venerdì 23 gennaio 2015

Contro un’Europa geneticamente modificata





Idf-décroissance denuncia la scandalosa decisione della CE di autorizzare gli OGM : la tecnocrazia continua a imperversare e con lei la distruzione del vivente
Idf-décroissance condanna la recente décisione dell’Unione Europea presa martedì 13 gennaio che permette in apparenza a uno Stato di opporsi alla coltivazione OGM mentre sblocca d’altro lato il dossier Ogm autorizzandoli di fatto in Europa.
La Commissione Europea ha infatti ottenuto che uno Stato che abbia vietato gli OGM sul suo territorio non possa più opporvisi negli altri Stati europei.
Una tale decisione potrebbe permettere a qualche impresa di biotecnologia di fare un ricorso contro uno Stato europeo che si opponesse all’introduzione di un seme geneticamente modificato utilizzando le procedure sugli arbitraggi privati previste in trattati bilaterali. Potrebbe anche inoltrare dei ricorsi di fronte all’OMC per ostacolo al commercio.
Ne conseguirebbe un’accelerazione della messa in coltura degli OGM sul suolo europeo. Finora solo il mais MON810 di Monsanto era coltivato e unicamente in Spagna. D’ora in poi c’è da aspettarsi di vedere arrivare altre sementi geneticamente modificate come il mais Bt176 di Syngeta, il T25 di Bayer, la patata Amflora di BASF, ecc.
Notiamo che la Francia vieta la coltura del mais transgenico con una legge del maggio 2014.
Tuttavia la pressione s’intensifica e l’imperversare della tecnologia sembra eliminare tutti gli ostacoli. Sembrerebbe che soltanto la natura possa ormai resisterle. Più precisamente attraverso i limiti che imporranno la geologia e la natura con la fine della biodiversità e le malattie che il consumo di Ogm potrebbe comportare. Speriamo che non sia, allora troppo tardi per reagire, prima di sparire a nostra volta, totalmente geneticamente modificati.

Idf-décroissance

lunedì 12 gennaio 2015

Je suis Charlie, ma non nel vostro spettacolo!




Tempi cupi e crudeli quelli in cui gli ultimi gioiosi sovversivi di carta creatori di Charlie Hebdo muoiono sotto i colpi spietati di boia fanatici al servizio di nuove cosche mafiose, stavolta di matrice islamica e non cristiana.
Perché tutte le mafie hanno da sempre una forte impronta religiosa a monte del business che le evoca. Una sacralità becera funziona sempre da collante tra i picciotti, gli «uomini d’onore» e i quaquaraqua, cioè, nel linguaggio mafioso, gli sfruttati che formano le masse di spettatori passivi dello spettacolo sociale e del suo totalitarismo produttivistico.
Dopo averla usata a lungo come specchietto per le allodole, l’internazionale capitalista ha abbandonato sotto le macerie del muro di Berlino la sua laicità opportunistica d’origine per riscoprire il sacro, la patria e il paradiso. Non le rimane altra scelta per sedurre i suoi schiavi che cominciano, confusamente ma manifestamente, a sentire insopportabile e assurdo il peso delle catene ormai affioranti dietro la truffa di una democrazia spettacolare.
Tra i saldi invernali e la disoccupazione che cresce, gli spettatori-consumatori-elettori possono dunque «scegliere» tra due barbarie incivili : o la povertà crescente e la tragica noia della modernità occidentale, oscena e mortale per l’uomo e l’ambiente, o gli allegri sgozzamenti ed esecuzioni varie di infedeli che le mafie islamiste offrono come optional in offerta speciale sul mercato delle ideologie.
Finito il nichilismo materialista della lotta armata politica che insieme all’uso di droghe dure aveva già cominciato decenni fa il lavoro di sotterramento della rivoluzione culturale che nutriva lo spirito rivoluzionario del maggio ‘68, le armi servono oggi alla lotta armata celeste in nome del denaro travestito da dio mentre l’eroina banalizzata in paradiso artificiale redditizio rinvia alle radici dell’oppio dei popoli.
I simpatici amici di Charlie Hebdo erano gli ultimi esemplari ancora operanti, direttamente fuoriusciti da quello spirito sessantottesco che mezzo secolo di restaurazione si è incaricato di seppellire vivo con l’ausilio del rivoluzionarismo nichilista, del riformismo domestico e del fascismo caratteriale coltivato e diffuso. Oltre qualche grossolana contraddizione ideologica che colpiva evidentemente anche quei testardi primogeniti di un anticlericalismo sempre più intimidito, erano ormai la memoria storica e l’ultimo bastione delle vecchie risate intelligenti di una rivoluzione culturale incompiuta dove l’arma della critica non rinunciava mai a distinguersi radicalmente dalla critica delle armi che trasforma ogni potenziale rivoluzione nel rinnovamento del Leviatano economista.
L’umorismo che nutre la laicità indispensabile affinché un altro mondo sia possibile, sopravvive come uno spauracchio per gli utili idioti e i vigliacchi opportunisti che continuano a vivere all’ombra di una qualunque cappella ideologica, per tutti quelli che continuano a perdere la loro vita a guadagnarsela nel sacro stagno del profitto senza fine, per le rane di acqua benedetta dal dollaro, dall’euro o dallo yen che continuano a inginocchiarsi nei templi della merce per poi lamentarsi liturgicamente ogni volta che preti e burocrati di servizio approfittano un poco più del solito della loro scomoda posizione di sottomessi a 90 gradi.
Certo, quando qualche credente fobico, fanatico e manipolato, si mette a esecrare la libertà sopravvissuta all’accerchiamento di una società totalitaria, il rischio è ormai quello della pelle. Anche il mercato fiorente delle armi da fuoco ha bisogno di promuovere i suoi saldi. Oh tempora, oh mores! Tornano le esecuzioni macabre, variabili di mostruosità secondo le liturgie medievali che accompagnano il sacro e i suoi terrori sempre odiosamente equivalenti, di epoca in epoca, d’oscurantismo in oscurantismo.
Comunque, il delirio assassino che ha sterminato una banda di amici che si divertivano a fare un giornale desacralizzante a 360 gradi, ha reso un servizio inaspettato anche a molti uomini pubblici che oggi pretendono di essere Charlie. Molti dei vip che si sono pretesi seguaci del feretro di Charlie Hebdo sono proprio quelli che dello spirito del ’68 hanno fatto scempio nelle loro vite e nella società dello spettacolo di cui sono i servitori opportunisti o imbecilli.
Se fossi Wolinski, Charb, Cabu, Honoré, Tignous o l’Oncle Bernard sputerei anche oggi su quanti, militaristi e burocrati, dalla destra fascistizzata alla sinistra estrema, li piangono ipocritamente come martiri ed eroi quando ieri li detestavano (e domani, una volta sepolta l’emozione, torneranno a farlo) temendo che il loro riso mostrasse finalmente quel che lo spettacolo vorrebbe sempre nascondere: che tutti i re e i cortigiani, i guerrieri e i martiri, gli eroi e i soldati, i parassiti e gli stakanovisti sono nudi come vermi in cerca di potere.
Non è necessario approvare tutte le scelte di nessun giornale, di nessun libro, quindi neanche di Charlie Hebdo. Basta difenderne sempre, strenuamente e senza concessioni, per lui e per tutti, il diritto laico e non violento a ogni discorso, a qualunque espressione libera di un’idea, di un concetto, di un sentimento, di un’ironia, di una caricatura, di uno sberleffo che escludano evidentemente il minimo passaggio all’atto contro qualcuno. Ed è appunto questa la libertà sempre severamente vietata dalle dittature ma osteggiata subdolamente anche dalle democrazie spettacolari e dai loro servi burocratici di destra e sinistra che sono il clero del Leviatano economista che da millenni confisca la storia e impedisce il plasmarsi della comunità umana (la famosa gemeinwesen).
In effetti, nulla è sacro e tutto deve potersi dire, attenti a evitare che dall’ombra finiscano per uscire, carichi di odio e di confusione, gli assassini di turno. Perché nessuna arma può davvero proteggerci dalla loro subitanea aggressione, se non parzialmente e troppo tardi. Perché, pur senza nessuna garanzia, solo l’amore può ridurre il tasso di peste emozionale in circolazione preparando il terreno per un altro mondo possibile dove l’odio sia finalmente ridotto a una patologia marginale e non sia più il motore essenziale di ogni riuscita. Quanta strada ancora da fare! Per ora i non violenti continuano a essere uccisi dai mostri generati dal sonno coltivato tanto della ragione quanto dei sentimenti.
Sicuramente dobbiamo difenderci con tutti i mezzi possibili, nessuno escluso, ma possiamo attaccare e superare il vecchio mondo soltanto con la rabbia gioiosa dell’amore perché soltanto una risata collettiva e internazionale seppellirà definitivamente il mondo degli zombi armati di fucili sempre più automatici. Denunciamo, dunque, l’internazionale del terrore al servizio del Leviatano e del suo business implacabile e plurimillenario ma anche la schiera di servitori volontari che non vogliono affatto che un altro mondo sia possibile.
La lista dei responsabili vigliaccamente al servizio della società spettacolare mercantile non è difficile da stillare ed è facile denunciarli non alla vendetta ma al ridicolo, senza violenza, delazione né autoritarismo alcuno. Si deve semplicemente continuare a ridere di loro e a lottare per la vita contro la morte, perché i volti caricaturali della peste emozionale e del condizionamento ideologico su cui si fonda la società dello spettacolo riempiono le pagine di tutta la storia contemporanea, da Harakiri a Charlie, da tanto tempo e in quantità ben superiore alla decina di vignette che sono servite da assurdo pretesto per l’orribile massacro.


Charlie, il 10 gennaio 2015


Vedasi nel sito che segue, sia l’analisi che il deturnamento di Jean Bourguignon, senza togliere nulla all’importanza della “resistenza” autentica che lo spettacolo ha cercato cinicamente di recuperare, riuscendoci solo in parte:
 
http://jeanbourguignon.blogspot.fr/2015/01/charlie-hebdo.html 





venerdì 9 gennaio 2015

BREVE ELOGIO DI CHI CAMPA CENT’ANNI


 





Chi approda al  traguardo dei cent’anni ci dispone l’animo  al buonumore, sicuramente.
Ma in maniera superficiale, fuggitiva:  beato lui, diciamo, e passiamo oltre, senza essere coscienti della funzione sociale, potremmo dire filantropica, che il centenario svolge
In un mondo che si presenta rocciosamente immutabile, proprio in ragione del confronto fra la permanenza del tutto e l’impermanenza del singolo, di ciascuno di noi che per un breve tempo passa e si perde, senza posa, chi supera questo stato, sfiorando a sua volta la sensazione dell’eterna presenza, ci consente di capovolgere la lettura abituale della realtà, ci induce a meditare.

Cent’anni.  La gran parte delle vicende che ci vengono alla mente, quando sono accadute, quest’uomo era lì. Sono venuti e andati, e già quasi dimenticati, i fascismi e i comunismi, i muri e i partiti, le navi, i palazzi, le mode, le abitudini, le tecnologie. Tutto questo passava e lui c’era …Il mondo alla rovescia.

E come tutti i capovolgimenti di prospettiva, che sostituiscono i chiari con gli oscuri, il positivo con il negativo, al posto del mondo che sta fermo mentre l’individuo passa, ci regala la visione (come tutte le visioni, ingannevole ma suggestiva) di un individuo che sta fermo, mentre è il mondo a sfilargli intorno
E in tal modo , ci consente di accedere senza fatica a una percezione più efficace e più adeguata di ciò che esiste: tutto passa e tutti passiamo, ciascuno con un proprio tempo. E che ciò che ci appare solido  lo è alla maniera del ciclista, per il quale è il movimento ad essere cagione di stabilità.

Nessuno può affermare con certezza che una vita lunga, così lunga, sia un bene in sé: ognuno dispone d’una vita soltanto e quindi ogni confronto inevitabilmente risulta imperfetto: ma il centenario è, fra noi tutti, quello che si è spinto più oltre sulla via che ci illude a sconfiggere il tempo, che si è meglio battuto in questa battaglia perduta a priori. E’ il cavaliere dell’utopia, così serenamente testardo nell’esserci, giorno dopo giorno, mentre intorno crollano gli imperi e, speriamo, si inventano nuove libertà.

In questa maniera, come la liberazione dell’umanità è un progetto individuale, collettivamente praticato, potremmo affermare, concludendo, che la vita è un disegno collettivo, declinato individualmente, che la vita, precisamente come la libertà, è un’azione di cui essere responsabili, e non già una condizione per cui dovremmo essere grati.

da Gilda Caronti e Paolo Ranieri
con affetto, stima e gratitudine per avere  un tale amico