domenica 15 giugno 2014

La città "è" lo spazio pubblico




Dal sito indiano a orientamento soprattutto ambientale e politico Down to Earth, alcune riflessioni su un tema che si declina evidentemente in modo analogo, ma diverso, fra paesi sviluppati e in via di sviluppo, specie là dove i processi di urbanizzazione avvengono a ritmi indiavolati e secondo criteri che da lontano ci sembrano surreali
L’attività delle vie dipende dagli “occhi sulla strada” che garantiscono sicurezza in città, e che secondo Jane Jacobs costruiscono relazioni di vicinato. Nello spazio pubblico si stimola la partecipazione politica, anche nella nostra epoca di quartieri segregati e remoti, recintati, luoghi privatizzati, centri commerciali pattugliati. Nello spazio pubblico si costruisce l’esperienza della vita reale. Visitando la Cina mi sono trattenuta dallo scrivere dei suoi spazi pubblici urbani, per il timore di essere considerata di parte, in un modo o nell’altro, riguardo ai processi democratici. Oggi non più. In Cina esiste un regime dello spazio assai diverso da quello dell’India, ma è possibile superare la differenza con un approccio urbanistico innovativo. Proverò a farlo.
Ciò che rende grande la città sono i suoi spazi pubblici. Sono questi a costruirne la storia: l’agora greco, il foro romano, le classiche piazze europee e gli ambienti aperti quadrangolari indiani noti come chowks. Esperienza urbana significa esperienza di spazio pubblico, e ciò vale sia per chi ci abita che per chi la frequenta. Ma in realtà il valore di questi spazi è maggiore per chi la città la abita, rispetto al visitatore, perché essi contribuiscono molto a costruire il rapporto con la realtà. Al giorno d’oggi, tutto ciò che è pubblico, il concetto di pubblico, nelle città indiane deve essere rivendicato, sta al centro della rivendicazione della disponibilità di spazi pubblici per funzioni pubbliche.
David Harvey in uno dei suoi innumerevoli saggi afferma: “L’idea della ‘sfera pubblica’ in quanto arena di deliberazione politica e partecipazione, dunque fondamentale per un governo democratico, ha una lunga illustre storia”. L’agora ateniese, luogo fisico di esercizio democratico, è molto ben presente nell’immaginario collettivo. Esiste una consolidata coincidenza, quindi, fra una adeguata conformazione dello spazio pubblico urbano e un adeguato funzionamento di un governo democratico. I corrispettivi odierni dell’Agora sono la piazza Tahrir al Cairo oppure Ramlila Maidan e India Gate a Delhi, o ancora Azad Maidan a Mumbai, dove in tempi recenti la popolazione si è raccolta ad esprimere insoddisfazione rispetto alla rappresentanza politica, a chiedere maggiore rispetto da parte dei regimi e delle istituzioni. Anche Tiananmen evoca immagini, sia del presidente Mao quando dichiara l’istituzione della Repubblica Popolare, sia delle proteste studentesche nel 1989. Quando Gezi Park a Istanbul è stata privatizzata la gente ha protestato, e la cosa poi si è tradotta in protesta contro il governo nazionale.

Si potrebbe anche replicare che oggi, per esercitare una democrazia partecipativa, basta la disponibilità della comunità virtuale, che non serve uno spazio pubblico fisico. Ma è proprio lo spazio pubblico fisico che sostiene una vera partecipazione, in un’epoca di suburbio segregato, quartieri recintati, ambiti privatizzati, telecamere a circuito chiuso e via dicendo. Anche lasciando perdere per il momento gli spazi più grandi, alla vitalità urbana contribuiscono grandemente anche quelli che Jane Jacobs chiamava “side walk”, giardinetti e percorsi nel verde. Nelle città cinesi i parchi di quartiere sono di grande sollievo alla popolazione, altrimenti sovraffollata in piccolissimi alloggi. Vengono usati dai nonni per portarci i nipotini e incontrarsi tra loro, i più giovani imparano a pattinare o a fare altri sport. Gli artisti si trovano a dipingere, qualcuno a perfezionare l’arte della calligrafia. Frequentissime anche le passeggiate serali. Ma ci sono due eventi di particolare straordinarietà: il primo è quello delle danze degli anziani dopo cena, con ventaglio oppure no, e l’altro degli esercizi fisici aiutandosi con gli attrezzi di questi parchi. Prevalgono le donne, mentre gli uomini soprattutto stanno seduti giocando a carte o a mah-jong. Ovunque, nei parchi, succede questo, e il governo cinese guarda con una certo interesse la crescita del fenomeno: con gli anziani aumentano le spese della sanità, ma se li spingiamo a fare queste cose resteranno in buona salute! Immaginiamoci: succederebbe in India una cosa così, se si chiedesse agli anziani di imitarli?
Anche i percorsi pedonali sono una interessante forma di spazi pubblici. Nelle città europee si possono passare giorni e giorni camminandoci in questi spazi pubblici; si può imparare un’intera cultura, passeggiando così. Le città indiane offrono tante culture e attività diverse, ma per goderne sono necessari percorsi pedonali. Le attività sulla via fungono da “occhi sulla strada” a garantire sicurezza come diceva Jane Jacobs, e allo stesso modo funzionano i percorsi pedonali se hanno ampiezza sufficiente. Nelle città cinesi hanno una sezione da 3 a 5 metri, ci stanno gli anziani seduti, insieme ai bambini, o qualche venditore occasionale, le famiglie ci cenano la sera, o se è bel tempo chi danza in gruppo dopo cena. Accade anche nelle città cinesi, che si verifichi la minaccia dell’invasione da parte delle auto parcheggiate, in questi percorsi. Ma certo non basta che esistano, questi percorsi, occorre anche tenerli in ordine e varare le necessarie norme. Così nonostante le invasioni delle auto parcheggiate nelle città cinesi è ancora gradevole passeggiare lungo questi percorsi, parecchi con alberature che offrono ombra nei mesi estivi e una gradevole veduta.
Come è possibile avere spazi del genere anche in India? Gli strumenti ci sono, e si tratta delle norme urbanistiche applicate in modo innovativo. Ad esempio in certi stati i piani regolatori consentono di riservare a questi scopi di spazio pubblico delle porzioni delle superfici di trasformazione privata in fase di progetto, e poi gestirli. Complessivamente le percentuali di superficie che restano all’ente pubblico vanno dal 40% al 50% e poi vengono di norma destinate a usi commerciali, per ricavarne soldi da investire in infrastrutture. Esiste anche una certa quota che si dedica a verde, salute, istruzione. Ecco, è possibile sia incrementare la quota generale che quella in particolare dedicata a spazio pubblico. Eventuali squilibri e svantaggi per il privato si possono compensare con premi di cubatura, o agevolazioni fiscali.
Gli amministratori a volte sostengono che realizzando percorsi pedonali così ampi li si vedrebbe immediatamente intasati di bancarelle. Una scusa patetica, visto che non riescono neppure a impedire che altri spazi pubblici vengano invasi dai veicoli privati. Un modo bisogna trovarlo. Sono già stati usati strumenti urbanistici per migliorare le condizioni di vita, e senza favorire interessi particolari. Gli spazi pubblici sono una ricchezza delle città, e bisogna trovare comunque il modo di realizzarli.
Down to Earth, maggio 2014, titolo originale: Public spaces make cities – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini


fonte Millennio urbano.it 
La città è lo spazio pubblico