sabato 15 giugno 2013

Semel in anno licet insanire






Da eterno studente del dogma economico, lo sguardo del dottor Feltri (esimio volgarizzatore della teologia economicista) sulla questione sociale è da droghiere della politica. E il peggio è che, credo, sia addirittura in buona fede (ma soprattutto fede).
Nei suoi interventi chiama ripetutamente il M5s “partito”, cancellando semplicemente il dato oggettivo che il M5s si presenta come nemico acerrimo della partitocrazia (un po’ come se avesse definito la democrazia cristiana degli anni ’50, un raggruppamento di agnostici).
In effetti, Feltri è l’alberello ubbidiente di una foresta che ha bisogno per la sua sopravvvivenza che il M5s diventi alla svelta un banale partito di più. Non basta per rassicurar lorsignori che in parte, com'era del resto prevedibile, anche molti eletti/elettori del M5s si adoperino già per renderlo tale. Sia gli idioti incapaci di immaginare un’autonomia di pensiero e d’azione sia gli opportunisti che colgono l’occasione irripetibile per riempirsi le tasche di denaro e lo specchio di notorietà, lavorano già affinché tutto rientri nell’ordine delle cose.
Intanto, novello Salomone, Feltri si siede sulla poltrona imbottita di euri dell’obiettività, mentre dovrebbe leggersi (ma soprattutto capirne il senso evidente, il che è più difficile per un qualunque specialista salariato) Pierre Bourdieu e Chomsky a proposito della manipolazione mediatica. Guarda caso, preferisce indossare l’ipocrita maschera spettacolare del benpensante che vede nei media un mezzo neutro d’informazione al quale sottomettersi quasi per dovere di cittadinanza.
Va da sé (ma rischia di non andare da nessuna parte) che oltre quest’orribile spettacolo di blocco programmato delle intenzioni di un gruppo spontaneo - il M5s - sospinto da tutte le parti affinché si riduca a mandria elettorale, comincerà (o no) la storia di una democrazia reale.
Questo e non altro è in gioco. Che farsene di un governo parlamentare a 5 stelle anziché 3, 6 o nessuna, querce, ulivi o baobab, se c’è sempre qualche burocrate professionista a decidere per me e contro di me, secondo i voleri del capitalismo dominante? Un TAV qui, un inceneritore là, mentre i topi ballano e il gatto incassa le mazzette.
Tuttavia, la necessità di una rivoluzione culturale presuppone l'esistenza di una cultura soggettiva sia individuale che collettiva.
Ora l'Italia storica, frankenstein nato in fretta e furia tra monarchia e clero, poi fascismo e clero e infine clero e basta, ha inventato gli italiani a partire dall'adesione a dei dogmi successivi e similari.
Il clericalismo strutturale di destra e di sinistra ha fatto dell'Italia un paese incapace di rivoluzione, bigotto e sempre pronto a salire sul carro del vincitore per quanto miserabile e relativo (vedi recenti elezioni comunali). C'è qualcosa di patetico...in Danimarca. Tutt’intorno, il mediterraneo si solleva contro gli oscurantismi e i soprusi con diversa fortuna ma unico coraggio, mentre gli italiani restano a Letta a dormire da Prodi sulla loro via crucis millenaria.

Non so come finirà questa primavera pentastellata accerchiata da iene mafiose e rosicchiata come un formaggio dai topi dello spettacolo, ma non è poi così importante sapere se Grillo continuerà o no, se il M5s diventerà un ennesimo partito burocratico di cui comincia a portare diverse stigmate, o se saprà continuare a battersi per la transizione verso una democrazia diretta.
Importante è che un nuovo soggetto, finalmente laico e cosciente del proprio tempo, esca dai confini dell’umiliazione atavica per diffondere le basi per una rivoluzione culturale continentale capace di abolire tutti gli anciens régimes spettacolari. L’Italia, che non ha mai esportato rivoluzioni ma solo dominio, come sempre seguirà.
Un altro continente che faccia dell’Europa una Comune, Italia inclusa, è possibile se si esce dal manicheismo mostruoso che propone l’oscena alternativa fittizia tra l’Europa delle multinazionali e la regressione nazionalista di tutti i fascismi vecchi e nuovi, di tutte le leghe razziste e xenofobe.
Non c’è dubbio che il processo in atto di decomposizione della società dello spettacolo porterà, più prima che poi, al superamento delle condizioni presenti, tuttavia, a seconda della forza della coscienza degli individui sociali coinvolti in un tale sconvolgimento ineluttabile, questo superamento sarà una tragedia o una festa.
Il tempo non è quello di vincere le elezioni (ma lo è mai stato?), quanto di appoggiarsi sulla rivolta della natura di fronte all’effimero dominio dell’homo oeconomicus, schiavo ottuso della redditività.
Urge che si renda consistente anche in Italia la coscienza della minoranza internazionale che oserà opporre la sua volontà di vivere alla distruzione  in stato avanzato del tessuto sociale umano e del godimento spontaneo dell’essere al mondo. Urge, prima che sia troppo tardi, sapendo che il sistema globale non potrà reggere neanche a un 20% di secessionisti convinti, evitare che sia definitivamente sconvolto anche l’equilibrio intimo e fragile dell’ecosistema nel quale il vivente, di cui siamo parte, si esprime.


Sergio Ghirardi