sabato 15 settembre 2012

LIBERTÀ E INFLUENZA PORCINA



Casaleggio, gli influencer e il nuovo potere


Come prendiamo le nostre decisioni? Davvero sono potenti gli influencer di cui tanto parla Casaleggio
Herbert Alexander Simon è stato un illustre economista, psicologo e informatico che ha contraddetto la visione della razionalità di tipo neoclassico, che nel momento decisionale considera soltanto i vincoli esterni all’azione umana cioè quei vincoli di risorse e d’informazione disponibili per il soggetto.
Simon nella sua teoria decisionale comprende anche gli aspetti psicologici del processo decisionale. La sua teoria della razionalità considera anche i vincoli interni all’individuo: 
Gli esseri umani possiedono una razionalità limitata a causa della loro
- stupidity (limitate capacità di calcolo)
- ignorance (impossibilità di conoscere tutte le alternative possibili)
- passion (emozioni).  
Teniamo bene  a mente questi limiti quando qualcuno afferma di non essere influenzabile: ognuno di noi è condizionato dai propri limiti cognitivi ed emotivi quanto dalla complessità dell’ambiente in cui si trova a operare. 
Come agisce un leader influencer con un grosso potere comunicativo? Ovviamente gioca su questi handicap cognitivi propri di ognuno : 
1) limiti attenzionali e di memoria : non riusciamo a seguire nel contempo più eventi e non possiamo riflettere consapevolmente che su un numero limitato di informazioni.  Il leader lo sa e manipola le informazioni per renderle ridondanti. 
2) limiti nella coerenza delle conoscenze: è impossibile confrontare tutte le nostre credenze in modo da poterle rendere coerenti. Il leader ripete all’infinito gli stessi concetti rendendoli coerenti al posto nostro.
Se la mente umana difficilmente riesce a considerare più di 6 o 7 variabili alla volta è evidente che non siamo esseri completamente razionali e che sia comodo per la nostra psiche che qualcuno scelga per noi, anche se non ce ne rendiamo conto. Grazie alle neuroscienze sappiamo che per il nostro cervello: 
1) le decisioni diventano problematiche se si hanno troppe informazioni (Per questo un esperto di comunicazione politica ripete sempre lo stesso concetto di base declinandolo in forme diverse)
2) se le informazioni sono troppe prendiamo decisioni peggiori e comunque insoddisfacenti (Per questo spesso la migliore strategia è semplificare, dare soluzioni semplici a problemi complessi con naturalezza, che poi siano soluzioni infattibili gli elettori lo scopriranno troppo tardi) 
3) la vigilanza e l’attenzione calano con il numero di elementi da considerare (Più che dare informazioni e scendere nella complessità, meglio che il leader parli in modo semplicistico, infarcendo il tutto di battute o invettive)
4) le prestazioni peggiorano se le informazioni ci arrivano ravvicinate nel tempo, pesano maggiormente le ultime informazioni arrivate (Per questo è strategico dosare le interviste e le apparizioni in pubblico e i confronti diretti) 
5) alcune delle decisioni migliori sono emotive o inconsce (per questo il leader deve incarnare l’uomo comune e la sua immagine deve permettere all’elettore un’identificazione) 
Cosa succede se applichiamo tutto questo al web e alla propaganda politica? Siamo convinti che avere questo potere nel web sia poi così diverso da chi ne ha possedendo delle televisioni?

Commento di Sergio Ghirardi, mai inviato al Fatto perché infestato da moderatori e faux culs:

In tempi prespettacolari e non ancora modernamente capitalistici, quel fine pensatore che fu Giordano Bruno scrisse sulla comunicazione tra gli esseri umani un opuscoletto in latino assai poco noto, intitolato: “De vinculis in genere”.
Oltre che alla comunità virtuale di barravento, ne proporrei volentieri le conclusioni e gli spunti anche alla simpatica Collevecchio, se l’ostracismo ormai reciproco tra me e i blog del FQ non rendesse la cosa impraticabile.

Bruno prendeva nota del fatto che ogni comunicazione è, inevitabilmente, a un qualche grado, manipolazione e che la capacità di manipolare l’altro è intrinsecamente connessa con la comunicazione. Il filosofo nolano che l’inquisizione avrebbe di lì a poco bruciato sul rogo dopo avergli anche strappato la lingua (metodo radicale ma leggermente autoritario per esorcizzare ogni timore di diabolica influenza), diceva, tra l’altro che solo l’autocoscienza del manipolatore giunto a un altissimo livello della sua capacità manipolatoria poteva intervenire per interrompere dall’interno del processo la manipolazione stessa, con un atto volontario legato al rifiuto spontaneo e gaudente della noia umiliante insita in una comunicazione tra soggetti manipolati.
Tali ipotetici soggetti volontari dell’auto abolizione sarebbero i soli veri inflencer di mio gusto.
Attendendo con impazienza e curiosità di registrarne l’esistenza, ne estrapolo che il formarsi di un’affettività nuova nell’ambito dell’intelligenza sensibile di ognuno è la vera risposta al problema delle influenze subite. La potenza dell’amore racchiude nel suo cuore orgastico l’alternativa godibile al potere che l’odio nutre e l’impotenza secerne.
Una tale coscienza pratica ha, però, tutte le difficoltà del mondo a emergere in un contesto di competitività esacerbata, di vincitori e vinti educati fin da piccoli al mors tua vita mea della società produttivistica.
In una società in cui non si produce per godere ma si viene programmati per godere di produrre valore economico, la manipolazione è un elemento insostituibile dello sfruttamento dell’essere umano da parte dei generi/caste/classi dominanti che si arricchiscono di privilegi sempre più noiosi e invivibili. Se poi si aggiunge a questo meccanismo collettivo perverso e diffuso il narcisismo che spinge ogni individuo a un qualche grado di auto valorizzazione, scandalizzarsi del fatto che chi ci parla, ci scrive o ci chatta ci manipoli, diventa semplicemente ridicolo.
Mi pare ci sia, però, un’altra ragione e un’altra possibilità per sottrarsi alla manipolazione.
La volontà di vivere liberi da parte di soggetti giunti alla coscienza di una possibile società di autogestione generalizzata della vita quotidiana al fine di un godimento pieno del piacere di vivere, tende, infatti, a rendere inaccettabile il progetto monomaniaco della società dominante : perdere la propria vita a guadagnarsi una sopravvivenza che non è neppure più garantita.
Da quasi mezzo secolo, una nuova coscienza è emersa a impedirci di accettare una società che dopo aver eliminato il rischio di morire di fame al prezzo della certezza di morire di noia, è tornata a riproporre svergognatamente la morte per fame senza eliminare affatto la noia rimasta a garantire la sua morbosa compagnia.
Nessuna società prima di questa aveva mai educato a una tale intima, umiliante sottomissione senza fine, nessuna, dunque, aveva mai fatto emergere tanto prepotentemente il bisogno di liberarsene.
Non c’è nessuna garanzia di riuscirci, ma c’è una voglia sempre più diffusa di provarci. Essa riguarda una minoranza, certo, e forse addirittura un’infima minoranza di fronte all’armada di tragici idioti educati da secoli a soffrire e a chiamare riuscita la loro disgrazia.
Eppure, qualche novità interessante emerge oltre le nebbie dello spettacolo : degli individui insorgono nella vita quotidiana, spingono la politica a ribellarsi alla teologia economicista e rioccupano il territorio della vita preannunciando pacificamente un terremoto possibile. Mai il potere si era mostrato tanto miserabile, vigliacco, falso, cinico e inconcludente. Quando si vede in che cosa consiste oggi la riuscita degli uomini di potere, viene davvero voglia di fallire. Fallire per godersi il calore umano della fratellanza. Fallire per condividere la solidarietà tra eguali. Fallire per fare un elogio pratico delle differenze la cui pratica è condivisione di libertà.
Ecco, gli influencer non possono che esistere e prosperare in un mondo finito che sogna di crescere all’infinito. Non possono che accompagnare con la loro follia lucida, la follia confusa delle masse di schiavi che, credendosi liberi quanto i loro influencer di predilezione, aggravano i sintomi della malattia planetaria con il rischio di renderla incurabile.
Questa malattia moderna ha un nome antico: alienazione. Sono però proprio questi schiavi moderni, manipolati e oppressi, che possono guarire l’umanità dalla pandemia d’influenza porcina che impazza e il cui sintomo inequivocabile è che ci sono pochi maiali molto più uguali degli altri.
Il giorno in cui i dannati della terra si ricorderanno di essere umani, non ci sarà più influenza o potere, né nuovo né vecchio, che tenga.