mercoledì 12 dicembre 2012

QUALCHE ELEMENTO APPLICABILE DI PSICOGEOGRAFIA







 Un primo contatto tra la volontà passionale del soggetto e l'oggettività dell’ambiente naturale in cui l'Io s’inventa e si esprime, ha avuto una manifestazione spontanea, come per gioco, quando alcuni spiriti liberi si sono divertiti a definire la psicogeografia, più di mezzo secolo fa.
La psicogeografia è intrinseca alla sensibilità umana. I suoi primi segni sono già reperibili nella preistoria, dai graffiti di Lascaux a quelli di Bomarzo nel nord dell’Italia. 
Grotta di Lascaux
 Quest’arte spontanea si esprime innanzitutto per analogia e approssimazione. Essa guarda sempre ai desideri nascenti come le prime mappe geografiche descrivevano sommariamente i territori appena esplorati, lasciando ampi spazi alla fantasia per quelle che erano denominate “terrae incognitae”. 

Sono stati gli esploratori dell’Internazionale lettrista i primi a usarne il nome e a farne un metodo di ricerca. Formulando le idee per un nuovo urbanismo, Gilles Ivain (Ivan Chtcheglov) si è trovato e si è perso psocogeograficamente, mentre Rumney merita di essere ricordato come l’inventore dell’effimero Comitato psicogeografico di Londra che nel 1957 ha partecipato alla fondazione dell’Internazionale Situazionista.
Non è privo di senso, del resto, che molte intuizioni e scoperte avvengano spesso per gioco o per caso. “La deriva (di atto in atto, con i suoi gesti, la sua passeggiata, i suoi incontri) stava esattamente alla totalità come la psicanalisi (quella buona) sta al linguaggio[1].
La pressione dei desideri lasciati in sospeso opera inconsciamente per la loro soddisfazione finché - con un bombardamento di doveri e di bisogni indotti che riducono la società a spettacolo e gli individui a spettatori di una vita assente - l’addomesticamento non arriva a canalizzare la pulsione zampillante dal corpo come la lava di un vulcano.
Ormai, per divertirsi a vivere in quest’epoca di per sé assai poco divertente, urge che si ridisegni la mappa del mondo della felicità che ci sfugge tra le dita prima di morire tutti di sete a un passo dalla sorgente delle chiare, fresche e dolci acque della gioia di vivere. 
 
Di fronte alla catastrofe che avanza, diventa pressante che una cartografia della libertà sia riscoperta e utilizzata per spingere la coscienza pratica a riappropriarsi materialmente, qui e ora, della complessità semplice delle sensazioni e della sensibilità. Un'intelligenza separata dai sentimenti, inquinata dalla confusione e terrorizzata dall'irrazionale è un’intelligenza da idioti dementi.
Poco varrebbe rifarsi ora alla lucidità e alla creatività passata se non per riconoscerla e riappropriarsene concretamente in nome della volontà di godere della vita. Evitare di essere succubi del principio di precauzione non impedisce di vigilare perché esso sia messo saggiamente al servizio della volontà di vivere.
Del passato facciamo dunque tesoro, evitando di ricadere nelle trappole che ci hanno finora perduto nel labirinto dell’alienazione. Non c'è un solo ambito in cui il parossismo dell'esplorazione, spinto dalla carenza della coscienza di sé e dalla nevrosi narcisista, non si sia tradotto in un recupero consumistico e troppo spesso, a fortiori, nichilista.
Gli individui alienati non hanno saputo trasformare i primi sintomi concreti di una rivoluzione in fieri - l’uso strategico crescente e modulato dell'eccesso, dell’energia costruttiva e distruttiva e del rifiuto di ubbidire agli ordini di una coscienza alienata - in un’azione al servizio di un’armonia superiore. Soltanto una sobrietà ebbra di libertà e una lucidità autonoma da ogni morale eteronima, possono realizzare il rovesciamento di prospettiva richiesto dalla sensibilità psicogeografica di uomini liberi. 


La psicogeografia che introduce questa nuova sensibilità nell’esplorazione del possibile è prima di tutto lo studio che l'intelligenza sensibile fa degli effetti precisi dell'ambiente geografico (sia esso naturale o, come oggi totalmente reificato dal dominio della merce) sul comportamento affettivo degli individui e di conseguenza sul loro comportamento sociale.
Questa «scienza» che, in effetti, è una coscienza ludica, ha l'obiettivo di affinare la qualità di godimento del piacere soggettivo della vita. Il suo disinteresse per ogni valorizzazione economica la rende intrinsecamente rivoluzionaria in un’epoca in cui, abolito il divertimento per trasformarlo in lavoro, non si può più concepire nessun gioco gratuito senza entrare in crisi. Questa del resto è l’essenza della “crisi” economica con cui siamo condizionati, di cui tutti parlano e nessuno capisce niente perché non c’è niente da capire.

Alice guarda i gatti e in un mondo dove nulla è lasciato al caso e tutto è sottoposto a condizionamento, il primo segno concreto di rivolta passa per la creazione di spazi psicogeografici dove il condizionamento tenda a zero. Non si tratta di condizionare con una nuova coscienza rivoluzionaria le mandrie di lavoratori-consumatori ma di liberare degli spazi di autonomia nel loro pensare programmato.
Si tratta di favorire la diserzione dall’esercito di cittadini spettatori arruolati di forza. Un tale progetto risulta in totale opposizione con l’atteggiamento militante che continua a sforzarsi di condizionare verso la rivolta la coscienza coatta delle masse.


I milit(ant)i ignoti dispersi nel deserto delle ideologie sono i soggetti crudelmente lobotomizzati di una storia confiscata dallo spettacolo sociale. Opposti specularmente ai servitori volontari, questi oppositori per dovere sono anch’essi cittadini infelici di un mondo spettacolare. Sono esseri indeterminati, virtuali, la cui realtà è naufragata di credenza in fede, di delusione meccanicista in disillusione mistica. Essi costituiscono le opposizioni fittizie che si riuniscono periodicamente per dei cambiamenti pensati apposta perché nulla cambi. Finiscono per sottoscrivere di volta in volta a un nuovo triste partito, a una sinistra più a sinistra della precedente che aspira a un nuovo ordine mondiale dal volto più umano di quello precedente. Non si accorgono che il volto umano di ogni potere non può che produrre inevitabilmente dei cuori di pietra e dei corpi insoddisfatti e frustrati.
Nello spettacolo, la speranza è sempre l’ultima a morire poiché essa rappresenta la versione impotente, nostalgica di una volontà di vivere confiscata.
Alternativamente risucchiati dalle liturgie più riformiste o estreme, attratti come falene dal consumismo delle cose o delle idee, i milit(ant)i ignari non riescono a mettere le loro sensibilità intelligenti al servizio di un progetto coerente di rivoluzione sociale vissuta. Finiscono, dunque, per consegnarsi puntualmente al narcisismo redditizio di qualche orribile guru intento a valorizzarsi contando sulla ciclica credulità delle masse.
Soltanto una teoria pratica che si avvicini alla questione sociale con una sensibilità attenta ai meccanismi caratteriali del potere può aiutarci a uscire dalla dipendenza. Finché ciò non avverrà la logica binaria e il manicheismo moralizzatore continueranno a opprimere i soggetti più fragili, vale a dire la maggior parte degli esseri umani, dai più cupidi reazionari ai milit(ant)i rivoluzionari più devoti.
 
In realtà nessun futuro davvero umano è possibile, senza la riappropriazione materiale e soggettiva dell'unico presente collettivo esistente, senza la sua modificazione cosciente messa in atto da quanti non si rassegnano all'assoluto nichilismo della società produttivistica.
Un sindacalismo rivoluzionario radicalmente rinnovato urge nella fabbrica globale produttrice di valore economico che è diventata la vita quotidiana. La miseria vergognosa del sindacalismo clientelare, ridotto a collaborare con l’economicismo totalitario di cui è diventato una «parte sociale» riconosciuta, va definitivamente superata.
L’umanità residua non potrà sopportare la beffa finale di un ecumenico consenso miserabilmente rivendicativo che renderebbe definitivamente impossibile la lotta per un mondo umano ancora tutto da inventare, il nostro.

Sergio Ghirardi


[1]   Ivan Chtcheglov, Lettere da lontano, Internazionale situazionista n°9, pag 41, Nautilus 1994.