venerdì 12 febbraio 2016

Al di là del voto - È doloroso sottomettersi ai nostri capi, è ancora più stupido sceglierli!



LIMITI DELLA POLITICA ELETTORALE

In linea generale possiamo distinguere grossomodo cinque gradi di “governo”:
(1) Libertà senza restrizioni
(2) Democrazia diretta
____ A) consenso
____ B) decisione maggioritaria
(3) Democrazia delegativa
(4) Democrazia rappresentativa
(5) Dittatura evidente di una minoranza

La società attuale oscilla tra (4) e (5), cioè tra il governo sfacciatamente palese di una minoranza e il dominio segreto di una minoranza mascherato da una facciata di democrazia simbolica. Una società liberata eliminerebbe (4) e (5) e ridurrebbe progressivamente la necessità di (2) e (3). . .
Nella democrazia rappresentativa le persone abdicano al loro potere rinunciando ad esso in favore di funzionari eletti. I programmi dei candidati si limitano ad alcune vaghe generalità, e una volta che vengono eletti c’è poco controllo sulle loro decisioni, a parte la possibilità di cambiare il voto qualche anno più tardi scegliendo un altro politico rivale, che peraltro sarà ugualmente incontrollabile. I rappresentanti dipendono dai ricchi a causa delle tangenti e dei contributi che ricevono per le loro campagne elettorali. Essi sono subordinati ai detentori dei mass media che decidono cosa può e cosa non può essere divulgato; e sono allo stesso modo ignoranti e impotenti quasi quanto il grande pubblico, riguardo a molte questioni importanti che vengono determinate da burocrati non eletti e da agenzie segrete indipendenti ed incontrollabili. I dittatori palesemente dichiarati possono talvolta essere rovesciati, ma i veri leaders dei regimi “democratici”, i membri della minuscola minoranza che possiede e controlla praticamente tutto, non vengono mai eletti né vengono mai messi in discussione per via elettorale.. La maggior parte delle persone non sa nemmeno chi siano. . .
Di per sé, la scelta di votare o non votare non ha grande importanza (coloro che danno troppo peso all’astensionismo e al rifiuto di votare e che ne fanno una questione cruciale di principio, rivelano solamente il loro proprio feticismo). Ma il vero problema è che se si prende troppo sul serio la questione del voto, si contribuisce a calmare e ad addormentare le persone, inducendole in una forma di dipendenza passiva, poiché esse tenderanno a prendere l’abitudine di affidarsi ad altri che agiscano al loro posto, e ciò distoglierà la loro attenzione da possibilità più interessanti e significative. Un po’ di persone che prendono alcune iniziative creative (ripensiamo per esempio ai primi sit-ins per i diritti civili) possono in definitiva ottenere dei risultati molto maggiori e molto più importanti di quelli che avrebbero ottenuto se avessero dedicato le loro energie sostenendo la campagna elettorale per promuovere dei politici meno cattivi considerati apparentemente come il "male minore". Nella migliore delle ipotesi, i legislatori raramente fanno qualcosa di più di quello che sono stati costretti a fare sotto la pressione dei movimenti popolari. Un regime conservatore sotto la pressione di movimenti radicali indipendenti spesso concede di più rispetto a un regime progressista che sa di poter contare sul sostegno dei radicali. (La guerra del Vietnam, per esempio, terminò non per via dell’elezione di politici contro la guerra, ma perché c’era molta pressione da così tante direzioni differenti che alla fine il presidente pro-guerra Nixon fu costretto a ritirare le truppe.) Se la gente continuerà immancabilmente a radunarsi con l’intento di schierarsi col male minore, allora tutto ciò che i leaders dovranno fare, in una qualsiasi situazione critica che potrebbe minare e mettere a rischio il loro potere, sarà semplicemente evocare la minaccia di qualche male maggiore.
Anche nei rari casi in cui un politico “radicale” ha una possibilità realistica di vincere le elezioni, tutti i tediosi sforzi di migliaia di persone durante la campagna elettorale possono andare in fumo in un solo istante a causa di qualche banale scandalo scoperto nella sua vita privata, oppure perché inavvertitamente dice qualcosa di intelligente. Se in qualche modo riuscisse ad evitare queste trappole e se la sua vittoria dovesse apparire possibile, tenderà naturalmente ad eludere le questioni controverse per paura di inimicarsi gli elettori indecisi. E se davvero venisse eletto, non si troverà quasi mai nella posizione di realizzare le riforme che aveva promesso, tranne forse dopo anni di intrallazzi con i suoi nuovi colleghi; che gli daranno una buona scusa per considerare come sua priorità primaria il fatto di dover accettare qualsiasi compromesso necessario per mantenere il potere il più a lungo possibile e rimanere in carica a tempo indeterminato. Intrattenendosi e socializzando con i ricchi e i potenti, svilupperà nuovi interessi e nuovi gusti, che giustificherà dicendo a se stesso di meritarsi qualche piccolo beneficio e compensazione dopo tanti anni di duro lavoro sacrificati per una buona causa. La cosa peggiore è che se alla fine riuscisse a far approvare alcune misure “progressiste”, questo successo inconsueto, e nella maggior parte dei casi insignificante, verrà presentato come una prova evidente dell’efficacia della politica elettorale, convincendo così molte persone a sprecare le loro energie in altre campagne elettorali simili che verranno.
Come diceva un graffito del maggio del ’68: “È doloroso sottomettersi ai nostri capi, è ancora più stupido sceglierli!”
[Estratti da “La Gioia della Rivoluzione” di Ken Knabb]

ALCUNI CHIARIMENTI (versione 2008)

La mia intenzione nel far circolare queste osservazioni non è quella di scoraggiarvi dall’ andare a votare o di dissuadervi dal partecipare alla campagna elettorale, ma è per incoraggiarvi ad andare oltre.
Come molte altre persone, sono lieto di vedere i Repubblicani collassare in una ben meritata ignominia, unitamente alla probabilità dei Democratici di riprendersi la presidenza e aumentare la loro maggioranza al Congresso. Speriamo che questi ultimi sospendano o almeno attenuino l’impatto di alcune delle politiche più folli adottate dall’attuale amministrazione (alcune delle quali, come quelle sul cambiamento climatico e sulla devastazione ecologica, minacciano di diventare irreversibili).
Ma al di là di questo, non mi aspetto che i politici Democratici combinino nulla di veramente significativo. La maggior parte di loro sono altrettanto corrotti e compromessi quanto i Repubblicani. Anche se alcuni di loro sono onesti e hanno buone intenzioni, in ogni caso sono tutti fedeli servitori del sistema economico dominante, e in ultima analisi funzionano tutti come ruote dentate e ingranaggi all’interno della macchina politica assassina che serve a difendere quel sistema.

Ho considerevole rispetto e simpatia per le persone che si battono per il Partito Democratico e che simultaneamente tentano di rinvigorirlo e democratizzarlo. Lì sono presenti elementi di un reale movimento di base che parallelamente si sta sviluppando insieme alla notevole crescita della blogosfera liberal-radicale negli ultimi anni.
Ma immaginate se quella stessa quantità immensa di energia da parte di milioni di persone venisse impiegata in agitazioni radicali più dirette, piuttosto che (o in aggiunta a) limitarsi a campagne elettorali in favore di milionari rivali. Come effetto collaterale, tale agitazione metterebbe i reazionari sulla difensiva ed effettivamente porterebbe all’elezione di più “progressisti”. Ma soprattutto, cambierebbe l’impeto e il terreno della lotta.

Se riponete tutte le vostre energie nel tentativo di rassicurare gli elettori indecisi che il vostro candidato è “pienamente impegnato a combattere la Guerra contro il Terrorismo”, ma che ha concluso con rammarico che dobbiamo ritirarci dall’Iraq, perché “i nostri sforzi per promuovere la democrazia” non hanno funzionato, alla fine potreste aver guadagnato qualche voto, ma non avrete ottenuto nulla in termini di sensibilizzazione e coscienza politica.

Al contrario, se convincete le persone che la guerra in Iraq è allo stesso tempo sia malvagia che stupida, non solo esse tenderanno a votare per i candidati che sono contro la guerra, ma probabilmente inizieranno a porsi delle domande mettendo in discussione altri aspetti del sistema sociale. Cosa che potrà spingerli a contestare tale sistema in modi più concreti e partecipativi. (Se volete qualche esempio, guardate la ricca varietà di tattiche usate in Francia due anni fa.)

La parte che prende l’iniziativa di solito vince perché definisce i termini della lotta. Se accettiamo le stesse condizioni del sistema e ci limitiamo a reagire in maniera difensiva ad ogni nuovo disastro da esso prodotto, non riusciremo mai ad oltrepassarlo. Dobbiamo continuare ad opporre resistenza a particolari mali, ma dobbiamo anche riconoscere che il sistema continuerà a generare nuovi mali finché non metteremo noi fine al sistema.

Ad ogni modo, se ne sentite il bisogno, votate pure. Ma non fermatevi lì. Un reale cambiamento sociale richiede partecipazione, non rappresentanza.

UFFICIO DEI SEGRETI PUBBLICI
Ottobre 2008

ALCUNI CHIARIMENTI (versione 2010)

La mia intenzione nel far circolare queste osservazioni non è quella di scoraggiarvi dall’ andare a votare o di dissuadervi dal partecipare alla campagna elettorale, ma è per incoraggiarvi ad andare oltre.
Due anni fa scrissi:
Come molte altre persone, sono lieto di vedere i Repubblicani collassare in una ben meritata ignominia, unitamente alla probabilità dei Democratici di riprendersi la presidenza e aumentare la loro maggioranza al Congresso. Speriamo che questi ultimi sospendano o almeno attenuino l’impatto di alcune delle politiche più folli adottate dall’attuale amministrazione (alcune delle quali, come quelle sul cambiamento climatico e sulla devastazione ecologica, minacciano di diventare irreversibili).
Ma al di là di questo, non mi aspetto che i politici Democratici combinino nulla di veramente significativo. La maggior parte di loro sono altrettanto corrotti e compromessi quanto i Repubblicani. Anche se alcuni di loro sono onesti e hanno buone intenzioni, in ogni caso sono tutti fedeli servitori del sistema economico dominante, e in ultima analisi funzionano tutti come ruote dentate e ingranaggi all’interno della macchina politica assassina che serve a difendere quel sistema.
Non credo di aver bisogno di rimangiarmi nemmeno una parola di quello che scrissi. I Democratici hanno effettivamente riconquistato la presidenza e aumentato la loro maggioranza al Congresso, ma da allora i risultati da loro ottenuti sono stati patetici come si sarebbe potuto immaginare. Alcune persone diranno che rimangono ancora accettabili e che comunque sono sempre meglio dei Repubblicani. Ma essere “meglio” di un partito di demagoghi sociopatici e ignoranti creduloni, difficilmente lo si può considerare come un grande raggiungimento. E, ancora peggio, essere talmente patetici da rischiare di venire sconfitti da un tale partito, sarebbe il colmo.
Nel corso degli ultimi due anni, abbiamo visto cosa succede quando ci affidiamo a dei rappresentanti politici lasciando che essi agiscano al nostro posto. Se il movimento contro la guerra e altre correnti più o meno progressiste avessero dedicato ad agitazioni radicali più dirette anche solo una piccola frazione dell’immensa quantità di tempo e di energie che hanno investito in campagne elettorali, oggi la situazione sarebbe molto diversa. Come effetto collaterale, un’agitazione radicale diretta di questo tipo avrebbe realmente portato all’elezione di più progressisti. Ma soprattutto, avrebbe modificato la dinamica e il terreno della lotta. I politici progressisti, messi sotto pressione, sarebbero stati costretti ad attuare concretamente alcuni cambiamenti significativi (come, per esempio, porre fine alle guerre e inaugurare un sistema di assistenza sanitaria gratuita per tutti) che avrebbero rinvigorito la loro base mettendo le forze reazionarie sempre più sulla difensiva. E questo cambiamento di dinamica avrebbe potuto ispirare delle azioni e aspirazioni ancora più radicali — non solo limitandosi a protestare contro questa o quella particolare ingiustizia, ma sfidando e rimettendo totalmente in discussione l’intera struttura di questo sistema sociale assurdo e anacronistico.
La parte che prende l’iniziativa di solito vince perché definisce i termini della lotta. Se accettiamo le stesse condizioni del sistema e ci limitiamo a reagire in maniera difensiva ad ogni nuovo disastro da esso prodotto, non riusciremo mai ad oltrepassarlo. Dobbiamo continuare ad opporre resistenza a particolari mali, ma dobbiamo anche riconoscere che il sistema continuerà a generare nuovi mali finché non metteremo noi fine al sistema.

Ad ogni modo, se ne sentite il bisogno, votate pure. Ma non fermatevi lì. Un reale cambiamento sociale richiede partecipazione, non rappresentanza.

UFFICIO DEI SEGRETI PUBBLICI
Ottobre 2010

ALCUNI CHIARIMENTI (versione 2012)

La mia intenzione nel far circolare queste osservazioni non è quella di scoraggiarvi dall’ andare a votare o di dissuadervi dal partecipare alla campagna elettorale, ma è per incoraggiarvi ad andare oltre.
Nell’ottobre del 2008 scrissi:
Come molte altre persone, sono lieto di vedere i Repubblicani collassare in una ben meritata ignominia, unitamente alla probabilità dei Democratici di riprendersi la presidenza e aumentare la loro maggioranza al Congresso. Speriamo che questi ultimi sospendano o almeno attenuino l’impatto di alcune delle politiche più folli adottate dall’attuale amministrazione (alcune delle quali, come quelle sul cambiamento climatico e sulla devastazione ecologica, minacciano di diventare irreversibili).
Ma al di là di questo, non mi aspetto che i politici Democratici combinino nulla di veramente significativo. La maggior parte di loro sono altrettanto corrotti e compromessi quanto i Repubblicani. Anche se alcuni di loro sono onesti e hanno buone intenzioni, in ogni caso sono tutti fedeli servitori del sistema economico dominante, e in ultima analisi funzionano tutti come ruote dentate e ingranaggi all’interno della macchina politica assassina che serve a difendere quel sistema.
Nell’ottobre del 2010 aggiunsi:
Non credo di aver bisogno di rimangiarmi nemmeno una parola di quello che scrissi. I Democratici hanno effettivamente riconquistato la presidenza e aumentato la loro maggioranza al Congresso, ma da allora i risultati da loro ottenuti sono stati patetici come si sarebbe potuto immaginare. Alcune persone diranno che rimangono ancora accettabili e che comunque sono sempre meglio dei Repubblicani. Ma essere “meglio” di un partito di demagoghi sociopatici e di ignoranti creduloni, difficilmente lo si può considerare come un grande raggiungimento. E, ancora peggio, essere talmente patetici da rischiare di venire sconfitti da un tale partito, sarebbe il colmo.
Nel corso degli ultimi due anni, abbiamo visto cosa succede quando ci affidiamo a dei rappresentanti politici lasciando che essi agiscano al nostro posto. Se il movimento contro la guerra e altre correnti più o meno progressiste avessero dedicato ad agitazioni radicali più dirette anche solo una piccola frazione dell’immensa quantità di tempo e di energie che hanno investito in campagne elettorali, oggi la situazione sarebbe molto diversa. Come effetto collaterale, un’agitazione radicale diretta di questo tipo avrebbe realmente portato all’elezione di più progressisti. Ma soprattutto, avrebbe modificato la dinamica e il terreno della lotta. I politici progressisti, messi sotto pressione, sarebbero stati costretti ad attuare concretamente alcuni cambiamenti significativi (come, per esempio, porre fine alle guerre e inaugurare un sistema di assistenza sanitaria gratuita per tutti) che avrebbero rinvigorito la loro base mettendo le forze reazionarie sempre più sulla difensiva. E questo cambiamento di dinamica avrebbe potuto ispirare delle azioni e aspirazioni ancora più radicali — non solo limitandosi a protestare contro questa o quella particolare ingiustizia, ma sfidando e rimettendo totalmente in discussione l’intera struttura di questo sistema sociale assurdo e anacronistico.
Un anno dopo la comparsa del movimento Occupy — un movimento di azione diretta partecipativa che in poche settimane ha davvero “modificato la dinamica e il terreno della lotta,” dando un nuovo orientamento al discorso pubblico nella misura in cui avevo immaginato e molto più efficientemente e più rapidamente di quanto avessi osato sperare. Nonostante la repressione della polizia e la distruzione di quasi tutti gli accampamenti, lo stesso spirito persiste e continua a vivere in innumerevoli raduni e azioni ancora in corso che stanno avendo luogo attualmente in tutto il paese, anche se negli ultimi mesi questi sono stati in gran parte eclissati dallo spettacolo elettorale.
All’inizio, le assemblee del movimento Occupy hanno preferito focalizzarsi sulle azioni dirette piuttosto che sulla politica elettorale, sottolineando ripetutamente la complicità dei due principali partiti politici con il sistema economico dominante.
Tuttavia, come avevo già previsto, il movimento ha avuto, come effetto collaterale, il merito di aver influenzato le elezioni verso una direzione più radicale. Il suo comunitarismo gioioso ha danneggiato ed indebolito la retorica meschina dei discorsi dei Repubblicani, ed il suo slogan “noi siamo il 99%” ha spostato il dibattito pubblico su un terreno molto più favorevole ai Democratici.
Anche se il Partito Democratico, e i sindaci Democratici in particolare, si sono spudoratamente opposti agli accampamenti di Occupy in una maniera vergognosa e ostile, tuttavia molti dei partecipanti del movimento Occupy senza dubbio voteranno comunque per i Democratici reputandoli come un male minore, allo stesso modo di altri che potrebbero fare un voto di protesta o astenersi e non votare affatto. Il punto è che, qualunque sia stata la loro scelta, la loro recente esperienza li ha resi tutti consapevoli del fatto che la politica elettorale è, nella migliore delle ipotesi, solo un aspetto della lotta sociale e che, in fin dei conti, l’azione sperimentale, creativa e diretta è molto più efficace — e anche molto più divertente!

In ogni caso, non penso che questa sia una questione aut-aut e che una cosa debba per forza escludere l’altra. Votare per dei candidati meno malvagi non preclude allo stesso tempo la possibilità di lavorare attivamente anche per obiettivi più radicali. I problemi sorgono quando gli attivisti rimangono bloccati in posizioni rigide e unilaterali — quando i radicali diventano così fissati con la loro purezza ideologica da rifiutare qualsiasi accenno di “riformismo”, ignorando le differenze significative che ci possono essere tra le diverse politiche e i diversi politici; oppure quando gli elettori rimangono talmente affascinati dallo spettacolo elettorale che finiscono per affidarsi alle stars della politica, lasciando che siano esse ad agire al loro posto e a definire i limiti di ciò che è “possibile”.

Personalmente, per quanto io provi disgusto per il Partito Democratico, spero sinceramente che possa battere i Repubblicani il prossimo novembre. Il Partito Repubblicano era piuttosto pessimo già da alcuni decenni, ma negli ultimi 12 anni è diventato così deliberatamente ignorante e infantile da rifiutare sistematicamente qualsiasi risposta razionale ai gravi problemi epocali che dobbiamo affrontare. Se, come si dice da noi, entrambe le parti non stanno facendo altro che cambiare la disposizione delle sedie a sdraio sul Titanic, la differenza è che i Democratici si accontentano di temporeggiare perché temono che potrebbe essere troppo complicato rallentare la nave o cambiare direzione, mentre i Repubblicani gridano a squarciagola che l’iceberg è un’illusione ed esortano a proseguire dritto avanzando alla massima velocità. Nessuno dei due potrà salvare la nave, ma chi preferireste avere al timone mentre tentate di risvegliare i passeggeri stimolandoli a ribellarsi attraverso un ammutinamento collettivo?

Fortunatamente, il Partito Repubblicano sembra che stia pagando il prezzo per la sua lunga accumulazione di menzogne e inganni. Mentre i suoi componenti in opposizione tra loro sono lacerati e divisi da reciproche recriminazioni, i suoi aspetti più deliranti e ripugnanti stanno salendo in superficie e stanno diventando evidenti a chiunque, compresi molti di coloro che precedentemente erano stati ingannati da esso.

Nel migliore dei casi, se i Democratici stravinceranno le elezioni sbaragliando gli avversari, e se il Partito Repubblicano continuerà a frantumarsi e ad auto-distruggersi, questo sarà solo un inizio. Il sistema starà ancora lì al suo posto e i politici Democratici continueranno a restare al soldo dei loro padroni. Ma ritengo che sarebbe meglio se li combattessimo direttamente, evitando la minaccia costante di un’alternativa “ancora peggiore”.

UFFICIO DEI SEGRETI PUBBLICI
27 Settembre, 2012


Versione italiana di Beyond Voting, traduzione dall’inglese di Van Thuan Nguyen.
No copyright.
La prima parte di questo testo è stata largamente diffusa via email e pubblicata durante le elezioni americane del 2000, 2002, 2004, 2006, 2008, 2010 e 2012. I "Chiarimenti" sono stati aggiunti nella mailing del 2006, che sono stati leggermente aggiornati per l’invio del 2008, e rivisti nuovamente per le spedizioni del 2010 e del 2012.



Riformismo e politica elettorale



[“Quindi ti stai battendo per il giorno della rivoluzione che arriverà quando aboliremo la rappresentanza politica e la proprietà privata, e nel frattempo sostieni che sia inutile spingere per un sistema di autentiche iniziative elettorali all'interno del contesto attuale?”]
Non sto dicendo che questi sforzi siano inutili e che non meritino di essere intrapresi con impegno e dedizione. Sto semplicemente sottolineando che, di per sé, tali cambiamenti non sono sufficienti. Nel secondo capitolo di The Joy of Revolution ho cercato di esaminare i pro e i contro delle varie tipologie di progetti riformisti. Con il rischio di semplificare eccessivamente, posso riassumere dicendo che (1) è necessario lavorare per delle riforme (o miglioramenti), e (2) le riforme da sole non sono sufficienti. Alcune riforme sono relativamente chiare, altre sono più dubbie perché implicano il proprio coinvolgimento in molti compromessi, la maggior parte sono una miscela complessa. Bisogna decidere dove si vuole mettere la propria energia, considerando sia le proprie passioni sia il proprio giudizio su come alcune particolari questioni siano collegate alla società e alle lotte sociali nel loro complesso.
Presto invierò alcuni estratti da quel capitolo relativo alla politica elettorale. Si noti che anche se la mia tendenza generale è piuttosto anti-elettorale, tuttavia non è così estremamente rigida ed assoluta (come invece lo è la tipica linea politica degli anarchici). Non sto dicendo di Non Votare, o di Non fare campagna elettorale a favore di questioni “progressiste” o di politici “progressisti”. Sto semplicemente dicendo: Sappiate quello che state facendo, siate consapevoli degli svantaggi così come dei vantaggi di qualunque azione voi stiate intraprendendo; e siate inoltre coscienti del fatto che ci sono molte altre tattiche, alcune delle quali possono essere più efficaci e più sane (perché sono più dirette e meno sovraccariche di ipocrisia ecc.). . . . Finché enormi differenze economiche continueranno ad esistere nella società nel suo insieme (affinché i milionari possano manipolare le opinioni del pubblico attraverso la pubblicità, o influenzare i funzionari eletti in modo da evitare che una determinata misura venga applicata anche se è già stata approvata ecc.) , di solito non farà molta differenza se alle persone verranno forniti dei gettoni “opportunità” per votare su qualche questione in più.
[Risposta ad un corrispondente deluso per il mio messaggio pre-elettorale sui limiti della politica elettorale: “Comprendo i limiti del processo elettorale, ma protendere così a sinistra tanto da essere lasciati fuori, non è un'opzione. I ricchi stanno usando il processo elettorale per metterci sotto ancora e ancora: a San Francisco abbiamo le proposizioni R, N e A, e noi DOBBIAMO uscire e votare contro di esse o altrimenti si scatenerà l'inferno e ce la faranno pagare cara il giorno dopo. Quindi, l'invio di una e-mail che ci dà 5 buoni motivi per starsene a casa buttando via così i nostri voti, è una mossa piuttosto imprudente, non importa quanto faccia sentire fighi ed informati. Risparmiatela pure per dopo che saremo usciti fuori tutti quanti e avremo votato per salvare la nostra pellaccia ancora una volta.”]
Credo che nella mia dichiarazione non ci sia scritto da nessuna parte di “Non votare.”  Al contrario, mi sono esplicitamente (anche se brevemente) dissociato dalla tipica posizione anarchica (che è infatti quella di sollecitare la gente a non votare). Ho semplicemente fatto notare i limiti del mettere tutte le tue uova in questo paniere estremamente truccato, che è proprio uno dei principali modi in cui l'attenzione della gente viene deviata da altre tattiche e possibilità.
Per favore, tieni presente, inoltre, che il messaggio che ho spedito conteneva solo pochi estratti presi da un testo molto più lungo, The Joy of Revolution. Ecco un altro brano dal Capitolo 2 di quel testo:
In nome del realismo, i riformisti si limitano a perseguire obiettivi "vincenti", ma anche quando riescono ad ottenere qualche piccolo aggiustamento nel sistema, di solito questo è compensato da qualche altro sviluppo ad un altro livello. Questo non significa che le riforme siano irrilevanti, ma che sono semplicemente insufficienti. Dobbiamo continuare a resistere a particolari mali, ma dobbiamo anche riconoscere che il sistema continuerà a generarne di nuovi finché non metteremo fine a tutto questo. Supporre che una serie di riforme possa alla fine costituire un cambiamento qualitativo, è come pensare di poter attraversare un baratro di dieci piedi facendo una serie di saltelli di un piede.
Le questioni sociali sono interconnesse in maniera complessa. Le persone devono essere incoraggiate ad esaminare attentamente queste interrelazioni, e pensare ed agire per se stesse invece di limitarsi a reagire a un continuo susseguirsi di "questioni urgenti" che lo spettacolo gli presenta davanti, sennò il sistema non potrà mai essere cambiato.
KEN KNABB
Ottobre 2002


Versione italiana di Reformism and Electoral Politics, traduzione dall’inglese di Van Thuan Nguyen.
No copyright.