i funzionari eletti "mandan obedeciendo" (comandano obbedendo), in altre parole agiscono praticando unicamente la lettera e lo spirito del mandato ricevuto. Sia lo svolgimento delle assemblee sia l'esercizio delle autorità è temperato secondo varie modalità da un consiglio di saggi ed anziani chiamati "principali".

Arma di resistenza affinata e perfezionata nei secoli, la particolare versione di democrazia diretta praticata dai maya del Chiapas si fonda sul consenso. Questo si presenta contemporaneamente come il meccanismo che permette alla comunità di funzionare, come termometro che ne misura la vitalità e come la meta da conseguire.

In tal modo, la comunità maya ha continuato a ridefinirsi nel tempo qualificando storicamente quel "noi" che agli occhi degli indigeni costituisce la vera libertà. Per loro, le decisioni importanti, la pace o la guerra, non dipendono dalla maggioranza, ma dalla totalità dei membri della comunità che non delibera fino a quando non riesce a trovare l'accordo.

Ugualmente, le comunità in lotta organizzate nell'EZLN mantengono relazioni continue mediante un sistema di delegati revocabili ed anche il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale, (CCRI-CG) che è pur sempre una struttura militare (e quindi gerarchica), ad esse rende costantemente conto attraverso consultazioni ed altri dispositivi di controllo dal basso.

3. Questa democrazia del consenso che abbiamo scoperto nelle montagne del Sudest messicano è inevitabilmente legata a comunità rurali di piccole dimensioni in cui tutti gli abitanti si conoscono personalmente.

Noi che viviamo nelle viscere del mostro dobbiamo inventare altre vie e gli zapatisti sono i primi a spiegarci come il loro modello non sia esportabile. Possiamo però lottare per conservare il controllo collettivo sull'autorità, un principio difeso anche dalle correnti antiautoritarie d'Occidente che hanno sempre criticato la democrazia rappresentativa. Ricordiamo le parole dell'Enragé John Oswald (1793): "la rappresentazione è il velo specioso sotto cui si nasconde ogni dispotismo e ed ogni manipolazione politica".

Oggi sappiamo che i movimenti e le organizzazioni che negli ultimi due secoli si sono proposti di dirigere, suscitare o anche solo di accompagnare un cambiamento radicale sono tutti falliti.

Ed è sulla scia di tante rivoluzioni sconfitte, di tanti sogni diventati incubi che si levano oggi le rovine prodotte dal neoliberismo, l'ultima metamorfosi del mostro. A nord come a sud, a est e ad ovest, gli esseri umani non vivono più, sopravvivono nel regno dell'economia.

Uno degli effetti paradossali di questa situazione è precisamente quello di produrre inedite simultaneità e convergenze, permettendoci di recepire in maniera radicalmente nuova esperienze altrimenti remote: precisamente così il Chiapas ha potuto convertirsi in uno specchio del mondo, proponendo a noi tutti l'esigenza e la possibilità di ricominciare da capo.


4. È nel proposito di coniugare la libertà collettiva espressa nel Discorso della Selva (definizione che dobbiamo a Pablo González Casanova) con una prospettiva di liberazione individuale, che la nostra avventura si fa appassionante.

La Seconda Dichiarazione della Realidad individua nella rete (anzi nelle reti) lo strumento coerente per la costruzione del mondo dove si incontrano molti mondi. La rottura con il passato è evidente anche nei risultati dei tavoli di lavoro: nella nuova concezione il fine non giustifica più i mezzi ma, al contrario, "i mezzi determinano e condizionano i fini" (Tavolo 1: "Che politica abbiamo. Di che politica abbiamo bisogno". La Realidad, Chiapas, 1996). Il percorso invece diventa un momento centrale e qualificante: per costruire la rete di mondi impieghiamo la rete stessa.

In tal modo ci lasciamo alle spalle i fondamenti della vecchia pratica politica: l'ossessione totalitaria, il concetto di programma come modello astratto e, per conseguenza, anche quelli complementari di tattica e strategia. Si svuota anche la nozione di partito e, del pari, i sistemi di pensiero - un tempo si chiamavano ideologie - mirati a conformare l'esistente secondo direttive preconfezionate. E cominciamo ad usare il cuore oltre alla testa.


Il medesimo concetto di "lotta" si va spostando da un antagonismo negativo necessariamente condizionato dai ritmi della sopravvivenza alla costruzione quotidiana di una vita nuova - o, per meglio dire, di una nuova civiltà.

5. La dinamica tradizionale scinde artificiosamente il momento della "produzione" del programma, riservato ad intellettuali specialisti da quello della sua "circolazione", demandato a militanti malinconici e annoiati. Ed entrambi i momenti sono separati dalla "realizzazione", proiettata verso un futuro vago ed incerto.

Come la intendiamo noi, la rete diviene invece il punto di partenza di un nuovo movimento di autoliberazione umana, il motore di tale processo e il suo esito ultimo: il regno della pluralità e della libertà, il mondo che contiene molti mondi. Nella rete il futuro mette radici direttamente nel presente.

Mettendo in relazione comunità libere che si esprimono attraverso assemblee sovrane rese ricche da un arcobaleno di scambi e di nomadismi, la rete si colloca così alla fine della storia costruita sopra la testa degli esseri umani e, al tempo stesso, al principio della storia coscientemente vissuta. Il tutto, nell'ambito di un progetto comune, che individua i capisaldi dell'agire individuale e quelli dell'agire pubblico.

Con queste armi è forse possibile sfidare il pensiero unico, ricondurre le decisioni all'unico livello controllabile, quello locale, e da lì lanciare le nostre reti al mare misterioso delle risonanze e degli echi.

E rimettere all'ordine del giorno il nobile proposito del vecchio movimento operaio: l'internazionale sarà il genere umano.

6. Gli ostacoli a un tale disegno sono qui da noi riassumibili nella quasi totale polverizzazione delle comunità che dovrebbero essere il sangue di questo corpo e la conseguente difficoltà per gli individui del nostro tempo di pensare la propria liberazione in maniera collettiva.

Non solo. Oggi, i dispositivi di dominio moltiplicano e disseminano all'infinito il potere centrale, nutrono l'identificazione dei dominati con i dominanti e incrementano gli assi di conflitto in modo da rendere arduo coglierne il senso globale.

Rompere il circolo vizioso non è facile. E nemmeno lo è parlare fuori dagli schemi preconfezionati, parlare di noi, delle nostre speranze e di come realizzarle insieme ad altri: il neoliberismo, oltre alle imprese privatizza le nostre vite.

Una rete di comunità, senza comunità, ecco la condizione reale che ci si prospetta alla vigilia del nuovo millennio. La sensazione è di essere sulla strada giusta ma di avere nel tragitto esaurito le forze.

In quale maniera dissipare il velo di mediazioni, di inganni che la società ha interposto fra ciascuno di noi e la sua vita? In quale maniera riproporre nella prassi corrente quella che il situazionista Raoul Vaneigem chiamava "la triade unitaria: partecipazione, realizzazione, comunicazione"? In quale maniera nella geografia desolata delle metropoli gettare le basi di vere assemblee sovrane, a partire di comunità non di interessi né di idee, ma di soggetti autonomi e di vite vissute?


7. Se non può certo ambire a sciogliere miracolosamente questi nodi, la rete può invece fornire l'attrezzatura tecnica, la strumentazione necessaria per mettere in moto quel rovesciamento di prospettiva che restituisca agli esseri umani la capacità di resistere e di lottare, di creare nelle infinite situazioni concrete i molti modi di praticare collettivamente la parola libera e i suoi oneri.

Lo possiamo fare legandoci ad altre reti attraverso campagne internazionali di sostegno a cause comuni come la cittadinanza globale, o il diritto a muoversi liberamente oltre le frontiere; oppure con azioni di boicottaggio a imprese che non rispettano i diritti umani, a stati militaristi, ecc..

La pratica degli Incontri Intercontinentali amplifica questo genere di azioni e ripercorre, per così dire a ritroso, il cammino che nel disegno originale dovrebbe portare dalle comunità locali alla rete.

È lampante che un tale impianto presupponga un certo quid di volontarismo.

E d'altronde, possiamo forse costruire altrimenti una coscienza dell'agire comunitario laddove della comunità si è perduta oramai la memoria stessa? In una società insostenibile e in un mondo ingovernabile, non ci resta altro che assediare l'utopia.

L'esperienza di questi due anni con la creazione sia pur tra mille difficoltà e per il momento con una forte connotazione minoritaria, di una trama di rapporti e relazioni che vanno nella direzione sopra delineata, autorizza tuttavia un minimo di ragionato ottimismo. A partire da ciò possiamo inventare un linguaggio ed una pratica che - come hanno saputo fare i neozapatisti in Messico - riunisca i motivi delle rivoluzioni passate con quelli delle rivoluzioni a venire. I motivi dei popoli oppressi e quelli dei proletari delle metropoli industriali.

8. Al tempo stesso crediamo necessario sgombrare il campo da alcune interpretazioni sfortunate che possono ricondurre in tempi brevi il poco che è stato fatto fin qui nelle sabbie mobili del vecchio mondo.

La rete che stiamo costruendo non va considerata come un fronte popolare, tantomeno come un "in mancanza di meglio" di quest'epoca disgraziata, segnata dalla morte di tante illusioni. Allo stesso modo, il metodo includente che tutti difendiamo non può e non deve essere quello in cui tutte le ideologie sono ammesse, ma quello in cui donne e uomini rimettono in discussione la propria vita, e in cui perciò nessuna ideologia in quanto sistema di pensiero chiuso e sclerotizzato ha più senso.

Attraverso la rete possiamo provare a costruire insieme una fase della nostra esistenza, sperimentare un nuovo modo di vivere il mondo e di trasformarlo.

La rete non è l'organizzazione debole adatta a un'epoca di pensiero debole ma piuttosto lo strumento libero di un'epoca che deve riscoprire la libertà. La traduzione nei fatti delle parole contenute nella Prima Dichiarazione de La Realidad: "Non è necessario conquistare il mondo. Basta rifarlo. Noi, oggi".

9. Proprio perché è essenziale dare spazio a ogni modalità di autoliberazione umana, occorre che la rete si collochi al di fuori delle istituzioni e dei poteri costituiti, destinati per loro stessa natura a imporre interessi particolari. Possiamo invece pensare a forme di auto-organizzazione difensiva come il mutualismo o altre esperienze di solidarietà che ci arrivano dagli albori del movimento operaio.

Giacché sono sempre stati gli amministratori delle nostre sconfitte, risulta impossibile pensare che partiti e sindacati partecipino alla rete. 
 
È invece vitale che ciascun individuo abbia la possibilità di rimettersi in gioco indipendentemente da affiliazioni ideologiche.

Solo così crediamo possibile inventare una prassi veramente includente senza dimenticare che non è possibile combattere l'alienazione sotto forme alienate.

Va inoltre chiarito che mentre non esistano assemblee locali dotate di una personalità reale, il mandato a presenziare e decidere ciascuno di noi lo può ricevere solo da sé stesso e dall'odio che il vecchio mondo ha sempre portato a noi, alle nostre idee, ai nostri sogni, alla nostra vita.

È quindi fondamentale dare corpo, fin da subito, al livello decisionale locale, e vigilare perché eventuali coordinamenti agiscano senza arrogarsi poteri di natura decisionale, ma con l'unico fine di imprimere la massima energia e diffusione all'azione delle realtà territoriali.

Non ultimo vantaggio del porre rigorosamente il luogo della decisione a livello locale, è di rendere materialmente impossibile ideare e tanto più realizzare imprese di dimensioni smisurate, dalle piramidi alle centrali nucleari. 
 
Nel corso di questo secolo, la sinistra ha coltivato l'ossessione di sostituire al capitalismo un sistema (socialista, comunista) altrettanto globale; oggi, se non è automatico che piccolo è bello, è ormai indiscutibile che grande è mostruoso e antiumano.

10. Il progressivo, allegro contagio di altre realtà territoriali attraverso gli incontri, il libero intreccio delle conoscenze personali, l'emulazione appassionata del gioco e il fervido incanto del pensiero, sembra l'unica via legittima perché la portata della rete si allarghi senza dare vita a nuovi soviet supremi e a burocrazie oppressive.

Le assemblee locali costituite in Comitati che potrebbero chiamarsi per l'Umanità e contro il Neoliberismo, sono i nodi che si collegano fra di loro nella rete delle reti che ci proponiamo di tendere sul mondo.

Una rete che si serva anche della comunicazione telematica ma, lungi dall'essere virtuale, abbia volti e nomi, e sangue e sogni. 
 
Una rete che sappia dare contenuto alla necessità di riappropriazione della politica che si leva da ogni parte del mondo.

Una rete invisibile la cui visibilità cresca di pari passo con la coscienza dei suoi partecipanti, donne e uomini che decidono di unirsi per riuscire ad essere differenti.

Una rete che metta in comunicazione speranze e passioni del mondo gettando le basi della più grande festa del Ventunesimo Secolo.

Una rete che, andando oltre la democrazia rappresentativa, riprenda quel filo rosso della democrazia diretta che collega nello spazio e nel tempo l'agora ateniese alla Comune di Parigi, gli operai di Canton alla Catalogna delle collettività autogestite, Budapest in armi contro le burocrazie alle comunità zapatiste del Messico.

Tutto questo non per una purezza metodologica ma per coerenza con i passaggi indispensabili perché, donne e uomini costruiscano insieme i propri mondi senza mediazioni, si chiamino esse neoliberismo, socialdemocrazia, socialismo reale, o quant'altro il potere separato ha ideato per dividerci e dominarci.

 
Claudio Albertani, Paolo Ranieri.

Giugno 1997