sabato 9 maggio 2015

Il carattere distruttivo

La grande onda di Kanagawa di Katsushika Hokusai


Nel guardare indietro nella propria vita, potrebbe capitare di riconoscere che quasi tutti i legami più profondi, a cui in essa si è sottostati, hanno avuto origine da persone, sul cui carattere distruttivo erano tutti d'accordo. Un giorno si potrebbe incappare, forse per caso, in quanto fatto e quanto più forte sarà lo choc da cui si sarà colpiti, tanto più grandi saranno le chances per una rappresentazione del carattere distruttivo.
Il carattere distruttivo conosce solo una parole d'ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia. Il suo bisogno di aria fresca e di uno spazio libero è più forte di ogni odio.
Il carattere distruttivo è giovane e sereno. Distruggere infatti ringiovanisce, perché toglie di mezzo le tracce della nostra età; rasserena, perché ogni eliminare, per il distruttore, significa una perfetta riduzione, anzi un'estrazione della radice della propria condizione. A tale immagine apollinea del distruttore ci conduce ancora di più la considerazione di come si semplifichi infinitamente il mondo, se si appura che merita di essere distrutto. Questo è il grande vincolo che stringe armoniosamente tutto l'esistente. Questa è una visione che procura al carattere distruttivo uno spettacolo della più profonda armonia.
Il carattere distruttivo quando lavora è sempre fresco e riposato. E' la natura a prescrivergli il tempo, almeno indirettamente: poiché egli la deve prevenire. Altrimenti intraprenderà lei stessa la distruzione. Il carattere distruttivo non ha alcun modello. Ha pochi bisogni, e nulla gli importa meno che: sapere cosa subentra al posto di ciò che è stato distrutto. In un primo momento, almeno per un attimo, lo spazio vuoto, il luogo dove stava la cosa, dove la vittima ha vissuto. Si troverà certamente qualcuno che lo usa, senza prendere possesso.
Il carattere distruttivo è un segnale. Come un disegno trigonometrico è esposto da tutti i lati al vento, egli è esposto da tutti i lati al pettegolezzo. Proteggerlo da ciò è privo di senso.
Al carattere distruttivo non importa affatto essere compreso. Sforzarsi in questa direzione lo ritiene superficiale. L'essere frainteso non lo può danneggiare. Al contrario tutto questo lo provoca, come lo provocano gli oracoli, queste distruttive istituzioni statali. Il più piccolo-borghese dei fenomeni, il pettegolezzo, ha luogo solo perchè la gente non vuole essere fraintesa.
Il carattere distruttivo si lascia fraintendere; così non incoraggia il pettegolezzo. Il carattere distruttivo è nemico dell'uomo-astuccio. L'uomo-astucccio cerca la propria comodità e di questa l'astuccio ne è la quintessenza. L'interno dell'astuccio è la traccia, rivestita di velluto, che lui ha impresso nel mondo. Il carattere distruttivo cancella perfino le tracce della distruzione.
Il carattere distruttivo sta nel fronte dei tradizionalisti. Mentre alcuni tramandano le cose rendendole intangibili e conservandole, altri tramandano le situazioni rendendole maneggevoli e liquidandole. Questi vengono chiamati i distruttivi.
Il carattere distruttivo ha la coscienza dell'uomo storico, il cui sentimento fondamentale è un'insormontabile diffidenza nel corso delle cose, nonché la prontezza con la quale prende nota del fatto che tutto può andare storto. Perciò il carattere distruttivo è la fiducia stessa.
Il carattere distruttivo non vede niente di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Ma poichè vede dappertutto una via, deve anche dappertutto sgombrare la strada. Non sempre con cruda violenza, talvolta anche con violenza raffinata. Poiché dappertutto vede vie, egli stesso sta sempre ad un incrocio. Nessun attimo può sapere ciò che il prossimo reca con sé. L'esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso.
Il carattere distruttivo non vive per il sentimento che la vita merita d'essere vissuta, ma perché non vale la pena di suicidarsi."

Appunti sul «carattere distruttivo»
Potrebbe capitare a qualcuno che, nel riguardare alla propria esistenza, pervenga alla constatazione che quasi tutti i più profondi impacci che ha patito in questa vita siano derivati da persone sul cui «carattere distruttivo» tutti erano d’accordo. Potrebbe un giorno imbattersi forse per caso in questi dati di fatto e allora, quanto più forte lo shock che subirebbe, tanto maggiori le sue probabilità di arrivare a una descrizione del carattere distruttivo.
Sgomberare: con questa parola d’ordine si potrebbe illustrare con particolare evidenzal’azione del carattere distruttivo. «Fammi posto!» è l’intimazione sulla quale il carattere distruttivo imposta il suo operato. E si troverà prima o poi qualcuno che ne ha bisogno senza (occuparlo). Perché il carattere distruttivo non distrugge per compiacere se stesso:è un mandatario .Questo carattere distruttivo non è un Tersite, anzi, è giovane e allegro. Ne rappresenta addirittura l’immagine opposta, di una bellezza perfino apollinea: piena di giovinezza e di allegria. Infatti distruggere ringiovanisce perché toglie di mezzo i testimoni della nostra età; e rallegra perché ogni rimozione significa per colui che distrugge una schiarita, una perfetta - (per dirla in termini matematici) - riduzione se non estrazione della radice della propria condizione. A una simile, concezione apollinea del distruttore induce più che mai la comprensione di come si semplifichi straordinariamente il mondo ove lo si verifichi in base alla dignità d’essere distrutto. È il grande nastro che avvolge armonicamente ogni esistente. Ed è una visione che appare gradevole e consolante al carattere distruttivo. (Al contrario, nel caso del carattere edificante: ogni giorno le basi della sua esistenza si fanno più difficili, più condizionate, e sempre più condizionato diviene il suo operato, e più precario il suo equilibrio che non è, di per sé già, quello stabile del carattere distruttivo, ma quello labile del carattere creativo).
Il carattere distruttivo è sempre alacremente al lavoro. È la natura a dettargli i ritmi, indirettamente almeno: perché deve prevenirla. Altrimenti s’incaricherà essa stessa della distruzione.Il carattere distruttivo non ha immaginazione. Ha poche esigenze, e la minima è: sapere che cosa subentra a ciò che è distrutto. In un primo momento, per un attimo almeno, lo spazio vuoto: il posto dove era la cosa, dove era vissuto l’uomo. Si troverà poi prima o poi qualcuno che ne ha bisogno senza occuparlo.Il carattere distruttivo non ha nulla a che fare con quello decadente e altrettanto poco con quello demoniaco. Non gli importano le avventure private, ma solo la certezza di non vivere neppure un attimo senza una missione storica. Il carattere distruttivo non si uccide. Perché? Perché non c’è niente da eliminare. È in un punto d’indifferenza: la sua esistenza è creazione, il suo operare distruzione.

Walter Benjamin, Il carattere distruttivo, 1972 (trad.it 1980)