sabato 20 maggio 2017

A Testa in giù


 
Molto spesso le persone intelligenti, sempre i deficienti aspiranti burocrati, guardano la realtà a rovescio, a testa in giù. 
Marx già ai suoi tempi si faceva beffe di questa infelice tendenza, ignorando che i suoi eredi indegni ne avrebbero fatto una chiave di interpretazione della realtà, chiamata marxismo. Versione particolarmente aggressiva e becera dell'idealismo che é, e con ottime ragioni, la forma ideologica dell'epoca borghese.
La frase "chiamiamo comunismo il movimento reale che sopprime il presente stato di cose" che Marx aveva scritto per intendere che quel movimento che realmente si dispiegava nel momento stesso in cui lui stava scrivendo, bene, quello era il comunismo, e non un'ideologia prefabbricata, risulta ancor oggi, fraintesa e rovesciata. Marx non si sogna di proporre a sé stesso o a chicchessia di "costruire" un movimento reale, ma indaga i movimenti reali del suo tempo e riconosce nel movimento operaio il soggetto possibile della liberazione umana. Lui si incarica di illustrare perchè quel movimento e non altri, può proporsi validamente un tale obiettivo. Ogni discorso sulla rivoluzione, per chi si proponga di offrire un contributo che sia anche di riflessione, di radicalizzazione, di reciproco riconoscimento, non può, se non vuole ricadere nell'idealismo così opportunamente da Marx deriso, decidere a tavolino di quale movimento ci sarebbe bisogno, per poi cercare di edificare tale movimento a partire dai tavolini di qualche caffè, o dai banconi di qualche centro sociale, o - absit injuria verbis - da qualche aula universitaria o da qualche redazione di rivista; ma può, se lo ritiene utile, unicamente riconoscere nel reale movimento presente nel mondo, prodotto dalle presenti relazioni sociali, quali filoni ne possano essere, radicalizzati, rafforzati, diffusi, incrementati, per portare a quel tracollo dell'alienazione sociale che può aprire la via all'autoliberazione della specie.
In questo senso perciò tutte le rivolte nascono spontanee: il movimento operaio dal generale Ludd in poi, ne è un esempio limpidissimo; e via via nella storia. Queste sollevazioni quando possono trovano forme organizzative proprie; se non ci riescono divengono facile preda dei costruttori di organizzazioni. Se uno oggi ha, come molti di noi hanno, la passione per la sommossa e per la costruzione della storia, può unicamente partecipare alla pari a quelle sollevazioni in cui riesce ad imbattersi; e può - direi quasi: deve - occuparsi di dissipare equivoci, scorciatoie, superstizioni, riflessi condizionati, procedure automatiche, quando tali sollevazioni si presentano. Sempre comunque nella consapevolezza che anche le sollevazioni più brevi e più settoriali e più isolate geograficamente, mettono in moto le forze, le passioni, le idee, le capacità, la creatività, la fantasia, la volontà, la tenacia e la pazienza di un numero di persone tale da travalicare qualsiasi programma ideato da qualsiasi militante di qualsiasi organizzazione pret-a-porter.
Per conseguenza è poco realistico interrogarsi se la Val di Susa con la propria battaglia é un modello valido oppure no. Nessuno é in grado di costruire una Val di Susa a freddo, da qualche altra parte. E nessuno é in grado di impedire che altre sollevazioni analoghe si producano, magari domani, magari in questo stesso momento. La domanda sensata é: in quale maniera possiamo contribuire a far sì che tali sollevazioni si radicalizzino e determinino situazioni che impediscono il rifluire verso il passato? quali sono i nemici di questi processi che occorre smascherare e disperdere? 

by pkrainer Monday, Sep. 11, 2006 at 12:21 AM