domenica 27 marzo 2016

Lingua biforcuta di Elisabetta Teghil





di Elisabetta Teghil

podcast


Questo testo è stato scritto e pubblicato il 23 agosto del 2011. Lo vorrei riproporre alla riflessione sul perché come ancora oggi non ci sia affatto chiarezza su quello che è avvenuto in Libia e che costituisce un passaggio nodale per la comprensione del presente.


Le vicende libiche presentano due grandi novità con cui dobbiamo fare i conti adesso e, tanto più, in futuro.

La novità non è certo il tipo di aggressione e neanche l’intensificarsi delle guerre “umanitarie”, che, ultimamente, presentano una scansione temporale sempre più serrata.

Da sempre, questo sistema usa tutto l’armamentario possibile per rovesciare governi non graditi, compresi colpi di stato e guerre. Tutti i governi rovesciati presentano una caratteristica in comune: sono, per motivi politici o economici, asimmetrici agli interessi delle multinazionali. E il loro destino non è dovuto al colore politico. Vengono rovesciati indifferentemente Allende e Sankara, Saddam Hussein e Gheddafi. E la strumentalizzazione dei motivi umanitari o dell’autodeterminazione dei popoli da parte delle potenze occidentali, è palese, leggibile e ormai patrimonio di tutte/i: l’autodeterminazione del Sud Sudan è osannata, quella del popolo basco e  del popolo irlandese viene rubricata nel terrorismo.

L’uomo bianco ha la lingua biforcuta, dicevano le/i native/i d’America.

Dove stanno le novità?

La prima riguarda il fatto che le potenze occidentali, nella necessità e nella smania di impossessarsi di materie prime e nuovi mercati, sottraggono situazioni di privilegio e di rendita ad altre nazioni occidentali che, nella filiera del dominio imperialista, vengono percepite e sentite come più deboli.

Questo è la guerra in Libia. Uno Stato che era sotto la sfera d’influenza italiana, con l’ENI in una posizione predominante e privilegiata, passa sotto l’influenza francese e inglese. L’Italia viene espulsa dal suo ruolo e sostituita dall’Inghilterra e dalla Francia.

Non si tratta di essere nazionaliste, ma di rendersi conto della fase cannibalesca a cui l’imperialismo è arrivato.

Da qui l’inconsistenza di chi parla di una crisi del capitalismo che invece non c’è: le situazioni di restrizione, di disagio, di povertà, di precarietà nei paesi occidentali e l’oppressione con le rinnovate guerre coloniali nei paesi del terzo mondo, vengono scambiate per segnali di una crisi, mentre sono scelte di fondo.

E’ in atto una ridefinizione dei rapporti di forza fra le multinazionali occidentali, di cui i governi sono il braccio esecutivo e la NATO quello militare.

Ma, l’anomalia, tutta italiana, è che, per la prima volta, nella centocinquantennale storia unitaria, un partito di una certa consistenza elettorale, senza giri di parole stiamo parlando del PD, non sposa gli interessi di questo o quel settore della borghesia italiana, ma interessi di borghesie straniere e, nella fatt ispecie, francesi e inglesi.

Non era mai successo. Questa è la seconda, importante, novità.

Abbiamo sempre visto che nei paesi del terzo mondo segmenti politici, anche organizzati, si sono prestati e si prestano ad essere strumento di colonizzazione, ma questo avviene, per la prima volta, anche in un paese europeo.

Tutto è cominciato con la riunione sul panfilo Britannia che ha dato il via, nel nostro paese, ad una campagna di denigrazione dei servizi pubblici e di demonizzazione dei lavoratori in generale e di quelli pubblici in particolare e che ha creato il clima favorevole per poter svendere il patrimonio pubblico alle multinazionali anglo-americane, in particolare quello del settore agro-alimentare.

Questo progetto è stato portato avanti dai governi Prodi, Amato, D’Alema.

Questo è il senso della discesa in campo degli Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia e dei circoli atlantici a favore del PD, perché quest’ultimo possa portare a termine il lavoro già iniziato svendendo loro le poche industrie pubbliche rimaste, dando loro, come garanzia dei prestiti internazionali, le riserve auree nazionali che sono parte cospicua della ricchezza del nostro paese, di cui gli Stati sopra citati, hanno grande bisogno visto che, da troppi anni, continuano a stampare carta moneta che, essendo prodotta non in rapporto alle loro ricchezze nazionali, di fatto, è carta straccia.

Questo è il senso della distruzione delle economie irlandese, portoghese e greca, paesi ridotti a vendere le ricchezze nazionali per pagare i soli interessi dei debiti contratti.

Nell’Ottocento, alla Grecia, hanno portato via il frontone del Partenone, adesso, il Partenone, glielo vogliono portare via tutto.

Operazione preparata e accompagnata da una campagna di diffamazione che presenta quei popoli come pigri, indolenti e che vivono al di sopra delle loro possibilità. Siamo al razzismo allo stato puro.

E, siccome è un piano inclinato e una cosa tira l’altra, si vogliono ridurre quei paesi a condizioni di vita ottocentesche, così come ha fatto l’Inghilterra a casa sua, mettendo in preventivo rivolte e metodi per reprimerle.

Noi femministe non viviamo in un limbo, nel nostro lottare per la liberazione dalla società patriarcale, dobbiamo sapere e capire lo svolgersi dei processi che avvengono intorno a noi.

Sapere chi porta avanti le scelte e i percorsi che abbiamo analizzato e come li conduce, magari saccheggiando lessico e modalità che sono nostro patrimonio, ci evita e ci eviterà di essere complici di questo progetto che è contro i nostri interessi, che vuol far diventare questo paese una colonia anche dal punto di vista culturale, colonizzando anche le nostre battaglie ed i nostri pensieri.