venerdì 1 marzo 2013

IL LABORATORIO ITALIA DIRÀ ADDIO AL PRINCIPE IN NOME DELL’AUTOGESTIONE GENERALIZZATA?





Mentre i tifosi si scannano a colpi di tastiera e gli ultimi patetici capi esercitano una supremazia sempre più ridicola, la breccia finalmente positivamente aperta nella liturgia repressiva del parlamentarismo invita a mettere a fuoco i passi da fare.
Il movimento spontaneo d’emancipazione canalizzatosi in buona parte nel M5s, spinto ancora confusamente dalla sua anarchica deriva di libertà verso il cambiamento, ha come obiettivo minimo e insostituibile la creazione di un governo di democrazia reale.
Così come i vari Occupy tentano di riprendersi il mondo altrove, anche gli italiani, sopravvissuti a una guerra economica dichiarata senza il loro consenso, si stanno occupando, con corpi strappati alla disperazione e volontà di vivere, a riprendersi gli spazi vitali confiscati dalla società dello spettacolo produttivistica.
Tutto resta assolutamente in bilico, incerto, come un corpo su un precipizio che vede oltre il guado un mondo nuovo apparire; tuttavia, contro l’inondazione dell’alienazione capitalistica, uno tsunami inarrestabile si propone finalmente un superamento epocale come ultima spes e prima ricostruzione del senso della vita.
Alla fine dei privilegi sociali contro i quali si erano sollevati il popolo e la borghesia rivoluzionaria del diciottesimo secolo, si è sostituita oggi l’abrogazione necessaria dei privilegi di casta dei servitori volontari della società  spettacolare-mercantile. Alla dissoluzione dell’Ancien Régime autocratico avvenuta due secoli fa, si è sostituita oggi la dissoluzione del parlamentarismo burocratico in nome di un’autogestione generalizzata della vita quotidiana.
Per andare concretamente in questo senso, però, bisogna costruire la struttura capace di restituire agli individui la loro capacità autonoma di organizzare la vita sociale e solo una drastica rilocalizzazione della politica renderà ciò possibile.
Lo Stato è la trappola secolare in cui il potere ha costituito il suo impero miltinazionale globalizzato. Altro che Stato con le palle, qui si tratta di ritornare al Comune e alle assemblee comunali in cui i cittadini reali decidano finalmente dei problemi reali per collegare le strutture delle comunità locali con la rete planetaria di un’umanità finalmente fraterna e solidale. Lo Stato non è più nulla, sta a noi essere tutto!
La politica deve tornare a essere organizzazione della convivialità e non dello sfruttamento. Tutti devono poter fare politica, cioè decidere della propria vita su tutti gli aspetti che li riguardano. Non è un obbligo. È un diritto primario al quale si può liberamente rinunciare, ma dal quale non si può essere rimossi con nessuna formula di rappresentatività autonomizzata e gerarchizzante. Nessuno deve essere eletto se non per trasmettere a un più gran numero le volontà dei propri elettori locali. Ogni decisione personale deve restare tale ma nulla vieta di delegare puntualmente a degli individui di fiducia - perché sempre sfiduciabili - la planetarizzazione progressiva delle questioni e delle soluzioni più generali.
Qui s’innescano le lamentazioni interessate e ideologiche dei servitori volontari addomesticati: siamo troppi per una democrazia diretta!
Come se ognuno dovesse decidere sempre di tutto in prima persona per essere libero e autonomo!
Passando progressivamente dal locale al planetario, la democrazia diretta s’avvale evidentemente di deleghe e di tecniche come la rete per rendere possibile il suo funzionamento. Si tratta da un lato di mantenere un controllo collettivo esemplare sui comportamenti di ogni delegato e dall’altro di ridurre il più possibile gli argomenti di discussione lasciando la libertà di scelte diversificate la più ampia possibile. Tutto è da discutere, niente è vietato a priori né obbligato finché non diventa una necessità comune riconosciuta.
Niente Stato dunque, questo vampiro dittatoriale che succhia il sangue dei suoi presunti sovrani popolari in loro nome, ma comunità d’intenti e massima diversità di realizzazioni.
Solo quando un contrasto crea un blocco del funzionamento collettivo si pone il problema della pratica democratica e, dal Comune alle Nazioni Unite riumanizzate, si dovrà cercare e trovare l’armonizzazione necessaria e la soddisfazione sufficiente e solidale. I problemi non mancheranno certo, ma saranno quelli di uomini liberi e non di schiavi alienati, depressi e vendicativi.
Sono consapevolmente convinto che una volta superato il blocco orgastico e la paura della libertà dominanti, la pratica della teoria diventerà molto più facile. Convinzione da verificare, naturalmente, con tutta la diffidenza cui c’invita il principio di precauzione, ma di fronte alla catastrofe in atto non ci sono da perdere che le proprie catene invisibili di spettatori-consumatori.
La peste emozionale circola a vagoni per impedire il godimento di essere al mondo con fraterna autonomia e creatività. Comunque, l’uscita dal parlamentarismo verso una società altra e migliore passa per il riconoscimento di microsocietà  “neofamiliari” (gruppi di affinità nel quotidiano probabilmente di non più di una ventina di persone in contatto reciproco nell’intento di allargarsi a macchia d’olio e perché no anche a macchia di vino e di cibi prelibati da condividere in feste gioiose) spontaneamente emergenti dal locale al planetario, in un tessuto di complicità non competitive ma solidali. Il tutto non perché è moralmente giusto (anche se lo è) ma perché così si gode tutti di più e soprattutto meglio.
Lo Stato deve dissolversi nella nazione (una nazione liberata da nazionalismi beceri e dementi supremazie razziali) senza che la comunità reale perda un grammo della capacità organizzativa degli individui sociali che la compongono.
Questo significherà la fine del patriarcato e il ritorno della centralità femminile senza poteri gerarchici.
L’assemblea, il soviet, il consiglio, al di là di tutte le ideologie è il magico luogo – agorà - in cui si crea collettivamente il consenso a forza di scambi, di doni e di discussione. È la vita quotidiana che vedrà nell’autogestione generalizzata la realizzazione della società umana oggi inesistente.
Niente garantisce che riusciremo in questo poetico intento ma è certo che io preferirei aver torto con queste idee pratiche piuttosto che ragione con l’ottusa logica meccanicista del dominio predatore e orgasticamente impotente. La vita è bella se la si vive.
Ci vogliamo provare a rendere possibile l’altro mondo che è in noi o preferiamo morire di noia e ben presto pure di fame e d’inquinamento?

Sergio Ghirardi