domenica 28 febbraio 2016

500 milioni di amici




 “Fantozzi, lei ritiene di soffrire di un complesso d’inferiorità?
Si rassicuri: non è così, lei è effettivamente inferiore”


Facebook non cela in alcun modo la propria natura: è un album di facce.
Come Twitter è una rete di pigolii, di squittii all’interno della voliera sociale.
Eredi degni della televisione che aveva degradato in platea quel che mai si sarebbe creduto potesse precipitare più in basso, vale a dire la società, hanno portato platea e palcoscenico a divenire un tutt’uno.
Se prima si stava tutti parallelamente schierati a contemplare le immagini socialmente promosse, oggi ci si rispecchia nelle rispettive immagini, ciascuno alimentando lo spettacolo sociale con i propri stessi contenuti.
Si badi bene, questo era sempre stato vero, ma gli organi di controllo provvedevano a filtrare questi materiali, in cui si temeva fossero sedimentate ancora troppe particelle virali di ciò che più di ogni altra cosa il potere teme, vale a dire il giudizio autonomo di ciascuno.
Oggi non solo l’attività degli individui non viene più percepita come pericolosa ma anzi si sollecita in ogni modo la loro attività di criceti sulla ruota, perché, compiuta la socializzazione forzata dell’esistente, la minaccia al sistema non deriva più dall’attività dei viventi, ma dalla loro inerzia, dalla loro diserzione, dalla loro passività.
D’altronde, poiché il mondo nel suo insieme appare ogni giorno più ripugnante, questi strumenti di socializzazione autogestita ed etero diretta, rispondono a un’esigenza non ancora azzerata; quello di trovare nell’immensa massa compatta di sconosciuti che ci accerchia, persone che, almeno per alcuni tratti, ci somiglino e ci corrispondano. 
Tramite i vari strumenti di internet, chiunque, il più bizzarro degli individui, può scoprire un simile, un affine, un “amico”. 
E può parallelamente isolarsi e separarsi dai dissimili, dagli opposti, dai nemici. Può edificare un universo di relazioni su misura, affrancandosi dal peso, dall’ingombro, dall’indiscrezione dei corpi, accedendo alla comunità dei puri spiriti: un ben confortevole paradiso, dove ciascuno può suonare comodamente l’arpa rivolto verso l’immagine di sé stesso.
D’altronde sono molti coloro che si ritraggono, che rifuggono, che si auto esiliano da questi universi, alcuni per motivi futili, ma alcuni portando belle e lucenti argomentazioni: ma così facendo non vanno oltre la condizione , già ampiamente conosciuta e studiata e individuata come vana, di chi non possiede la tv (a volte neppure il computer o il telefono cellulare) o di chi ad esempio si astiene dal voto. Tutti quanti illudendosi che la loro assenza verrà notata, percepita, commentata. Laddove viceversa si limiterà ad aggiungere una sfumatura ulteriore al grigiore dell’irrilevanza di ciascuno, sia che metta in circolo le proprie trovate in rete, sia che se ne astenga.
Internet, e le sue articolazioni interattive, non è stata ideata per perfezionare ulteriormente l’alienazione sociale: ma, (un po’ come l’eroina, che fu creata per salvare dalla dipendenza i morfinomani), semmai, per vendere strumenti capaci di alleviare l’isolamento e l’alienazione sociale, per offrire alle vittime del sistema una consolazione: e non si può negare che ha saputo svolgere discretamente il proprio compito, di rendere commestibile e perfino, per molti, appetibile, una condizione che, guardata nel suo dispiegarsi oggettivo, chiunque definirebbe insopportabile.
Il punto è che la critica dell’alienazione, che necessariamente deve sottrarsi all’uso di strumenti alienati, è molto più difficile da praticare di quanto appaia a tanti volenterosi critici della vita quotidiana.
Perché l’alienazione non è una percezione pervertita della realtà, ma essa stessa una realtà pervertita. 
A differenza dei nostri antenati di appena qualche secolo orsono, noi viviamo in un mondo di cui non sappiamo maneggiare gli strumenti che in minima parte. Quasi tutti gli strumenti che utilizziamo, non solo non sapremmo costruirli materialmente, ma neppure ne conosciamo i principi basilari di funzionamento: è questo dato di fatto che ci socializza volenti o nolenti: che è dalla società che riceviamo pressoché la totalità di ciò che ci garantisce la sopravvivenza: come stupirci se reclamiamo dalla società anche la creazione, la gestione, la manutenzione delle nostre relazioni?
Come Fantozzi, siamo effettivamente inferiori. Anders, d’altronde, ce l’aveva ben detto.

Paolo Ranieri

venerdì 19 febbraio 2016

NEL FUOCO INCROCIATO Avventure di un Rivoluzionario Vietnamita



*

Nota sullo stalinismo e sul trotskismo


Per coloro che hanno poca familiarità col contesto politico internazionale in cui è incentrata la storia di Ngo Van, può essere utile fare alcune osservazioni sullo stalinismo e sul trotzkismo e descrivere a grandi linee il susseguirsi di alcune vicende controverse, ricche di risvolti, colpi di scena e cambi di rotta, della Terza Internazionale sotto il controllo di Stalin.

La Rivoluzione Russa del 1917 si è svolta in due fasi relativamente distinte. La “Rivoluzione di febbraio” consisteva in una serie di lotte popolari in gran parte spontanee incominciate a partire dal mese di febbraio e che continuarono poi nel corso dei mesi successivi; la “Rivoluzione d’ottobre” fu essenzialmente un colpo di stato effettuato dal partito bolscevico sotto la guida di Lenin e Trotsky. I bolscevichi godevano della reputazione di rivoluzionari radicali, dovuta in parte al fatto che erano uno dei rari gruppi di sinistra ad opporsi alla Prima Guerra Mondiale; ma una volta al potere repressero le tendenze popolari radicali e si trasformarono in una nuova classe dominante.

Anche se cambiarono il loro nome in “Partito Comunista” nel 1918, il sistema che avevano creato non aveva nulla a che fare con il comunismo nel vero senso della parola; ma era semplicemente una versione più cruda e più concentrata del capitalismo. La proprietà privata era stata sostituita dalla proprietà statale, ma il capitalismo stesso (il sistema di relazioni sociali mercificate) non era stato in alcun modo eliminato. I lavoratori che precedentemente erano stati sfruttati da una moltitudine di capitalisti privati, ora erano sfruttati da un’unica grande impresa capitalista proprietaria di tutto: lo Stato. Anche se questo processo fu complesso e graduale, la trasformazione era diventata abbastanza chiara già nel 1921 quando i marinai rivoluzionari di Kronstadt furono sterminati dal regime “comunista” sotto la guida diretta di Trotsky. (Vedi La rivoluzione sconosciuta di Voline e The Bolsheviks and Workers’ Control: 1917-1921 di Maurice Brinton.)

Dopo la morte di Lenin nel 1924, la fazione del Partito comunista guidata da Stalin divenne sempre più potente, al punto che Trotsky fu messo sulla difensiva e, alla fine, fu espulso dal partito e costretto all’esilio. Stalin, in seguito, impose vari sviluppi interni totalitari che non verranno discussi qui poiché sono generalmente ben noti — dittatura-stato di polizia, collettivizzazione forzata, campi di concentramento Gulag, processi farsa, ecc.  (Alcuni buoni resoconti che descrivono bene questo processo sono Stalin: A Critical Survey of Bolshevism di Boris Souvarine, The Russian Enigma di Ante Ciliga , e Memorie di un rivoluzionario di Victor Serge.)

Il regime stalinista esercitò anche un’influenza maligna sui movimenti radicali di altri paesi in tutto il mondo. La Terza Internazionale (conosciuta come Internazionale Comunista o Comintern) era stata formata a Mosca nel 1919 per unire i partiti comunisti rivoluzionari di tutto il mondo, dopo che la maggior parte dei partiti socialisti della Seconda Internazionale avevano tradito i loro principii socialisti ed internazionalisti schierandosi coi loro rispettivi governi durante la Prima Guerra Mondiale. Sotto il controllo di Stalin, il Comintern si concentrò sempre di più sull’obiettivo di difendere il regime di Stalin a tutti i costi. A tal fine, durante i due decenni seguenti, aveva imposto ai partiti comunisti subordinati negli altri paesi una successione di politiche opportunistiche zigzaganti, la maggior parte delle quali portarono a risultati disastrosi.

A seguito di alcune disfatte “avventuriste” avvenute all’inizio degli anni venti (Germania 1923, Estonia 1924, ecc.), il Comintern passò ad una politica difensiva di compromessi e alleanze con diverse forze borghesi in tutto il mondo. Il più drammatico fallimento di questa politica avvenne in Cina nel 1925-1927. Nello stesso momento in cui i lavoratori radicali stavano ottenendo vittorie significative nelle principali città della Cina, Stalin insisteva affinché il Partito Comunista Cinese si subordinasse al Guomindang, il partito nazionalista guidato dal generale Chiang Kai-shek. Quando i lavoratori di Shanghai presero il controllo della città nell’aprile del 1927, i leaders comunisti li incoraggiarono ad accogliere l’esercito di Chiang Kai-shek e a consegnargli tutte le loro armi. Dopo averlo fatto, l’esercito di Chiang entrò in città e massacrò migliaia di lavoratori radicali. (Vedi La tragedia della Rivoluzione Cinese di Harold Isaacs.) Questo risultato catastrofico della politica di Stalin, che Trotsky aveva previsto con precisione e tentato di prevenire, fu senza dubbio un fattore importante per chiarire la disponibilità dei radicali vietnamiti ad unirsi e aderire a posizioni trotzkiste negli anni successivi.

Nel 1928 Stalin impose un altro cambio di politica, sostenendo che, dopo il periodo iniziale di ondate rivoluzionarie (1917-1923) e poi il successivo periodo difensivo di riflusso (1924-1928), il movimento internazionale dei lavoratori sarebbe entrato in un nuovo “Terzo Periodo” in cui le rivoluzioni radicali sarebbero state ancora una volta all’ordine del giorno. I partiti socialisti, che venivano chiamati “social-fascisti” dagli Stalinisti, ora, presumibilmente, erano diventati il nemico principale. Seguendo questa politica, il Partito Comunista Tedesco si concentrò principalmente nell’attaccare i socialisti tedeschi, ignorando completamente i nazisti, contribuendo così ad aprire la strada per la presa del potere dei nazisti nel 1933 (ciò portò ben presto alla distruzione sia dei socialisti sia dei comunisti in Germania).

Nel 1935 la linea del Comintern s’invertì, volgendosi verso l’estremità opposta. Ora si supponeva che fosse necessario allearsi coi socialisti e, di fatto, con chiunque non fosse chiaramente fascista, includendo anche i partiti di centro e persino quelli conservatori, per formare un “fronte unito contro il fascismo”. Questa politica condusse alla vittoria dei governi dei Fronti Popolari in Spagna e Francia nel 1936. Ma le correnti radicali che avevano supportato questi fronti si trovavano ora compromesse, con le mani legate a causa delle loro alleanze con le forze più centriste. Per saperne di più sul Fronte Popolare spagnolo, vedi la nota. In Francia, il governo del Fronte Popolare, pressato da un’ondata nazionale di scioperi e occupazioni di fabbriche, approvò alcune leggi progressiste (40 ore settimanali, ferie pagate, diritto di sciopero, ecc.), ma non fece nulla per eliminare il colonialismo francese né fece quasi nulla per migliorare le condizioni nelle colonie, eccetto alcune riforme di minore importanza che in gran parte non furono attuate. Questo mise gli stalinisti vietnamiti nella scomoda posizione di dover difendere il regime coloniale francese contro cui avevano combattuto disperatamente per così tanto tempo.

In seguito, il Patto Hitler-Stalin del 1939 provocò un nuovo zigzag. Ora l’attenzione era focalizzata ancora una volta sulla lotta contro la Francia, mentre la minaccia del fascismo venne minimizzata e ignorata volutamente (anche se la Germania nazista era sul punto di invadere la Francia, ed il Giappone si accingeva ad invadere l’Indocina).

Poi, quando Hitler tradì Stalin invadendo la Russia nel 1941, fu di nuovo una “guerra contro il fascismo.” Gli stalinisti vietnamiti si trovarono ancora una volta alleati con i loro padroni coloniali francesi (anche se il regime coloniale in Indocina era pro-Vichy e quindi più o meno alleato con i fascisti).

Poi, nel vuoto di potere successivo alla sconfitta dei giapponesi nel 1945, in un momento in cui il popolo vietnamita era in grado da solo di prevenire un ritorno di eventuali forze francesi significative e di impedire che esse rientrassero nuovamente in Vietnam (la Francia si stava ancora riprendendo da anni di occupazione nazista ed era demoralizzata a causa della collaborazione del regime di Vichy con i nazisti, ed inoltre la maggior parte delle sue forze armate si trovavano dall’altra parte del mondo), il leader stalinista Ho Chi Minh fece una serie di compromessi con gli americani, coi britannici, coi cinesi e coi francesi, che gli permisero di aumentare il suo potere, di distruggere i trotzkisti e altri potenziali rivali, e di assumere il pieno controllo delle forze nazionaliste, ma allo stesso tempo consentì alle forze francesi di rientrare nel paese, cosa che condusse alla tragica conseguenza di prolungare, per altri 30 anni in più, la guerra per ottenere l’indipendenza nazionale, che altrimenti si sarebbe potuta benissimo vincere già nel 1945. Solo nel 1975 il paese riuscì finalmente ad ottenere la liberazione dai suoi padroni stranieri — ma rimanendo comunque sottomesso ad una dittatura stalinista indigena.

La maggior parte di queste politiche staliniane erano state duramente criticate da Trotsky. All’incirca dal 1923-1934, Trotsky e i suoi seguaci si autodefinivano come “Opposizione di sinistra”, che significava un’opposizione all’interno del Partito Comunista Russo, con l’intento di riconquistare il potere dalle mani della fazione stalinista per riportare di nuovo il partito verso una direzione rivoluzionaria e internazionalista. Dopo essere stati espulsi dal partito russo nel 1928, rivolsero la loro attenzione verso i partiti comunisti negli altri paesi e verso la Terza Internazionale. Questa strategia si rivelò ugualmente fallimentare poiché dovunque le tendenze trotskiste furono eliminate in modo sistematico dai partiti dominati da Stalin in tutto il mondo. Nel 1933 o 1934, la maggior parte dei trotskisti avevano concluso che la Terza Internazionale era ormai irrecuperabile e che era necessario formare una Quarta Internazionale. Questo ebbe luogo nel 1938 (ciò era il motivo per cui alcuni gruppi provvisori come la Lega dei Comunisti Internazionalisti di Ngo Van, facevano riferimento a se stessi specificando nel loro nome la dicitura “per la Costruzione della IV Internazionale”).

Sarebbe fin troppo tedioso discutere sulle differenze complesse tra i numerosi gruppi trotzkisti e le tendenze trotzkiste dagli anni 1930 fino ai giorni nostri. È sufficiente dire che, poiché lo stesso Trotsky era direttamente implicato nel processo per il quale il Partito comunista divenne una forza controrivoluzionaria all’interno della Russia, e dal momento che egli non aveva mai riconosciuto che quel partito si fosse trasformato in una nuova classe burocratica dirigente, i suoi tentativi di spingere il partito ad intraprendere una politica internazionale rivoluzionaria erano destinati a fallire. “Trotsky è stato condannato dalla sua prospettiva di fondo, perché dal momento in cui la burocrazia si riconosce nel proprio risultato come classe controrivoluzionaria all’interno, essa deve anche scegliere d’essere effettivamente controrivoluzionaria all’esterno in nome della rivoluzione, come a casa propria” (Guy Debord, La Società dello Spettacolo #112). Ecco perché le polemiche trotskiste, per quanto radicali possano sembrare sotto certi aspetti, finiscono sempre per cadere nella stessa conclusione assurda: lo stalinismo è criticato in molti modi, ma in ultima analisi viene considerato ancora “progressista”. I regimi stalinisti sono stati chiamati “Stati operai degenerati” o “Stati operai deformati”, dando ad intendere che il loro sistema socio-economico sia fondamentalmente buono, e che il problema si riduce semplicemente al fatto che sono stati fuorviati da una leadership politica corrotta che deve essere sostituita da una direzione corretta in stile Lenin e Trotsky. I Trotskisti non riescono a riconoscere l’origine dello stalinismo nelle pratiche autoritarie precedenti di Lenin e Trotsky e nella struttura gerarchica del Partito Bolscevico, che aveva già inaugurato il nuovo sistema di capitalismo di Stato ben prima che Stalin salisse al potere.

Va notato che nessuna di queste tendenze politiche ha molto a che fare con Marx, nonostante tutte quante si dichiarino Marxiste. Una delle ragioni per cui Ngo Van apprezzava Maximilien Rubel era perché quest’ultimo aveva dimostrato in modo convincente come il Leninismo ed il Trotskismo (per non parlare dello Stalinismo) divergevano considerevolmente dal reale punto di vista di Marx. Anche se Marx aveva avuto delle divergenze ben note con alcuni anarchici del suo tempo, la sua prospettiva era in realtà molto più vicina all’anarchismo rispetto a qualunque varietà di socialismo di Stato. Il predominio del “Marxismo” statalista durante il secolo scorso ha tentato di affogare le altre correnti del marxismo più vicine a Marx (e alle tendenze più coerenti dell’anarchismo), come Rosa Luxemburg, Anton Pannekoek, Karl Korsch, Socialisme ou Barbarie e l’Internazionale Situazionista.


NOTA

Nel luglio 1936 il generale fascista Francisco Franco (supportato da Hitler e Mussolini) lanciò una rivolta militare contro il governo neo-eletto del Fronte popolare. Quest’ultimo, temendo una vera e propria autonomia popolare, si era rifiutato di armare il popolo, consentendo così alle forze di Franco di prendere rapidamente il controllo di più della metà del paese. Non vedendo alternative, i lavoratori e i contadini di orientamento anarchico bypassarono il governo, sequestrarono le armi ed intrapresero loro stessi la battaglia contro Franco —  un processo che sfociò rapidamente in una rivoluzione sociale diffusa e molto radicale. Il Partito comunista spagnolo fece di tutto per soffocare e bloccare questa rivoluzione, in nome dell’unità nella lotta contro Franco (che alla fine prevalse in ogni caso, in parte a causa della demoralizzazione derivante dagli attacchi brutali da parte degli stalinisti contro la rivoluzione popolare). Per approfondire, il miglior documento di storia generale su questo argomento è La Guerra civile Spagnola di Burnett Bolloten. Vedere anche Sam Dolgoff (ed.), The Anarchist Collectives: Workers’ Self-Management in the Spanish Revolution 1936-1939.


Versione italiana di Note on Stalinism and Trotskyism per Ken Knabb (appendice al libro In the Crossfire di Ngo Van, 2010). Traduzione dall’inglese di Van Thuan Nguyen.

mercoledì 17 febbraio 2016

“Quando l’amore se ne va, è già partito da molto tempo”





“Quando l’amore se ne va, è già partito da molto tempo”.

Vi sembra di essere diventati adulti?
Brassens – Ahi, ahi, ahi!
Brel – A me no.
Ferré – A me nemmeno.

Brassens – Siamo rimasti tutti un po' indietro! Per diventare adulti, bisogna prestare il servizio militare, sposarsi, avere dei figli. Bisogna abbracciare una carriera, seguirla, salire di grado. È così che si diventa adulti... Noialtri conduciamo una vita un po' ai margini della vita normale, al di fuori della realtà. Non possiamo diventare adulti.

Forse perché non avete voluto adattarvi al sistema tradizionale?
Brel – O forse non abbiamo potuto!
Brassens – Perché non era nel nostro carattere adattarci a quel sistema, ecco. Non l'abbiamo fatto apposta. Non c'è nessuna vanteria nel dire che si è solitari. Si è così e basta.

Ferré – Si ricollega al bambino-poeta. Quando Brel canta senza ridere, e credendoci, quando dice quella cosa meravigliosa, «accenderò la mia chitarra, ci sembrerà di essere spagnoli», solo un bambino può dire una cosa del genere!

Brel – Certo. In fin dei conti è una questione di temperamento … Tutto sta nel sapere cosa si fa davanti a un muro: ci si passa a lato, ci si salta sopra, o si sfonda?

Brassens – Io, penso!

Brel – Io lo sfondo! Come dire, ho voglia di prendere un piccone …

Ferré – Io lo aggiro!

Brel – Sì ma il punto in comune è che tutti e tre, istantaneamente, abbiamo voglia di andare dall'altra parte del muro che s'innalza. Questa è l'unica cosa importante, ed è quello che prova che non siamo adulti. Che fa un tipo normale? Costruisce un altro muro davanti, ci mette sopra un tetto e si sistema. È quello che si chiama costruire! [risa].

Tutti voi, in un certo periodo della vostra vita, o ancora oggi, avete flirtato con i movimenti anarchici o libertari. Per Brassens è stato un momento, per Brel un soprannome, per Ferré si tratta di una causa militante ancora oggi, un pretesto per dei concerti quasi insurrezionali:

Ferré – No! Io non sono, non posso essere un militante. Non posso militare per un'idea, qualunque essa sia, perché altrimenti non sarei libero. E credo che Brassens e Brel siano come me, perché l’anarchia è innanzitutto la negazione di ogni autorità, da qualsiasi parte essa venga. All'inizio l'anarchia faceva paura alla gente, alla fine del XIX secolo, perché c'erano le bombe. Poi ha fatto ridere.
In seguito, la parola anarchia ha assunto un cattivo sapore in bocca alla gente. E poi, da qualche mese, in particolare da maggio in poi, le cose si sono rimesse al loro posto. Le assicuro che quando pronuncia la parola anarchia, o anarchici, anche sul palco, la gente non ride più, è d'accordo, e vuol sapere di cosa si tratta.

Brassens – L'anarchia è difficile da spiegare … Gli stessi anarchici fanno fatica  a spiegarla. Quando ero nel movimento anarchico – ci sono rimasto due o tre anni, facevo Le Libertaire nel '45-'46-'47, e non ho mai rotto completamente, ma in definitiva non milito più come prima – ciascuno aveva un'idea del tutto personale dell'anarchia. È proprio questo a essere esaltante nell'anarchia: non c'è un vero dogma. È una morale, un modo di concepire la vita, credo …

Brel – … E che accorda la priorità all'individuo!

Ferré – È una morale del rifiuto. Perché se nel corso dei millenni non ci fosse stato qualche energumeno a dire no, qualche volta, saremmo ancora sugli alberi!

Brel – Sono completamente d'accordo con quello che dice Léo. Detto questo, ci sono persone che non si sentono né sole né inadatte, e che trovano collettivamente la loro salvezza.

Brassens – Certamente. Per quanto mi riguarda non disapprovo mai nulla, le persone fanno più o meno quello che vogliono. Io sono d'accordo o non sono d'accordo, tutto qui. Per aver detto questo sono stato spesso rimproverato di non voler rifare la società. Il fatto è che non mi sento capace di farlo. Se avessi delle soluzioni collettive …

Brel – Ma chi, chi ha la soluzione collettiva?

Brassens – C'è chi pretende di averla. Ma nel mondo attuale, non sono in molti che sembrano possederla davvero … [risa] Io non so cosa si debba fare. Se lo sapessi, se fossi persuaso che girando a destra o a sinistra, facendo questo o quello  il mondo cambiasse, la sacrificherei, la mia piccola tranquillità! Ma non ci credo poi molto …

Léo Ferré?

Ferré – Io sono meno lirico rispetto a lui …

Brassens – … Tu, Léo, tu sei totalmente disperato!

Brel – C'è un fenomeno d'impotenza che è assolutamente terribile, davvero.


Quindi avete proprio l'impressione di non poter fare nulla?

Brassens – No, io faccio qualcosa per i miei vicini, per i miei amici, nei miei limiti. Penso d'altra parte che valga tanto quanto se militassi in un posto qualsiasi … Non sparare sulla Croce Rossa è una forma di impegno come un'altra.

Ferré – Trovo che Georges, nel suo cuore, militi molto più di me. Perché io non credo più a parecchie delle cose a cui voglio credere.

Brassens – Faccio finta, Léo. Faccio come quando l'amore se ne va. Faccio finta di crederci, e questo lo fa durare ancora un po’ ...

Ferré – No, no. Quando l’amore se ne va, è già partito da molto tempo.


domenica 14 febbraio 2016

IL FESTIVAL COME FESTA DELLA MISTIFICAZIONE








 IL FESTIVAL COME FESTA DELLA MISTIFICAZIONE
Ludd - dattiloscritto - proposta di un intervento contro il Festival della canzone di San Remo -  1970?

1- L'ideologia che diventa mitologia

Il festival è un "avvenimento" troppo importante nella liturgia della vostra vita borghese, abbarbicata ai miti che vi vengono quotidianamente somministrati, perché non si colga l'occasione per porvi di fronte alla miseria del vostro essere ed agire quotidiano. La vostra falsa coscienza (che è quella di noi tutti: vi odiamo perché purtroppo ci riconosciamo in voi) non può essere così profondamente deformata da non giungere al punto di esplosione quando l'ideologia della società borghese vi viene propinata a dosi così massicce; cioè ad un tale punto di concentrazione da degradare in mitologia. Noi non crediamo che i falsi contenuti che vi vengono trasmessi in questi riti barbarici non possano rivelare il loro vero scopo, quando ciò comporta, come nel Festival della Canzone, il regredire della vostra coscienza a livelli primordiali.

2 - IL FESTIVAL: CELEBRAZIONE DELL'ORDINE ESISTENTE

È ormai entrato nella coscienza comune che queste rappresentazioni hanno uno scopo fondamentale nel trarre profitto da quella che pare una epidemica esaltazione collettiva: la musica sotto forma di canzone a largo consumo. Questo è effettivamente un aspetto importante del fenomeno: gli enormi profitti che le case discografiche ricavano dal vostro gradimento verso questo spettacolo (gradimento organizzato attraverso la potenza dei mezzi di comunicazione di massa), costituisce un esempio macroscopico dello spreco materiale organizzato, caratteristico della società capitalista. Ma strettamente intessuto ad esso fino a passare inosservato, vi è l'aspetto più rilevante in quanto contiene i veri significati di questo cerimoniale, così assurdo che ad un livello superficiale si contesta da sé.
Ad un livello più profondo, il vero fine di questo tipo di rappresentazioni ( che è anche il mezzo attraverso cui si realizzano) è quello di far guadagnare alla società esistente il vostro consenso, non cosciente, attraverso la partecipazione consapevole o meno di un gigantesco rito orgiastico che si presenta esso stesso come una enorme positività che riesce a nascondere e a far passare in secondo piano ogni aspetto della realtà negatore dell'ordine esistente.

3 - Il Festival: rappresentazione burocratica della "festa"

Il festival è una celebrazione dell'enorme passività individuale e collettiva che caratterizza il fondamento della società capitalistica. Il vostro assistere a simili messe nere su scala allargata ha il significato di una accettazione ed esaltazione della vostra personale passività; questa viene alimentata attraverso una mistificazione di fondo: il Festival, come ogni altro rito di questo tipo, mistifica quella che è una delle più genuine e spontanee creazioni dell'attività umana, la "festa". Questo è il momento in cui si estrinseca oltre ogni limite la capacità degli individui di stringere rapporti fra di loro in una dimensione ludica, cioè fine a se stessa, che prescinde da ogni costrizione derivante dal vivere nel mondo delle necessità; cioè la "festa" come avvenimento in cui si concretizza la libera scelta come dimensione fondamentale dell'attività umana.
Ora il Festival è un esempio tipico di come nella società capitalista i rapporti umani vengano sostituiti da rappresentazioni di essi, immagini farsesche in cui gli individui e i gruppi agiscono secondo regole stabilite al di fuori di loro stessi, agiscono cioè in un rapporto burocratico fra di loro e di fronte agli altri. Quindi voi tutti partecipando direttamente o indirettamente al Festival attuate di fronte agli altri e specialmente di fronte a voi stessi una rappresentazione mistificata della "festa" secondo comportamenti già decisi in partenza da altri, rappresentazione che non ha altro contenuto se non quello di celebrazione della passività generale che ha il suo momento più alto nell'accettazione dell'ordine sociale esistente e nel conseguente asservimento ad esso.

4 - Il Festival: festa del divismo

I personaggi che sono chiamati a mimare di fronte a voi la "festa" sono i divi (della canzone in questo caso). Essi rappresentano la vostra rinuncia a possedere qualsiasi qualità autonoma per una identificazione con i personaggi che vi sfilano davanti, i quali si pongono di fronte a voi con una personalità standardizzata e positiva. Ma questa positività ha un significato solo nella società capitalistica: l'aggressività, la disinvoltura, la spregiudicatezza sono tutte qualità che vi vengono esposte attraverso la loro personificazione nei divi e che hanno un solo significato: rendono possibile l'accesso ai due valori positivi fondamentali, IL POTERE ED IL CONSUMO, che sono alla base dell'ideologia di una società burocratica e mercificante. Una tale società ha quindi come esigenza VITALE che ognuno si conformi a questi miti, che ognuno assuma la qualità di burocrate e consumatore. 

 

venerdì 12 febbraio 2016

Al di là del voto - È doloroso sottomettersi ai nostri capi, è ancora più stupido sceglierli!



LIMITI DELLA POLITICA ELETTORALE

In linea generale possiamo distinguere grossomodo cinque gradi di “governo”:
(1) Libertà senza restrizioni
(2) Democrazia diretta
____ A) consenso
____ B) decisione maggioritaria
(3) Democrazia delegativa
(4) Democrazia rappresentativa
(5) Dittatura evidente di una minoranza

La società attuale oscilla tra (4) e (5), cioè tra il governo sfacciatamente palese di una minoranza e il dominio segreto di una minoranza mascherato da una facciata di democrazia simbolica. Una società liberata eliminerebbe (4) e (5) e ridurrebbe progressivamente la necessità di (2) e (3). . .
Nella democrazia rappresentativa le persone abdicano al loro potere rinunciando ad esso in favore di funzionari eletti. I programmi dei candidati si limitano ad alcune vaghe generalità, e una volta che vengono eletti c’è poco controllo sulle loro decisioni, a parte la possibilità di cambiare il voto qualche anno più tardi scegliendo un altro politico rivale, che peraltro sarà ugualmente incontrollabile. I rappresentanti dipendono dai ricchi a causa delle tangenti e dei contributi che ricevono per le loro campagne elettorali. Essi sono subordinati ai detentori dei mass media che decidono cosa può e cosa non può essere divulgato; e sono allo stesso modo ignoranti e impotenti quasi quanto il grande pubblico, riguardo a molte questioni importanti che vengono determinate da burocrati non eletti e da agenzie segrete indipendenti ed incontrollabili. I dittatori palesemente dichiarati possono talvolta essere rovesciati, ma i veri leaders dei regimi “democratici”, i membri della minuscola minoranza che possiede e controlla praticamente tutto, non vengono mai eletti né vengono mai messi in discussione per via elettorale.. La maggior parte delle persone non sa nemmeno chi siano. . .
Di per sé, la scelta di votare o non votare non ha grande importanza (coloro che danno troppo peso all’astensionismo e al rifiuto di votare e che ne fanno una questione cruciale di principio, rivelano solamente il loro proprio feticismo). Ma il vero problema è che se si prende troppo sul serio la questione del voto, si contribuisce a calmare e ad addormentare le persone, inducendole in una forma di dipendenza passiva, poiché esse tenderanno a prendere l’abitudine di affidarsi ad altri che agiscano al loro posto, e ciò distoglierà la loro attenzione da possibilità più interessanti e significative. Un po’ di persone che prendono alcune iniziative creative (ripensiamo per esempio ai primi sit-ins per i diritti civili) possono in definitiva ottenere dei risultati molto maggiori e molto più importanti di quelli che avrebbero ottenuto se avessero dedicato le loro energie sostenendo la campagna elettorale per promuovere dei politici meno cattivi considerati apparentemente come il "male minore". Nella migliore delle ipotesi, i legislatori raramente fanno qualcosa di più di quello che sono stati costretti a fare sotto la pressione dei movimenti popolari. Un regime conservatore sotto la pressione di movimenti radicali indipendenti spesso concede di più rispetto a un regime progressista che sa di poter contare sul sostegno dei radicali. (La guerra del Vietnam, per esempio, terminò non per via dell’elezione di politici contro la guerra, ma perché c’era molta pressione da così tante direzioni differenti che alla fine il presidente pro-guerra Nixon fu costretto a ritirare le truppe.) Se la gente continuerà immancabilmente a radunarsi con l’intento di schierarsi col male minore, allora tutto ciò che i leaders dovranno fare, in una qualsiasi situazione critica che potrebbe minare e mettere a rischio il loro potere, sarà semplicemente evocare la minaccia di qualche male maggiore.
Anche nei rari casi in cui un politico “radicale” ha una possibilità realistica di vincere le elezioni, tutti i tediosi sforzi di migliaia di persone durante la campagna elettorale possono andare in fumo in un solo istante a causa di qualche banale scandalo scoperto nella sua vita privata, oppure perché inavvertitamente dice qualcosa di intelligente. Se in qualche modo riuscisse ad evitare queste trappole e se la sua vittoria dovesse apparire possibile, tenderà naturalmente ad eludere le questioni controverse per paura di inimicarsi gli elettori indecisi. E se davvero venisse eletto, non si troverà quasi mai nella posizione di realizzare le riforme che aveva promesso, tranne forse dopo anni di intrallazzi con i suoi nuovi colleghi; che gli daranno una buona scusa per considerare come sua priorità primaria il fatto di dover accettare qualsiasi compromesso necessario per mantenere il potere il più a lungo possibile e rimanere in carica a tempo indeterminato. Intrattenendosi e socializzando con i ricchi e i potenti, svilupperà nuovi interessi e nuovi gusti, che giustificherà dicendo a se stesso di meritarsi qualche piccolo beneficio e compensazione dopo tanti anni di duro lavoro sacrificati per una buona causa. La cosa peggiore è che se alla fine riuscisse a far approvare alcune misure “progressiste”, questo successo inconsueto, e nella maggior parte dei casi insignificante, verrà presentato come una prova evidente dell’efficacia della politica elettorale, convincendo così molte persone a sprecare le loro energie in altre campagne elettorali simili che verranno.
Come diceva un graffito del maggio del ’68: “È doloroso sottomettersi ai nostri capi, è ancora più stupido sceglierli!”
[Estratti da “La Gioia della Rivoluzione” di Ken Knabb]

ALCUNI CHIARIMENTI (versione 2008)

La mia intenzione nel far circolare queste osservazioni non è quella di scoraggiarvi dall’ andare a votare o di dissuadervi dal partecipare alla campagna elettorale, ma è per incoraggiarvi ad andare oltre.
Come molte altre persone, sono lieto di vedere i Repubblicani collassare in una ben meritata ignominia, unitamente alla probabilità dei Democratici di riprendersi la presidenza e aumentare la loro maggioranza al Congresso. Speriamo che questi ultimi sospendano o almeno attenuino l’impatto di alcune delle politiche più folli adottate dall’attuale amministrazione (alcune delle quali, come quelle sul cambiamento climatico e sulla devastazione ecologica, minacciano di diventare irreversibili).
Ma al di là di questo, non mi aspetto che i politici Democratici combinino nulla di veramente significativo. La maggior parte di loro sono altrettanto corrotti e compromessi quanto i Repubblicani. Anche se alcuni di loro sono onesti e hanno buone intenzioni, in ogni caso sono tutti fedeli servitori del sistema economico dominante, e in ultima analisi funzionano tutti come ruote dentate e ingranaggi all’interno della macchina politica assassina che serve a difendere quel sistema.

Ho considerevole rispetto e simpatia per le persone che si battono per il Partito Democratico e che simultaneamente tentano di rinvigorirlo e democratizzarlo. Lì sono presenti elementi di un reale movimento di base che parallelamente si sta sviluppando insieme alla notevole crescita della blogosfera liberal-radicale negli ultimi anni.
Ma immaginate se quella stessa quantità immensa di energia da parte di milioni di persone venisse impiegata in agitazioni radicali più dirette, piuttosto che (o in aggiunta a) limitarsi a campagne elettorali in favore di milionari rivali. Come effetto collaterale, tale agitazione metterebbe i reazionari sulla difensiva ed effettivamente porterebbe all’elezione di più “progressisti”. Ma soprattutto, cambierebbe l’impeto e il terreno della lotta.

Se riponete tutte le vostre energie nel tentativo di rassicurare gli elettori indecisi che il vostro candidato è “pienamente impegnato a combattere la Guerra contro il Terrorismo”, ma che ha concluso con rammarico che dobbiamo ritirarci dall’Iraq, perché “i nostri sforzi per promuovere la democrazia” non hanno funzionato, alla fine potreste aver guadagnato qualche voto, ma non avrete ottenuto nulla in termini di sensibilizzazione e coscienza politica.

Al contrario, se convincete le persone che la guerra in Iraq è allo stesso tempo sia malvagia che stupida, non solo esse tenderanno a votare per i candidati che sono contro la guerra, ma probabilmente inizieranno a porsi delle domande mettendo in discussione altri aspetti del sistema sociale. Cosa che potrà spingerli a contestare tale sistema in modi più concreti e partecipativi. (Se volete qualche esempio, guardate la ricca varietà di tattiche usate in Francia due anni fa.)

La parte che prende l’iniziativa di solito vince perché definisce i termini della lotta. Se accettiamo le stesse condizioni del sistema e ci limitiamo a reagire in maniera difensiva ad ogni nuovo disastro da esso prodotto, non riusciremo mai ad oltrepassarlo. Dobbiamo continuare ad opporre resistenza a particolari mali, ma dobbiamo anche riconoscere che il sistema continuerà a generare nuovi mali finché non metteremo noi fine al sistema.

Ad ogni modo, se ne sentite il bisogno, votate pure. Ma non fermatevi lì. Un reale cambiamento sociale richiede partecipazione, non rappresentanza.

UFFICIO DEI SEGRETI PUBBLICI
Ottobre 2008

ALCUNI CHIARIMENTI (versione 2010)

La mia intenzione nel far circolare queste osservazioni non è quella di scoraggiarvi dall’ andare a votare o di dissuadervi dal partecipare alla campagna elettorale, ma è per incoraggiarvi ad andare oltre.
Due anni fa scrissi:
Come molte altre persone, sono lieto di vedere i Repubblicani collassare in una ben meritata ignominia, unitamente alla probabilità dei Democratici di riprendersi la presidenza e aumentare la loro maggioranza al Congresso. Speriamo che questi ultimi sospendano o almeno attenuino l’impatto di alcune delle politiche più folli adottate dall’attuale amministrazione (alcune delle quali, come quelle sul cambiamento climatico e sulla devastazione ecologica, minacciano di diventare irreversibili).
Ma al di là di questo, non mi aspetto che i politici Democratici combinino nulla di veramente significativo. La maggior parte di loro sono altrettanto corrotti e compromessi quanto i Repubblicani. Anche se alcuni di loro sono onesti e hanno buone intenzioni, in ogni caso sono tutti fedeli servitori del sistema economico dominante, e in ultima analisi funzionano tutti come ruote dentate e ingranaggi all’interno della macchina politica assassina che serve a difendere quel sistema.
Non credo di aver bisogno di rimangiarmi nemmeno una parola di quello che scrissi. I Democratici hanno effettivamente riconquistato la presidenza e aumentato la loro maggioranza al Congresso, ma da allora i risultati da loro ottenuti sono stati patetici come si sarebbe potuto immaginare. Alcune persone diranno che rimangono ancora accettabili e che comunque sono sempre meglio dei Repubblicani. Ma essere “meglio” di un partito di demagoghi sociopatici e ignoranti creduloni, difficilmente lo si può considerare come un grande raggiungimento. E, ancora peggio, essere talmente patetici da rischiare di venire sconfitti da un tale partito, sarebbe il colmo.
Nel corso degli ultimi due anni, abbiamo visto cosa succede quando ci affidiamo a dei rappresentanti politici lasciando che essi agiscano al nostro posto. Se il movimento contro la guerra e altre correnti più o meno progressiste avessero dedicato ad agitazioni radicali più dirette anche solo una piccola frazione dell’immensa quantità di tempo e di energie che hanno investito in campagne elettorali, oggi la situazione sarebbe molto diversa. Come effetto collaterale, un’agitazione radicale diretta di questo tipo avrebbe realmente portato all’elezione di più progressisti. Ma soprattutto, avrebbe modificato la dinamica e il terreno della lotta. I politici progressisti, messi sotto pressione, sarebbero stati costretti ad attuare concretamente alcuni cambiamenti significativi (come, per esempio, porre fine alle guerre e inaugurare un sistema di assistenza sanitaria gratuita per tutti) che avrebbero rinvigorito la loro base mettendo le forze reazionarie sempre più sulla difensiva. E questo cambiamento di dinamica avrebbe potuto ispirare delle azioni e aspirazioni ancora più radicali — non solo limitandosi a protestare contro questa o quella particolare ingiustizia, ma sfidando e rimettendo totalmente in discussione l’intera struttura di questo sistema sociale assurdo e anacronistico.
La parte che prende l’iniziativa di solito vince perché definisce i termini della lotta. Se accettiamo le stesse condizioni del sistema e ci limitiamo a reagire in maniera difensiva ad ogni nuovo disastro da esso prodotto, non riusciremo mai ad oltrepassarlo. Dobbiamo continuare ad opporre resistenza a particolari mali, ma dobbiamo anche riconoscere che il sistema continuerà a generare nuovi mali finché non metteremo noi fine al sistema.

Ad ogni modo, se ne sentite il bisogno, votate pure. Ma non fermatevi lì. Un reale cambiamento sociale richiede partecipazione, non rappresentanza.

UFFICIO DEI SEGRETI PUBBLICI
Ottobre 2010

ALCUNI CHIARIMENTI (versione 2012)

La mia intenzione nel far circolare queste osservazioni non è quella di scoraggiarvi dall’ andare a votare o di dissuadervi dal partecipare alla campagna elettorale, ma è per incoraggiarvi ad andare oltre.
Nell’ottobre del 2008 scrissi:
Come molte altre persone, sono lieto di vedere i Repubblicani collassare in una ben meritata ignominia, unitamente alla probabilità dei Democratici di riprendersi la presidenza e aumentare la loro maggioranza al Congresso. Speriamo che questi ultimi sospendano o almeno attenuino l’impatto di alcune delle politiche più folli adottate dall’attuale amministrazione (alcune delle quali, come quelle sul cambiamento climatico e sulla devastazione ecologica, minacciano di diventare irreversibili).
Ma al di là di questo, non mi aspetto che i politici Democratici combinino nulla di veramente significativo. La maggior parte di loro sono altrettanto corrotti e compromessi quanto i Repubblicani. Anche se alcuni di loro sono onesti e hanno buone intenzioni, in ogni caso sono tutti fedeli servitori del sistema economico dominante, e in ultima analisi funzionano tutti come ruote dentate e ingranaggi all’interno della macchina politica assassina che serve a difendere quel sistema.
Nell’ottobre del 2010 aggiunsi:
Non credo di aver bisogno di rimangiarmi nemmeno una parola di quello che scrissi. I Democratici hanno effettivamente riconquistato la presidenza e aumentato la loro maggioranza al Congresso, ma da allora i risultati da loro ottenuti sono stati patetici come si sarebbe potuto immaginare. Alcune persone diranno che rimangono ancora accettabili e che comunque sono sempre meglio dei Repubblicani. Ma essere “meglio” di un partito di demagoghi sociopatici e di ignoranti creduloni, difficilmente lo si può considerare come un grande raggiungimento. E, ancora peggio, essere talmente patetici da rischiare di venire sconfitti da un tale partito, sarebbe il colmo.
Nel corso degli ultimi due anni, abbiamo visto cosa succede quando ci affidiamo a dei rappresentanti politici lasciando che essi agiscano al nostro posto. Se il movimento contro la guerra e altre correnti più o meno progressiste avessero dedicato ad agitazioni radicali più dirette anche solo una piccola frazione dell’immensa quantità di tempo e di energie che hanno investito in campagne elettorali, oggi la situazione sarebbe molto diversa. Come effetto collaterale, un’agitazione radicale diretta di questo tipo avrebbe realmente portato all’elezione di più progressisti. Ma soprattutto, avrebbe modificato la dinamica e il terreno della lotta. I politici progressisti, messi sotto pressione, sarebbero stati costretti ad attuare concretamente alcuni cambiamenti significativi (come, per esempio, porre fine alle guerre e inaugurare un sistema di assistenza sanitaria gratuita per tutti) che avrebbero rinvigorito la loro base mettendo le forze reazionarie sempre più sulla difensiva. E questo cambiamento di dinamica avrebbe potuto ispirare delle azioni e aspirazioni ancora più radicali — non solo limitandosi a protestare contro questa o quella particolare ingiustizia, ma sfidando e rimettendo totalmente in discussione l’intera struttura di questo sistema sociale assurdo e anacronistico.
Un anno dopo la comparsa del movimento Occupy — un movimento di azione diretta partecipativa che in poche settimane ha davvero “modificato la dinamica e il terreno della lotta,” dando un nuovo orientamento al discorso pubblico nella misura in cui avevo immaginato e molto più efficientemente e più rapidamente di quanto avessi osato sperare. Nonostante la repressione della polizia e la distruzione di quasi tutti gli accampamenti, lo stesso spirito persiste e continua a vivere in innumerevoli raduni e azioni ancora in corso che stanno avendo luogo attualmente in tutto il paese, anche se negli ultimi mesi questi sono stati in gran parte eclissati dallo spettacolo elettorale.
All’inizio, le assemblee del movimento Occupy hanno preferito focalizzarsi sulle azioni dirette piuttosto che sulla politica elettorale, sottolineando ripetutamente la complicità dei due principali partiti politici con il sistema economico dominante.
Tuttavia, come avevo già previsto, il movimento ha avuto, come effetto collaterale, il merito di aver influenzato le elezioni verso una direzione più radicale. Il suo comunitarismo gioioso ha danneggiato ed indebolito la retorica meschina dei discorsi dei Repubblicani, ed il suo slogan “noi siamo il 99%” ha spostato il dibattito pubblico su un terreno molto più favorevole ai Democratici.
Anche se il Partito Democratico, e i sindaci Democratici in particolare, si sono spudoratamente opposti agli accampamenti di Occupy in una maniera vergognosa e ostile, tuttavia molti dei partecipanti del movimento Occupy senza dubbio voteranno comunque per i Democratici reputandoli come un male minore, allo stesso modo di altri che potrebbero fare un voto di protesta o astenersi e non votare affatto. Il punto è che, qualunque sia stata la loro scelta, la loro recente esperienza li ha resi tutti consapevoli del fatto che la politica elettorale è, nella migliore delle ipotesi, solo un aspetto della lotta sociale e che, in fin dei conti, l’azione sperimentale, creativa e diretta è molto più efficace — e anche molto più divertente!

In ogni caso, non penso che questa sia una questione aut-aut e che una cosa debba per forza escludere l’altra. Votare per dei candidati meno malvagi non preclude allo stesso tempo la possibilità di lavorare attivamente anche per obiettivi più radicali. I problemi sorgono quando gli attivisti rimangono bloccati in posizioni rigide e unilaterali — quando i radicali diventano così fissati con la loro purezza ideologica da rifiutare qualsiasi accenno di “riformismo”, ignorando le differenze significative che ci possono essere tra le diverse politiche e i diversi politici; oppure quando gli elettori rimangono talmente affascinati dallo spettacolo elettorale che finiscono per affidarsi alle stars della politica, lasciando che siano esse ad agire al loro posto e a definire i limiti di ciò che è “possibile”.

Personalmente, per quanto io provi disgusto per il Partito Democratico, spero sinceramente che possa battere i Repubblicani il prossimo novembre. Il Partito Repubblicano era piuttosto pessimo già da alcuni decenni, ma negli ultimi 12 anni è diventato così deliberatamente ignorante e infantile da rifiutare sistematicamente qualsiasi risposta razionale ai gravi problemi epocali che dobbiamo affrontare. Se, come si dice da noi, entrambe le parti non stanno facendo altro che cambiare la disposizione delle sedie a sdraio sul Titanic, la differenza è che i Democratici si accontentano di temporeggiare perché temono che potrebbe essere troppo complicato rallentare la nave o cambiare direzione, mentre i Repubblicani gridano a squarciagola che l’iceberg è un’illusione ed esortano a proseguire dritto avanzando alla massima velocità. Nessuno dei due potrà salvare la nave, ma chi preferireste avere al timone mentre tentate di risvegliare i passeggeri stimolandoli a ribellarsi attraverso un ammutinamento collettivo?

Fortunatamente, il Partito Repubblicano sembra che stia pagando il prezzo per la sua lunga accumulazione di menzogne e inganni. Mentre i suoi componenti in opposizione tra loro sono lacerati e divisi da reciproche recriminazioni, i suoi aspetti più deliranti e ripugnanti stanno salendo in superficie e stanno diventando evidenti a chiunque, compresi molti di coloro che precedentemente erano stati ingannati da esso.

Nel migliore dei casi, se i Democratici stravinceranno le elezioni sbaragliando gli avversari, e se il Partito Repubblicano continuerà a frantumarsi e ad auto-distruggersi, questo sarà solo un inizio. Il sistema starà ancora lì al suo posto e i politici Democratici continueranno a restare al soldo dei loro padroni. Ma ritengo che sarebbe meglio se li combattessimo direttamente, evitando la minaccia costante di un’alternativa “ancora peggiore”.

UFFICIO DEI SEGRETI PUBBLICI
27 Settembre, 2012


Versione italiana di Beyond Voting, traduzione dall’inglese di Van Thuan Nguyen.
No copyright.
La prima parte di questo testo è stata largamente diffusa via email e pubblicata durante le elezioni americane del 2000, 2002, 2004, 2006, 2008, 2010 e 2012. I "Chiarimenti" sono stati aggiunti nella mailing del 2006, che sono stati leggermente aggiornati per l’invio del 2008, e rivisti nuovamente per le spedizioni del 2010 e del 2012.



Riformismo e politica elettorale



[“Quindi ti stai battendo per il giorno della rivoluzione che arriverà quando aboliremo la rappresentanza politica e la proprietà privata, e nel frattempo sostieni che sia inutile spingere per un sistema di autentiche iniziative elettorali all'interno del contesto attuale?”]
Non sto dicendo che questi sforzi siano inutili e che non meritino di essere intrapresi con impegno e dedizione. Sto semplicemente sottolineando che, di per sé, tali cambiamenti non sono sufficienti. Nel secondo capitolo di The Joy of Revolution ho cercato di esaminare i pro e i contro delle varie tipologie di progetti riformisti. Con il rischio di semplificare eccessivamente, posso riassumere dicendo che (1) è necessario lavorare per delle riforme (o miglioramenti), e (2) le riforme da sole non sono sufficienti. Alcune riforme sono relativamente chiare, altre sono più dubbie perché implicano il proprio coinvolgimento in molti compromessi, la maggior parte sono una miscela complessa. Bisogna decidere dove si vuole mettere la propria energia, considerando sia le proprie passioni sia il proprio giudizio su come alcune particolari questioni siano collegate alla società e alle lotte sociali nel loro complesso.
Presto invierò alcuni estratti da quel capitolo relativo alla politica elettorale. Si noti che anche se la mia tendenza generale è piuttosto anti-elettorale, tuttavia non è così estremamente rigida ed assoluta (come invece lo è la tipica linea politica degli anarchici). Non sto dicendo di Non Votare, o di Non fare campagna elettorale a favore di questioni “progressiste” o di politici “progressisti”. Sto semplicemente dicendo: Sappiate quello che state facendo, siate consapevoli degli svantaggi così come dei vantaggi di qualunque azione voi stiate intraprendendo; e siate inoltre coscienti del fatto che ci sono molte altre tattiche, alcune delle quali possono essere più efficaci e più sane (perché sono più dirette e meno sovraccariche di ipocrisia ecc.). . . . Finché enormi differenze economiche continueranno ad esistere nella società nel suo insieme (affinché i milionari possano manipolare le opinioni del pubblico attraverso la pubblicità, o influenzare i funzionari eletti in modo da evitare che una determinata misura venga applicata anche se è già stata approvata ecc.) , di solito non farà molta differenza se alle persone verranno forniti dei gettoni “opportunità” per votare su qualche questione in più.
[Risposta ad un corrispondente deluso per il mio messaggio pre-elettorale sui limiti della politica elettorale: “Comprendo i limiti del processo elettorale, ma protendere così a sinistra tanto da essere lasciati fuori, non è un'opzione. I ricchi stanno usando il processo elettorale per metterci sotto ancora e ancora: a San Francisco abbiamo le proposizioni R, N e A, e noi DOBBIAMO uscire e votare contro di esse o altrimenti si scatenerà l'inferno e ce la faranno pagare cara il giorno dopo. Quindi, l'invio di una e-mail che ci dà 5 buoni motivi per starsene a casa buttando via così i nostri voti, è una mossa piuttosto imprudente, non importa quanto faccia sentire fighi ed informati. Risparmiatela pure per dopo che saremo usciti fuori tutti quanti e avremo votato per salvare la nostra pellaccia ancora una volta.”]
Credo che nella mia dichiarazione non ci sia scritto da nessuna parte di “Non votare.”  Al contrario, mi sono esplicitamente (anche se brevemente) dissociato dalla tipica posizione anarchica (che è infatti quella di sollecitare la gente a non votare). Ho semplicemente fatto notare i limiti del mettere tutte le tue uova in questo paniere estremamente truccato, che è proprio uno dei principali modi in cui l'attenzione della gente viene deviata da altre tattiche e possibilità.
Per favore, tieni presente, inoltre, che il messaggio che ho spedito conteneva solo pochi estratti presi da un testo molto più lungo, The Joy of Revolution. Ecco un altro brano dal Capitolo 2 di quel testo:
In nome del realismo, i riformisti si limitano a perseguire obiettivi "vincenti", ma anche quando riescono ad ottenere qualche piccolo aggiustamento nel sistema, di solito questo è compensato da qualche altro sviluppo ad un altro livello. Questo non significa che le riforme siano irrilevanti, ma che sono semplicemente insufficienti. Dobbiamo continuare a resistere a particolari mali, ma dobbiamo anche riconoscere che il sistema continuerà a generarne di nuovi finché non metteremo fine a tutto questo. Supporre che una serie di riforme possa alla fine costituire un cambiamento qualitativo, è come pensare di poter attraversare un baratro di dieci piedi facendo una serie di saltelli di un piede.
Le questioni sociali sono interconnesse in maniera complessa. Le persone devono essere incoraggiate ad esaminare attentamente queste interrelazioni, e pensare ed agire per se stesse invece di limitarsi a reagire a un continuo susseguirsi di "questioni urgenti" che lo spettacolo gli presenta davanti, sennò il sistema non potrà mai essere cambiato.
KEN KNABB
Ottobre 2002


Versione italiana di Reformism and Electoral Politics, traduzione dall’inglese di Van Thuan Nguyen.
No copyright.