domenica 28 febbraio 2016

500 milioni di amici




 “Fantozzi, lei ritiene di soffrire di un complesso d’inferiorità?
Si rassicuri: non è così, lei è effettivamente inferiore”


Facebook non cela in alcun modo la propria natura: è un album di facce.
Come Twitter è una rete di pigolii, di squittii all’interno della voliera sociale.
Eredi degni della televisione che aveva degradato in platea quel che mai si sarebbe creduto potesse precipitare più in basso, vale a dire la società, hanno portato platea e palcoscenico a divenire un tutt’uno.
Se prima si stava tutti parallelamente schierati a contemplare le immagini socialmente promosse, oggi ci si rispecchia nelle rispettive immagini, ciascuno alimentando lo spettacolo sociale con i propri stessi contenuti.
Si badi bene, questo era sempre stato vero, ma gli organi di controllo provvedevano a filtrare questi materiali, in cui si temeva fossero sedimentate ancora troppe particelle virali di ciò che più di ogni altra cosa il potere teme, vale a dire il giudizio autonomo di ciascuno.
Oggi non solo l’attività degli individui non viene più percepita come pericolosa ma anzi si sollecita in ogni modo la loro attività di criceti sulla ruota, perché, compiuta la socializzazione forzata dell’esistente, la minaccia al sistema non deriva più dall’attività dei viventi, ma dalla loro inerzia, dalla loro diserzione, dalla loro passività.
D’altronde, poiché il mondo nel suo insieme appare ogni giorno più ripugnante, questi strumenti di socializzazione autogestita ed etero diretta, rispondono a un’esigenza non ancora azzerata; quello di trovare nell’immensa massa compatta di sconosciuti che ci accerchia, persone che, almeno per alcuni tratti, ci somiglino e ci corrispondano. 
Tramite i vari strumenti di internet, chiunque, il più bizzarro degli individui, può scoprire un simile, un affine, un “amico”. 
E può parallelamente isolarsi e separarsi dai dissimili, dagli opposti, dai nemici. Può edificare un universo di relazioni su misura, affrancandosi dal peso, dall’ingombro, dall’indiscrezione dei corpi, accedendo alla comunità dei puri spiriti: un ben confortevole paradiso, dove ciascuno può suonare comodamente l’arpa rivolto verso l’immagine di sé stesso.
D’altronde sono molti coloro che si ritraggono, che rifuggono, che si auto esiliano da questi universi, alcuni per motivi futili, ma alcuni portando belle e lucenti argomentazioni: ma così facendo non vanno oltre la condizione , già ampiamente conosciuta e studiata e individuata come vana, di chi non possiede la tv (a volte neppure il computer o il telefono cellulare) o di chi ad esempio si astiene dal voto. Tutti quanti illudendosi che la loro assenza verrà notata, percepita, commentata. Laddove viceversa si limiterà ad aggiungere una sfumatura ulteriore al grigiore dell’irrilevanza di ciascuno, sia che metta in circolo le proprie trovate in rete, sia che se ne astenga.
Internet, e le sue articolazioni interattive, non è stata ideata per perfezionare ulteriormente l’alienazione sociale: ma, (un po’ come l’eroina, che fu creata per salvare dalla dipendenza i morfinomani), semmai, per vendere strumenti capaci di alleviare l’isolamento e l’alienazione sociale, per offrire alle vittime del sistema una consolazione: e non si può negare che ha saputo svolgere discretamente il proprio compito, di rendere commestibile e perfino, per molti, appetibile, una condizione che, guardata nel suo dispiegarsi oggettivo, chiunque definirebbe insopportabile.
Il punto è che la critica dell’alienazione, che necessariamente deve sottrarsi all’uso di strumenti alienati, è molto più difficile da praticare di quanto appaia a tanti volenterosi critici della vita quotidiana.
Perché l’alienazione non è una percezione pervertita della realtà, ma essa stessa una realtà pervertita. 
A differenza dei nostri antenati di appena qualche secolo orsono, noi viviamo in un mondo di cui non sappiamo maneggiare gli strumenti che in minima parte. Quasi tutti gli strumenti che utilizziamo, non solo non sapremmo costruirli materialmente, ma neppure ne conosciamo i principi basilari di funzionamento: è questo dato di fatto che ci socializza volenti o nolenti: che è dalla società che riceviamo pressoché la totalità di ciò che ci garantisce la sopravvivenza: come stupirci se reclamiamo dalla società anche la creazione, la gestione, la manutenzione delle nostre relazioni?
Come Fantozzi, siamo effettivamente inferiori. Anders, d’altronde, ce l’aveva ben detto.

Paolo Ranieri